Morte cerebrale. La bimba di 10 anni ricoverata all’Ospedale dei Bambini di Palermo, dove era arrivata ieri sera in arresto cardiocircolatorio, non ce l’ha fatta. Tutto per un gioco, per una challenge su Tik Tok. I medici hanno constatato alle 13.30 di oggi lo stato di morte cerebrale. La piccola era ricoverata in terapia intensiva pediatrica in coma profondo e irreversibile a causa di “una prolungata anossia cerebrale”. Ora i genitori hanno acconsentito al prelievo degli organi per donazione multipla. “Contestualmente, a cuore battente – spiegano dall’ospedale –, sono iniziate le procedure di accertamento previste dalla legge da parte dell’apposita commissione di clinici informandone l’autorità giudiziaria. Le procedure sono tutt’ora in corso per concludersi nelle prime ore di questa sera”.
Ma cosa è accaduto alla piccola? La Procura ha aperto un fascicolo per fare chiarezza sulla sua morte che, secondo le prime informazioni, sarebbe proprio l’epilogo di una sfida estrema su TikTok, ovvero il ‘Black out challenge‘. La bambina è stata trovata in bagno prima di sensi con una corda stretta attorno al collo e l’altra estremità attaccata al porta asciugamani. Sulla vicenda indaga la Polizia che ha sequestrato il suo smartphone. E qui torna con forza un tema ricorrente: è giusta che i bambini abbiano un loro dispositivo personale, e in tal caso quanto il controllo dei genitori può influire su episodi simili? Difficile saperlo e soprattutto impossibile fare ora un processo a ritroso, ma il tema è quanto mai scottante e serio.
La piccola residente nel quartiere Kalsa di Palermo è finita in coma per un gioco orribile, durante una prova estrema di soffocamento. La prova, per quanto si faccia fatica a comprenderla, consiste nello stringersi una cintura attorno al collo e resistere il più possibile. E lei, a soli 10 anni, ha preso quella di un accappatoio. La piccola avrebbe seguito i vari passaggi prima di restare asfissiata, trovandosi poi senza forze e crollando per terra. Quando la sorella l’ha trovata era già in coma. Il cuore della bambina si è fermato per un’asfissia prolungata, prima di ricominciare a battere grazie alle manovre rianimatorie eseguite dal personale sanitari. Già da stamattina, però, i medici avevano spiegato che la bambina era “in coma irreversibile“, quando in ospedale si è radunata una piccola folla di parenti e amici disperati.
Nel cellulare si vedono le ultime immagini della piccola. La procura dei minori ha aperto un fascicolo per “istigazione al suicidio” contro ignoti per poter procedere con le indagini. L’inchiesta è coordinata dal procuratore Massimo Russo e dalla sostituta Paoletta Caltabellotta. La procura vuole verificare se e come la bambina possa avere avuto la possibilità di partecipare alla “sfida” (resistere il più possibile senza respirare) sul social, ma soprattutto se abbia registrato un video, oppure se ne abbia visionato alcuni e abbia tentato di emulare qualcun altro.
Sfida di soffocamento TikTok, Aldrovandi (Osservatorio Vittime), “Regole severe per vietare social ai bambini”
Sul caso della bambina di Palermo che ha rischiato la vita per una sorta di gioco/sfida su TikTok interviene l’avvocato Elisabetta Aldrovandi, presidente dell’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime e Garante per la tutela delle vittime di reato di Regione Lombardia: “Innanzitutto, mi domando come mai una bambina di dieci anni avesse un profilo o accesso a TikTok, dato che si tratta di un social che, in base alle sue regole, consente l’iscrizione a partire dai 13 anni. Regole però non soggette a controlli particolari, e così basta ‘mentire’ sull’età e ci si iscrive. Non si vuole capire che i social non sono giocattoli per bambini, ma mondi virtuali in cui, spesso senza i dovuti controlli, vengono caricati video e immagini assolutamente non idonei a menti acerbe che non possono capire né i contenuti né le conseguenze cui vanno incontro partecipando a certe assurde sfide. E i genitori o gli adulti dovrebbero controllare, sempre, sia chi ‘seguono’ i loro figli, sia i loro followers. Oltre al fatto che servono regole severe che impediscano l’accesso a chi non ha l’età stabilita e che sanzionino in modo efficace chi pubblica e condivide contenuti che istigano alla violenza e all’autolesionismo“, ha concluso Elisabetta Aldrovandi.