SARS-CoV-2 e scuola, Save The Children: 4 ragazzi su 10 bocciano la DAD

Scuola e SARS-CoV-2, Save the Children: secondo il 28% degli adolescenti almeno un compagno di classe ha smesso di frequentare
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Con la ripresa delle scuole all’orizzonte, gli adolescenti che vivono e studiano nel nostro Paese tracciano un bilancio dei mesi di didattica a distanza che ha coinvolto oltre due milioni e mezzo di ragazze e ragazzi delle scuole superiori di secondo grado. Un quadro critico quello che emerge dagli studenti che fa suonare un campanello d’allarme sul rischio di dispersione scolastica. Il 28% degli studenti dichiara infatti che almeno un loro compagno di classe dal lockdown di questa primavera ad oggi avrebbe smesso di frequentare le lezioni (tra questi, un quarto ritiene che siano addirittura più di 3 i ragazzi che non partecipano più alle lezioni). Secondo gli adolescenti intervistati, tra le cause principali delle assenze dalla DAD, vi è la difficoltà delle connessioni e la fatica a concentrarsi nel seguire la didattica dietro uno schermo. Difficoltà che sembrerebbero avere un duro impatto nella loro preparazione scolastica: più di uno studente su tre (35%) si sente più impreparato di quando andava a scuola in presenza e il 35% quest’anno deve recuperare più materie dell’anno scorso. Quasi quattro studenti su dieci dichiarano di avere avuto ripercussioni negative sulla capacità di studiare (37%). Gli adolescenti dicono di sentirsi stanchi (31%), incerti (17%), preoccupati (17%), irritabili (16%), ansiosi (15%), disorientati (14%), nervosi (14%), apatici (13%), scoraggiati (13%), in un caleidoscopio di sensazioni negative di cui parlano prevalentemente con la famiglia (59%) e gli amici (38%), ma che per più di 1 su 5 rimangono un pesante fardello da tenersi dentro, senza condividerlo con nessuno (22%).

Questi alcuni dei dati emersi dall’indagine “I giovani ai tempi del Coronavirus”, condotta da IPSOS per Save the Children – l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per difendere i bambini a rischio e garantire loro un futuro – su un campione di adolescenti tra i 14 e i 18 anni [1], che sono stati intervistati per comprendere le loro opinioni, stati d’animo e aspettative. Una voce, quella dei ragazzi e delle ragazze che mette in luce il vero impatto, spesso sottovalutato, della chiusura delle scuole e del loro funzionamento a singhiozzo. A partire dal fenomeno delle assenze prolungate che sono, di fatto l’anticamera della dispersione: dai dati raccolti, Save the Children stima che circa 34mila studenti delle scuole secondarie di secondo grado[2] potrebbero aggiungersi a fine anno ai dispersi della scuola[3].

I ragazzi si sentono esclusi dalle scelte per il contrasto alla diffusione del Covid, che li hanno visti penalizzati nell’interruzione delle attività scolastiche in presenza: il 65% è convinto di star pagando in prima persona per l’incapacità degli adulti di gestire la pandemia, il 43% si sente accusato dagli adulti di essere tra i principali diffusori del contagio, mentre il 42%  ritiene ingiusto che agli adulti sia permesso di andare al lavoro, mentre ai giovani non è permesso di andare a scuola.

Un “anno sprecato” per quasi un adolescente su due (46%), che, in ogni caso, nella costrizione di vivere in un mondo di incontri solo virtuali, ha fatto riscoprire a molti il valore della relazione “dal vivo” con i coetanei: anche se quasi un quarto degli adolescenti (23%) dichiara che, in questo anno di pandemia, ha capito che uscire non è poi così importante e che si possono mantenere le relazioni anche on line. Per contro, l’85% dei ragazzi intervistati afferma invece di aver capito quanto sia importante uscire con gli amici, andare fuori e relazionarsi “in presenza”. In un’età di cambiamento come quella dell’adolescenza, il tema delle relazioni personali è fondamentale e tra le “privazioni” che i ragazzi hanno sofferto di più, anche quella di non aver potuto vivere esperienze sentimentali importanti per la loro età (63%).

Stanchezza (31%), incertezza (17%) e preoccupazione (17%) sono i principali stati d’animo che hanno dichiarato di vivere gli adolescenti in questo periodo, ma anche disorientamento, apatia, tristezza e solitudine. E guardando al futuro, solo 1 su 4 pensa che “tornerà tutto come prima” (26%) e la stessa percentuale ritiene che “continueremo ad avere paura”, mentre il 43% vede l’esperienza che sta vivendo come uno spartiacque che sdogana, anche dopo il vaccino, il fatto che “staremo comunque insieme in modo diverso, più on line” (43%).

Alla politica il compito di fare delle scelte su questo futuro e i ragazzi sembrano essere particolarmente attenti e interessati: il 69% di loro, infatti, ha sentito in qualche modo parlare del Next Generation EU e una gran parte degli intervistati guarda con interesse alle possibilità che potrebbe offrire per il loro futuro, tanto da sperare che attraverso questo Fondo vengano incrementati i finanziamenti per l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani (30%) o la possibilità di studiare gratuitamente all’estero (17%) e all’università (17%). Riguardo alle priorità per il Paese su cui i giovani pensano si debba investire, emergono il lavoro (29%), la salute (21%) e la lotta alla povertà (19%) e l’ambiente (12%).

Questo anno ha fortemente condizionato la vita di milioni di bambini e adolescenti e in particolare questi ultimi che hanno subito un allontanamento più lungo dalle aule scolastiche. Si sono ritrovati soli, in una condizione nuova e restrittiva a gestire scuola e relazioni a distanza e non tutti hanno resistito. I numeri ci confermano la preoccupazione profonda per il rischio di un’impennata nella dispersione scolastica: gli studenti hanno subito conseguenze significative dalla DAD che non sempre è stata efficace e che si sta lasciando alle spalle danni forse irreparabili”, afferma Daniela Fatarella, Direttrice Generale di Save the Children. “È fondamentale agire subito con dei “ristori” anche per questi ragazzi, perché stanno perdendo non solo competenze ma soprattutto motivazione, allontanandosi velocemente dalla scuola e, con essa, dalle loro opportunità per costruirsi un futuro. Guardano alla politica con speranza e curiosità ed è ora che la politica sia all’altezza delle loro aspettative, utilizzando un fondo – Next Generation UE – che proprio alle nuove generazioni dovrebbe essere dedicato, per dare nuova linfa e impulso a combattere un orizzonte con poche prospettive, soprattutto per coloro che vivono in condizioni di difficoltà”.

Save the Children ha sin da subito lanciato un allarme in merito alla crescita esponenziale della povertà materiale ed educativa che ha colpito i bambini, le bambine e gli adolescenti che vivono nei contesti più svantaggiati, dove l’organizzazione opera con programmi di contrasto alla povertà educativa e alla dispersione scolastica[4]. Le diseguaglianze già consolidate rischiano infatti di allargarsi fino ad escludere molti bambini e ragazzi. L’Istat[5] evidenzia che 1 bambino o ragazzo su 8 (il 12,3%) tra i 6 e i 17 anni, circa 850 mila giovanissimi, non ha a disposizione né pc né tablet, strumenti fondamentali per restare al passo della didattica a distanza (dati 2018-2019); nel Mezzogiorno questa quota sale fino a 1 minore su 5 (il 19%). Una quota molto alta di studenti 6-17enni, quasi la metà (il 45,4%, oltre 3 milioni 100 mila bambini e ragazzi) ha difficoltà con la didattica a distanza, a causa della carenza di strumenti informatici in famiglia, o perché questi risultano del tutto assenti o perché devono comunque condividerli con altri fratelli e/o sorelle, o comunque perché inferiori a quanto sarebbe necessario. Una quota del 39,7% degli studenti 6-17enni, infatti, vive in famiglie in cui sono presenti altri studenti che dovrebbero utilizzare le dotazioni tecnologiche in contemporanea per seguire le lezioni, ma non ne hanno a disposizione un numero sufficiente per tutti. A loro si aggiunge un’ulteriore quota del 5,7% che vive in famiglie in cui non sono presenti altri studenti, ma che non hanno alcuno strumento tecnologico a disposizione.

Alle difficoltà relative alla disponibilità degli strumenti tecnologici, si aggiunge il problema della disponibilità di spazi abitativi adeguati. Anche questo versante, infatti, rischia di amplificare notevolmente le differenze nel processo di apprendimento dei più giovani. Nel 2018, in Italia, ci dice l’Istat, oltre 4 minori su 10 (il 41,9%) vivevano in condizioni di sovraffollamento abitativo. Questo fattore, in un periodo di lockdown, di impossibilità di uscire di casa e di condivisione obbligata con il resto della famiglia del poco spazio a disposizione, incide notevolmente sulla capacità di bambini e ragazzi di concentrarsi sugli studi, di seguire con la dovuta attenzione le lezioni online, di poter fare i compiti con la debita tranquillità.

In questa crisi troppo a lungo gli adolescenti sono rimasti invisibili. E, come dimostra anche il dibattito di queste ore sulla riapertura degli istituti, l’impatto prodotto su di loro dalla chiusura delle scuole è ancora gravemente sottovalutato. Corriamo il rischio che le lunghe assenze dalla scuola si trasformino in definitivo abbandono e che tante ragazze e ragazzi – in questa grave crisi economica – finiscano per ingrossare le fila del lavoro sfruttato. Non dimentichiamo che già nel 2019, prima della pandemia, in Italia un ragazzo su otto abbandonava la scuola con in tasca solo la licenza media. Dai territori più difficili dove operiamo ci giungono continui segnali di allarme, nonostante l’impegno di scuole ed educatori. È necessario riaprire subito le scuole in sicurezza con un’offerta educativa potenziata, soprattutto nei territori più difficili, per scongiurare un ulteriore allargamento delle diseguaglianze. Ed è necessario – come gli stessi ragazzi indicano – dedicare le risorse del Next Generation prioritariamente al futuro dei più giovani, con un forte e concreto investimento di lungo periodo sull’infrastruttura educativa, vera leva per lo sviluppo del Paese”, dichiara Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children.

L’Organizzazione, in questo frangente complesso, ha rimodulato le proprie attività per rimanere al fianco di bambini e adolescenti e delle loro famiglie, intercettando e rispondendo ai vecchi e ai nuovi bisogni che via via sono emersi nel corso della pandemia. Durante i 69 giorni di lockdown che da marzo a maggio hanno visto la serrata totale del Paese e il conseguente isolamento nelle case, il programma “Non da soli” ha fornito una risposta immediata all’emergenza, con attività mirate di supporto educativo, sostegno e tutoraggio per la didattica a distanza, consegna di tablet, connessioni e sostegno materiale (buoni spesa, prodotti per la prima infanzia, distribuzione di viveri e materiali scolastici) alle famiglie in difficoltà. Attraverso questo primissimo intervento, nel periodo della prima ondata di emergenza, Save the Children ha raggiunto oltre 75 mila bambini, bambine, famiglie e docenti in tutta Italia.

In considerazione della gravità e complessità della situazione e delle ricadute anche nel medio e lungo periodo per il benessere e le condizioni di vita di bambini e ragazzi, l’Organizzazione ha deciso di elaborare ed impegnarsi in un programma organico di ampio respiro, “Riscriviamo il Futuro” che si snoda in un arco temporale di 15 mesi (da giugno 2020 a settembre 2021), per intervenire a cavallo di due degli anni scolastici tra i più complessi che gli studenti abbiano mai vissuto. Un programma che si è concentrato in particolare sul contrasto alla povertà educativa e sul supporto ai nuclei familiari più fragili dal punto di vista socio-economico e che ha raggiunto in sei mesi 58.843 bambine, bambini e adolescenti. Solo in questo arco di tempo, per supportare i minori che ancora avevano difficoltà con gli strumenti necessari alla DAD, sono stati distribuiti altri 1195 dispositivi tra tablet e connessioni internet. Sono 275 le scuole sostenute a vari livelli da interventi educativi e psicosociali mentre 3623 docenti hanno potuto usufruire di una formazione specifica per gestire questo particolare momento della didattica e della vita dei minori.

Casi Covid-19 a scuola, tra preoccupazione e colpevolizzazione

Approfondendo ulteriormente i dati della ricerca IPSOS, per quanto riguarda la presenza di casi di Coronavirus a scuola, più di 7 ragazzi su 10 riportano di casi positivi fra gli studenti e/o i docenti: in 4 casi su 10 si tratta di compagni di classe (41%), in 1 caso su 4 (26%) dei propri docenti. Nonostante la presenza di casi Covid a scuola fra studenti e/o docenti abbia generato preoccupazione nel 74% degli intervistati, i ragazzi positivi sono stati supportati dai compagni di classe nella stragrande maggioranza dei casi (82%); in qualche caso (14%), tuttavia, gli intervistati segnalano che i ragazzi contagiati si sono ripiegati su se stessi e in alcuni casi, anche se limitati (8%), purtroppo sono stati colpevolizzati dai compagni di classe.

Frequenza della DAD, assenze e preparazione scolastica

Secondo quanto affermano i ragazzi intervistati, sono previste in media circa 26 ore di DAD settimanali dagli istituti superiori. La totalità dei ragazzi intervistati sta frequentando le lezioni a distanza. Guardando alle assenze nell’ultimo mese, la stragrande maggioranza (86%) dei ragazzi ha fatto 1 o 2 assenze, ma 1 ragazzo su 14 (7%) ne ha collezionate 5 o più di 5. Problemi di connessione e copertura di rete (28%) e problemi di concentrazione durante le lezioni online (26%) i motivi principali che portano a non frequentare regolarmente le lezioni online. L’8% dichiara di aver fatto più assenze rispetto all’anno scorso, ma la percezione rispetto al trend dei propri compagni di classe è ben diversa: più di 7 ragazzi su 10 (72%) dicono di avere almeno un compagno che sta facendo più assenze rispetto allo scorso anno, un dato che sale in particolare tra i 16-18enni, con 75% contro 69% dei 14-15enni. Più di un ragazzo su 4 (28%) afferma che dal lockdown di primavera c’è almeno un proprio compagno di classe che ha smesso completamente di frequentare le lezioni, in particolare 1 su 3 al Centro Italia. Il 7% afferma che i compagni di scuola “dispersi” a partire dal lockdown sono tre o più di tre.

Più di 1 ragazzo su 3 (35%) ritiene che la propria preparazione scolastica sia peggiorata. Uno su 4 deve recuperare materie e, fra coloro che devono recuperare, il 23% ha 3 o più di tre materie insufficienti. Confrontando la propria performance di questo anno in termini di materie da recuperare, il 35% afferma di averne di più rispetto allo scorso anno, con ampie oscillazioni regionali: 44% al nord ovest e 26% al sud. Oscillazioni che si ripetono anche sulle diverse fasce d’età: ben 1 su 4 fra i ragazzi di 16-18 anni afferma di aver meno materie da recuperare a fronte di solo il 14% degli studenti di 14-15 anni.

Quasi 4 ragazzi su 10 ritengono che il periodo a casa da scuola stia avendo ripercussioni negative sulla propria capacità di studiare (37%) e (più di uno su 4) sul proprio rendimento scolastico (27%). Esiste, in ogni caso, un 16% di adolescenti che valuta invece positivamente le ripercussioni di questo periodo sulla propria capacità di studio (il dato sale al 18% tra i ragazzi tra i 16 e i 18 anni) e un 47% che non rileva un particolare impatto. Interrogati sui possibili interventi in ambito scolastico atti a recuperare sul piano educativo, si assiste ad una parcellizzazione delle preferenze dei ragazzi con la richiesta di una diversa modalità di fare didattica al primo posto (poco più di uno su quattro, 26%) insieme ad una maggior quota di ore di lezione in presenza, richiesta da poco meno di uno studente su quattro, il 24% degli intervistati (percentuale che sale al 30% fra i 14-15enni, per i quali rappresenta in assoluto la più citata vs 20% dei 16-18enni).

Didattica a distanza VS Didattica in presenza: cosa ne pensano i ragazzi

4 ragazzi su 10 (38%) bocciano l’esperienza con la DAD. In generale la principale difficoltà sperimentata nella fruizione della didattica a distanza è rappresentata dalla fatica a concentrarsi per seguire le lezioni online (citata da quasi un ragazzo su 2, 45%) e dai problemi tecnici dovuti alla connessione internet/copertura di rete propria o dei docenti (41 e 40% rispettivamente); seguono i problemi tecnici dovuti alla scarsa digitalizzazione dei docenti e la noia (33% ciascuno). Guardando alle dotazioni dei ragazzi, quasi 2 adolescenti su 10 (18%) dichiarano di aver a disposizione un dispositivo condiviso con altri e quasi uno su 10 (8%) si trova a frequentare le lezioni in una stanza con altre persone.

Più di 7 ragazzi su 10 (72%) ritengono che con la DAD sia più difficile imparare cose nuove e socializzare con i compagni. Quota di poco inferiore (68%) considera più difficile concentrarsi durante le lezioni e 1 su 2 (51%) ritiene infine che sia più difficile rispettare il programma scolastico. Non vi è accordo per quel che riguarda il confronto distanza/presenza sulla difficoltà di sostenere una interrogazione orale (il campione risulta più o meno equamente distribuito fra coloro che ritengono che con la DAD sia più facile/più difficile/uguale rispetto alla didattica in aula).

Quanto al modo di fare lezione, il giudizio dei ragazzi è particolarmente interessante. Oltre un terzo degli studenti, il 37%, afferma che la totalità dei propri insegnanti ha continuato a fare lezione allo stesso identico modo di prima, “come se fossimo in aula” invece che dietro ad uno schermo; il 44% sostiene che la maggior parte dei docenti si è comportata così, ma qualche insegnante ha introdotto delle novità; il 19% degli studenti afferma, invece, che la maggior parte dei suoi docenti ha sperimentato nuove modalità di insegnamento. Tra le novità introdotte, i ragazzi segnalano, nell’ordine, l’arricchimento delle lezioni con video e filmati (65%); l’utilizzo della modalità “asincrona”, lezioni digitali caricate dai docenti sulla piattaforma e poi liberamente fruibili dagli studenti (49%); l’impiego di esercizi interattivi, giochi didattici e test (40%); l’utilizzo di App (27%), e via così, fino ad arrivare ad uno sparuto 3% che ha visto i propri docenti cimentarsi anche nell’utilizzo di “giochi di ruolo”.

Ripercussioni della DAD sulla socialità: un anno sprecato

Anche la sfera della socialità risulta impattata negativamente dalla lontananza da scuola: per quasi 6 studenti su 10 (59%) la propria capacità di socializzare ha subito ripercussioni negative, così come il proprio umore/stato d’animo (57%) e una quota di non molto inferiore (52%), sostiene che le proprie amicizie siano state messe alla prova. Per il 18% anche le relazioni con i propri familiari sono peggiorate, anche se una percentuale quasi corrispondente (19%) registra invece un miglioramento delle relazioni familiari durante questo periodo di convivenza forzata (più tra il 16-18enni, 21% rispetto al 15% dei 14-16enni).

Quasi un ragazzo su 4 (24%) pensa che l’allontanamento da scuola stia avendo ripercussioni negative anche sulla propria salute. Difficoltà anche sul fronte delle attività extrascolastiche, sospese per la maggior parte dei ragazzi che le praticavano: mediamente quasi 1 intervistato su 20 dichiara che non riprenderà più le attività che ha dovuto sospendere (sport individuale o di squadra, corsi di musica e canto, teatro, oratorio e altro).

Nonostante la stragrande maggioranza dei ragazzi sia stata portata a riflettere e riconoscere l’importanza dello stare insieme “fisicamente”, una quota non trascurabile (23%) afferma, invece, di aver capito in questo periodo che in realtà non è così importante uscire di casa perché grazie alle nuove tecnologie si può stare in contatto con le altre persone. L’assenza della fisicità (l’83% dei ragazzi riporta di aver visto i propri amici meno spesso di persona, percentuale che sale all’88% per i ragazzi di 14 e 15 anni) è stata sostituita infatti dalla digitalizzazione dei contatti (il 71% ha incrementato l’uso di Chat e messaggi ed il 50% di videocall).

Il rischio di aggravare il divario sociale con la DAD

La scuola è il luogo dove si apprende e dove si costruiscono relazioni significative con gli altri al di fuori della famiglia; è il luogo dove nascono le prime amicizie, che qualche volta accompagnano per tutta la vita; è il luogo dove si affrontano le prime sfide, le difficoltà, le vittorie su se stessi. Secondo l’ONU, la pandemia ha causato “la più grande interruzione dei sistemi educativi della storia, interessando quasi 1,6 miliardi di studenti in più di 190 paesi in tutti i continenti”; secondo le stime, la chiusura delle scuole e degli altri spazi di apprendimento ha avuto un impatto sul 94% della popolazione studentesca mondiale. Anche i bambini, gli adolescenti e le famiglie si sono trovati a vivere un’epoca nuova: quella della didattica a distanza, delle lezioni filtrate dal monitor di un computer, dei compiti scaricati e inviati via email, dei gruppi studio whatsapp, della scuola dal tinello di casa. Non solo il precipitare improvviso nella didattica a distanza dovuto alla chiusura delle scuole, ma anche le misure adottate per garantire la sicurezza degli ambienti quando queste hanno riaperto, hanno cambiato il volto dell’istituzione scuola così come bambini e ragazzi la conoscevano. Un cambiamento così improvviso ha colto la comunità scolastica per molti versi impreparata.

Le perdite di apprendimento che derivano dalla chiusura delle scuole – afferma l’Organizzazione sulla base dei dati OCSE – getteranno ombre lunghe sul benessere economico degli individui e delle nazioni. Le persone che in futuro avranno meno competenze saranno meno in grado di partecipare alle attività economiche e sociali, più bisognose di ricevere trasferimenti sociali. A differenza dell’impatto economico diretto della pandemia, che sarà temporaneo, gli effetti della perdita degli apprendimenti rischiano invece di essere permanenti[6].

Questo stato di incertezza grava pesantemente sui ragazzi e le ragazze, tagliati fuori da ogni forma di consultazione e di ascolto sulle scelte che li riguardano direttamente. Contrapporre Il diritto alla salute e quello all’educazione non può divenire un alibi per non investire tutte le risorse necessarie a garantire la riapertura delle scuole in piena sicurezza. Tenendo conto delle esigenze e delle peculiarità di ciascuna scuola, è necessario utilizzare lo strumento dei “Patti educativi di comunità”, per costruire un progetto educativo coerente con un lavoro di squadra tra istituzioni, scuole, università e istituti di ricerca, organizzazioni civiche e famiglie e, naturalmente, con la partecipazione attiva degli stessi bambini, bambine e ragazzi. Bisogna salvare l’anno scolastico in corso e programmare da subito anche un’estate ricca di opportunità educative, di socialità e di gioco gratuite per tutti i bambini e i ragazzi, a partire da quelli che stanno vivendo, con il black out scolastico, anche i drammatici effetti dell’impoverimento familiare. Per questo motivo, assieme alla rete di educAzioni, abbiamo chiesto al Governo un Piano straordinario per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza che metta assieme, in modo organico, tutti gli interventi che vanno posti in essere per sostenere i minori nell’uscita dalla crisi, in campo educativo così come nel welfare, nella promozione della salute così come nella fruizione di spazi pubblici di socialità”, conclude Raffaela Milano.

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