Lo Stretto di Bering: una macchina del tempo per rivivere il giorno appena passato

Dallo Stretto di Bering passarano quei popoli che costituiscono il mosaico culturale dei nativi americani, ma i visitatori di oggi passando dalla Grande alla Piccola Diomede possono compiere un viaggio a ritroso nel tempo di un giorno intero
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Roald Amundsen nel 1906 apriva la via mitico Passaggio a Nord-Ovest, attraversando quello stesso Stretto di Bering che aveva, nelle passate era geologiche, costituito il ponte di passaggio per le popolazioni che si spostavano tra l’Asia e l’America.

Oggi, al centro dello Stretto di Bering, le due isole Grande Diomede e Piccola Diomede costituiscono il punto più breve tra il territorio russo e quello dell’Alaska statunitense e proprio in questo lembo di mare di circa 3 chilometri passa la linea del fuso orario, consentendo ai rari e temerari visitatori che sfidano le temperature polari di poter compiere un vero e proprio viaggio a ritroso nel tempo.

Lo Stretto di Bering

Lo Stretto di Bering è uno stretto marino che divide l’Alaska statunitense dalla Siberia russa e quindi il continente asiatico da quello americano, nonché punto di comunicazione tra l’Oceano Pacifico e il Mar Glaciale Artico.

Ha una larghezza di circa 82 chilometri e una profondità che varia tra i 30 e i 50 metri; normalmente si presenta ghiacciato fino a marzo dall’Alaska alla Penisola della Kamchatka formando il corridoio che ha permesso di connettere le popolazioni dei due continenti.

Si tratta di un luogo leggendario ai confini del pianeta legato per secoli alla storia della Russia: il primo esploratore, infatti, fu il navigatore Semën Ivanovi? Dežnëv che attraversò lo stretto nel 1648 dalla foce del fiume Kolyma, nell’Oceano Artico, fino al fiume Anadyr, nel Pacifico.

Questo territorio rimase di proprietà russa fino al 1867, quando, fu comprato dagli Stati Uniti per 7,2 milioni di dollari. Qui passarono grandi esploratori, tra tutti, Roald Amundsen che partito dalla Baia di Baffin in Canada, sbarcò nel 1906 a Nome, aprendo così per la prima volta il tanto vagheggiato Passaggio a Nord-Ovest.

Le Isole Diomede: la macchina del tempo al centro del Pacifico

Al centro dello Stretto di Bering si trovano le Isole Diomede, due aree rocciose che spuntano nel gelido confine tra la punta occidentale dell’Alaska e l’estremo oriente russo.

La Piccola Diomede appartiene amministrativamente agli Stati Uniti mentre la Grande Diomede alla Russia, le due Isole e di conseguenza i due Stati distano solo 3 chilometri l’una dall’altra e la particolarità non è tanto il fatto che siano il punto più vicino tra questi due continenti, quanto quello che nel lembo di mare che separa le due isole passa la linea del cambiamento di data.

Sulla Diomede russa il fuso orario è UTC (fuso orario di base del Tempo universale coordinato) +12 mentre sulla Piccola Diomede vi è UTC -9, il che porta le due isole a differire di 21 ore l’una dall’altra.

Sebbene il tramonto sia osservabile nello stesso momento, la Grande Diomede lo percepisce all’una del pomeriggio mentre nella Piccola Diomede il sole viene visto calare alle quattro ma del giorno precedente.
Chiunque si imbarchi dalla Grande Diomede verso la Piccola si troverà nel giorno precedente, prendendo parte a quello che è una bizzarra spedizione nel tempo.
Tuttavia, questo viaggio nel tempo è un’ipotesi remota dato che la zona si trova di poco al di sotto del Circolo Polare Artico e le condizioni del clima particolarmente duro rendono difficile questa spedizione.
La Russia, infatti, nel 1948 ha trasferito in terraferma tutti gli abitanti della Grande Diomede, trasformandola solamente in un avamposto militare con una stazione polare.

L’unica ad essere abitata è quindi Little Diomede, con una manciata di case affacciate proprio sulla Big, un centinaio di residenti che vivono di caccia e pesca e una scuola per una ventina di ragazzi che vanno dalle elementari alle superiori.

Beringia: il Ponte sullo Stretto di Bering

Secondo alcuni studiosi i primi uomini che misero piede sul continente americano passarono attraverso un ponte di terra tra i due continenti chiamato Beringia, quando durante le ere glaciali lo stretto, ghiacciandosi, emergeva dall’acqua (anche a causa dell’abbassamento del livello del mare) creando un vero e proprio ponte tra i continenti.

Le popolazioni asiatiche che giunsero in diverse ondate migratorie, quindi, avrebbero attraversato l’istmo tra l’Alaska e la Siberia circa 12.000 anni fa e da lì si sarebbero diffusi in tutto il territorio separandosi in numerosi gruppi.

Secondo un modello più recente, invece, i flussi migratori che permisero di popolare il continente americano giunsero via mare attraverso lo Stretto di Bering all’incirca 40.000 anni fa.A supporto di questa teoria vi sono le ricerche e i ritrovamenti come quello di 33 crani nella zona meridionale della California che ripoterebbero tracce genetiche riconducibili all’Asia meridionale e alla Siberia.

L’origine delle popolazioni native americane

Già a partire dalla fine del XIX secolo, le popolazioni native iniziarono a diventare di grande interesse per gli antropologi; mentre nei decenni più recenti, gli studi hanno riguardato anche la genetica di questi popoli che per secoli hanno vissuto in isolamento.

In un lavoro pubblicato dall’American Journal of Human Genetics, i ricercatori dell’Università della Pennsylvania si sono occupati della comparazione del patrimonio genetico di diverse popolazioni native americane e della regione del Sud della Siberia dei Monti Altaj.

Le analisi sono state effettuate sulle variazioni del DNA mitocondriale e su quelle del cromosoma Y e hanno consentito di evidenziare le evidenti differenze genetiche tra le popolazioni residenti nel Nord dell’area geografica dei Monti Altaj rispetto a quelle del Sud.
In queste ultime sono stati ritrovati elementi di DNA originatosi proprio in Asia e che sono riscontrabili anche in quasi tutti i nativi americani.
In tal modo, si sono dettagliate con maggiore precisione le connessioni tra le due popolazioni e si è reso evidente il fatto che queste possono vantare antenati in comune risalenti a 20.000 anni fa.

Quello che è certo è che l’immenso mosaico di culture dei primi abitanti del continente americano è stato sottoposto a dure prove storiche determinate per lo più dall’impatto con i popoli occidentali che sono stati spesso rei di veri e propri genocidi e della distruzione di vasti ambiti culturali.

Molte di queste culture sono sparite per sempre nell’oblio generato dai dominatori, lasciando solo frammentarie tracce di sé; mentre altre sopravvissero, per nostra fortuna, all’impatto con i popoli occidentali e continuano ancora oggi la dura lotta per ritagliarsi riserve di spazio ambientale e culturale in cui tentare di perpetrare le tradizioni che arricchiscono tutti coloro che sappiano coglierne la valenza storica.

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