Ulan Bator viene raccontata da decenni come la capitale più brutta del mondo, e in effetti, l’edilizia abbandonata dell’epoca sovietica commista malamente ai grattacieli di epoca moderna e ai chilometri di yurte che si estendono ai limiti del centro cittadino hanno creato un pericoloso sovrappopolamento che ha fatto della capitale della Mongolia una delle città più inquinate al mondo.
Tuttavia, il carattere accogliente della popolazione consente ai visitatori di essere accolti nelle yurte, le case di lana dei nomadi mongoli, e assistere ai rituali e a un modo di vivere rimasto quasi immutato nei secoli.
La città, poi, conserva alcuni elementi di pregio storico e architettonico come: il Palazzo d’Inverno, il Monastero di Gandan, Piazza Gengis Khan e il Museo di Storia Naturale ricchissimo dei preistorici fossili di dinosauri provenienti dal Deserto del Gobi.
Inquinamento ed edilizia
La città assunse, poi, l’attuale denominazione che letteralmente si traduce con “eroe rosso”, nel 1929, in onore dell’eroe della rivoluzione del 1921 Sukhbaatar e si erge nella parte centro-settentrionale del paese sul fiume Tuul Gol in una valle ai piedi del monte Bogd Khan Uul, circondata dalle 4 montagne sacre.
La città sorge improvvisa al centro della steppa mongola e le colline aride e nude circondano la città vera e propria che si trova in una conca.
Non esistono periferie e le yurte che si trovano quasi al centro del circuito cittadino costituiscono l’unico elemento tra la sterminata steppa e la bizzarra metropoli in cui si mescolano le architetture del realismo socialista di matrice sovietica, ai palazzi di cemento armato, ai grattacieli in vetro, come quello che si trova in pieno centro e ha la forma di una grande vela.
In città un fiume di automobili scorre incessantemente e un pulviscolo costante appanna le strade costringendo i pedoni a coprirsi il volto, il traffico non diminuisce neppure la sera ma a quel punto solo le luci delle auto illuminano una città che vive nella penombra.
Oggi la pianta di Ulan Bator ha assunto le sembianze di una grande piovra con le zone periferiche che si estendono come tentacoli per chilometri, arrampicandosi sulle colline circostanti, sono i quartieri popolari sorti negli ultimi dieci anni che vengono abitati da migliaia di pastori nomadi.
Sebbene la capitale mongola sia progettata per ospitare circa 700.000 persone oggi ne vivono circa il doppio, un sovraffollamento dovuto in parte al crollo dell’Unione Sovietica e in parte al cambiamento climatico.
Negli ultimi 70 anni la temperatura media della Mongolia è aumentata di oltre 2 gradi, più del doppio dell’aumento globale medio; elemento che ha inasprito un fenomeno meteorologico conosciuto nel Paese come Dzud: una corrente di aria ghiacciata pronta a calare direttamente sulla Mongolia e il Deserto del Gobi dal pack dell’Artico che provoca un violento sbalzo termico e crea estati insolitamente secche seguite da inverni terribilmente gelidi.
Così Ulan Bator è diventata la capitale più inquinata del mondo, qui, infatti, in inverno il livello di particelle pm (materiale particolato, cioè le polveri sottili) raggiunge i 2,5 punti, e si è arrivati a toccare 3.320 microgrammi di particolato per metro cubo d’aria, ossia un limite 133 volte superiore a quello fissato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Per comprendere cosa significhi vivere a Ulan Bator in queste circostanze, basta pensare che due persone che camminano affiancate l’una all’altra nei giorni peggiori non riescono a vedersi tra di loro.
Il clima impervio di Ulan Bator
La temperatura più fredda qui mai registrata è quella di -49°C e il generale clima freddo è causato in parte dall’altitudine (1.300 metri slm), in parte dalla distanza dal mare e in parte dalle caratteristiche climatiche del continente che con il suo clima subartico influenzato dai monsoni, condizionano Ulan Bator facendone la più fredda capitale nazionale del mondo.
Anche le estati che portano bel tempo in città non superano solitamente i 20 gradi, tuttavia, consentono ai visitatori di esplorare le 4 montagne sacre avvolte dalle fitte foreste di pini che si trovano a nord della capitale mongola e le steppe erbose che si aprono verso sud.
La capitali più fredde del mondo
Ulan Bator: tradizioni e cultura
È facile che i visitatori vengano invitati ad entrare nelle tende e banchettare con il formaggio acido secco e con la particolare vodka prodotta con il latte, assaporando cibi e assistendo a rituali e gesti che sono gli stessi, immutati da secoli.
La popolazione delle yurte vive ancora secondo il tradizionale nomadismo e ogni pochi mesi la casa di lana viene arrotolata e spostata per decine di chilometri.
Un tempo a Ulan Bator erano mobili persino i palazzi dei principi e dei comandanti, ve ne è memoria sulle banconote da 500 e da mille tughrik che riportano da un lato il ritratto di Gengis Khan, e dall’altro l’immagine della sua residenza nella steppa: 22 buoi che trascinano una tenda sistemata su una piattaforma circolare.
Monumenti, storia e architettura di Ulan Bator
Il Museo di Storia Naturale consente di fare un vero e proprio balzo nella preistoria per ammirare alcuni degli scheletri integrali di dinosauri rinvenuti nel deserto del Gobi negli anni ‘20 dal paleontologo Ray Chapman Andrews oltre a innumerevoli fossili come ossa e uova di dinosauro e meteoriti.
Tra i monumenti più importanti della città vi sono i suoi monasteri, tra tutti il Monastero di Gandan, un monastero buddhista tibetano che agli inizi del XIX secolo costituiva una vera e propria città nella città, con i suoi 60.000 abitanti, e il centinaio di templi che vi sorgevano e in cui i cittadini potevano rendere omaggio a oltre 30.000 statue di Buddha.
Una cultura architettonica distrutta dalle purghe staliniane degli anni ’30 e che solo nel tempo è stata parzialmente ricostruita.
Oggi il Monastero ospita oggi circa 600 monaci e le sue maggiori attrazioni sono il Tempio di Ochidara, con le sue decine di ruote della preghiera, e l’edificio bianco del Migjid Janraisig Sum.
La statua dorata del Buddha della Misericordia alta ben 26 metri e realizzata in rame e ricoperta d’oro è stupefacente.
Tutto intorno, in un’atmosfera resa quasi surreale dal forte odore d’incenso e dalle luci tremolanti delle candele, vi sono centinaia di figure di Ayush, tonnellate di erbe medicinali, rotoli di mantra e addirittura una yurta con tanto di arredi.
Uno degli edifici più maestosi di Ulan Bator è il Palazzo d’Inverno, dove visse l’ultimo sovrano mongolo e il primo governatore della Mongolia dopo l’indipendenza conquistata nel 1921 dal Paese.
La struttura occupa un importante spazio verde e il portone d’ingresso è realizzato con 108 incastri e senza l’utilizzo di alcun chiodo.
All’interno della magnifica struttura bianca sono custoditi gli arredi originali e i doni ricevuti dalle varie autorità straniere; il piano superiore ospita il trono e una collezione di thangka (stendardi buddhisti ricamati e appesi), ma anche oggetti insoliti come la parrucca e i gioielli della regina, una catene di teschi d’avorio e la collezione di animali imbalsamati parte della collezione personale di Bogd Khan.