I virus, questi agenti infettivi quasi invisibili ma in grado di causare pandemie come quella che il mondo sta vivendo ormai da oltre un anno, sono stati scoperti in un momento ben preciso, ovvero il 12 febbraio 1892. Il primo ad ipotizzarne l’esistenza, proprio in quella data, fu il botanico russo Dimitri Ivanovski. L’intuizione è arrivata dall’osservazione di un morbo che attaccava le piantagioni di tabacco, causato da un agente infettivo che, a differenza dei batteri, era addirittura in grado di attraversare la porcellana.
Gli studi scientifici di Ivanovski sono stati incentrati su quattro temi principali, ovvero le malattie delle piante di tabacco, la fermentazione del lievito, la microbiologia del suolo e la fotosintesi. Il suo contributo alla letteratura scientifica russa è stato fondamentale, con la pubblicazioni di numerosi studi, sia critici che enciclopedici. Parallelamente agli studi di Ivanovski, nel campo della biologia, Pasteur e i suoi assistenti stavano ponendo le basi di una nuova scienza, ovvero lo studio degli esseri miscroscopici, facendo emergere la loro importanza nella vita degli esseri umani. Non solo, infatti, i microbi causavano fermentazione e alcune malattie, ma si dimostrò che, attraverso l’uso di ceppi attenuati, l’immunità a questi piccoli esseri poteva essere conferita all’uomo.
Dopo poco tempo da quando Ivanovski entrò nel Dipartimento di Storia Naturale della Facoltà di Fisica e Matematica dell’Università di San Pietroburgo, nel 1883, Robert Koch annunciò la scoperta dei bacilli tubercolari, e Friedrich Loeffler isolò l’agente eziologico della difterite. Era un periodo prolifico per le scoperte in campo microbiologico. Fu in quel periodo che Il’ja Il’i? Me?nikov, embriologo affascinato dalla microbiologia, propose la sua nota teoria della immunità cellulare. Poi, nel 1884, un arguto allievo di Pasteur, Charles Chamberland, scoprì il filtro batteriologico, ovvero proprio quello strumento che dopo qualche anno permise ad Ivanovski di scoprire l’esistenza dei virus.