A poco più di trent’anni dalla sua entrata in vigore, il Protocollo di Montreal per la protezione dell’ozono stratosferico, che limita la produzione e l’uso di gas ozono-distruttori, è considerato uno dei maggiori successi della cooperazione internazionale, data l’ampia adesione. Ben 197 paesi hanno ratificato il trattato, impegnandosi a drastiche limitazioni nella produzione e nell’uso di questi composti. Tuttavia, risulta fondamentale riuscire a controllare il rispetto degli accordi. Misurare in continuo i livelli di questi gas in atmosfera è uno degli strumenti disponibili per questo controllo, implementato attraverso la messa in rete di osservatori che, sotto l’egida del WMO (l’Organizzazione mondiale della meteorologia), misurano in tutto il mondo e da molti anni i livelli atmosferici dei composti dannosi per l’ozono. Tra le stazioni che fanno parte delle reti di misura globali c’è l’Osservatorio climatico Ottavio Vittori, posto sulla vetta del Monte Cimone e gestito dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac) in collaborazione con l’Aeronautica militare. Sul Cimone, grazie alla collaborazione con l’Università di Urbino, da 20 anni si misurano, tra gli altri, i gas responsabili del “buco” nell’ozono stratosferico.
Lo studio conferma l’utilità di queste ricerche nel controllo del rispetto degli accordi internazionali. “Nel 2018 i ricercatori della NOAA statunitense avevano appurato una violazione del Protocollo di Montreal da parte della Cina, dove è stata poi accertata la presenza di impianti industriali che dal 2013 producevano illegalmente CFC-11, un composto utilizzato per la creazione di schiume poliuretaniche fortemente dannoso per l’ozono”, conclude la ricercatrice di Uniurb e Cnr-Isac. “Questa rivelazione ha portato il governo cinese a prendere provvedimenti immediati che hanno dato dei frutti, come dimostrano due articoli appena pubblicati su Nature (https://www.nature.com/articles/s41586-021-03277-w): le emissioni di CFC-11 dalla Cina orientale sono tornate a diminuire, con conseguente limitazione dei potenziali danni all’ozono stratosferico”.