In un anno in cui l’inverno ha regalato tante belle soddisfazioni, tra freddo e neve, ci ha pensato la pandemia da SARS-CoV-2 a impedire agli appassionati di montagna di godere di queste condizioni. Infatti, l’Italia ha deciso di chiudere gli impianti sciistici per evitare che questo influisse sulla situazione epidemiologica del Paese, già devastato da uno dei lockdown più rigidi e lunghi la scorsa primavera.
A proposito della follia del lockdown, è tornato ad esprimersi il professor Andrea Crisanti, ordinario di microbiologia all’Università di Padova. “Un lockdown nazionale? E’ quello che ho detto anche io. Fra una settimana la variante inglese si diffonderà a una velocità senza precedenti e qui si parla di riaprire tutto. C’è un totale scollamento tra quelle che sono le aspirazioni della gente, come vengono interpretate dalla politica, e quella che è la realtà. Ancora non ci siamo allineati con l’esigenza di fermare il contagio. La variante inglese è già nel 20% dei casi in Italia – afferma Crisanti – Il vero problema è che manca un piano nazionale di sorveglianza delle varianti. Se una variante emerge in qualche posto c’è solo una cosa da fare: non la zona rossa come quella di ora ma una zona rossa come era quella di Codogno. Per impedire che si diffonda non ci sono alternative. La variante inglese è destinata ad aumentare. In tre settimane è passata da meno di 1% al 20%, è quella che diventerà predominante nel nostro Paese”.
E parlando di lockdown, Crisanti si ricollega al tema degli impianti da sci, che in Italia non riapriranno domani, lunedì 15 febbraio, come previsto, ma che resteranno chiusi fino al 5 marzo. “Sembra che i consulenti del Ministero si siano svegliati adesso. Riaprirli è una follia totale. La responsabilità di questa situazione è tutta dei politici, se si fosse continuato il lockdown di maggio e invece di sparare al virus con le pistole ad acqua come gli antigenici si fosse fatto un programma di sorveglianza non saremmo a questo livello. L’epidemia non si vince con la demagogia”, afferma Crisanti.
Eppure ci sono tanti esempi di Paesi in Europa che hanno tenuto gli impianti sciistici aperti, sostenendo l’economia della montagna, senza che questo influisse negativamente sulla situazione epidemiologica. In Svizzera, oggi, domenica 14 febbraio, è il 99° giorno consecutivo in cui gli impianti sciistici sono rimasti aperti, nonostante la pandemia. Nel Paese elvetico, i casi giornalieri si attestavano oltre soglia 10.000 a inizio novembre, ma da allora la tendenza è in calo, con poche migliaia di casi al giorno a febbraio. Anche il numero delle vittime è in calo, dal centinaio giornaliero di inizio novembre alle poche decine del mese di febbraio.
Anche Austria, Ungheria, Spagna, Andorra, Svezia, Finlandia e Norvegia hanno tenuto le piste da sci aperte in questo inverno segnato dalla pandemia e anche in questi casi, la decisione non ha influito sulle sorti della pandemia.
In Austria, i casi giornalieri a inizio novembre erano 5.000-9.000 ma da allora è iniziato un calo che ha portato ad avere 1.000-1.500 casi al giorno. Anche in Ungheria, i casi giornalieri sono in deciso calo: rispetto ai 5.000 di novembre, ora si attestano tra 1.000 e 2.000. In Svezia, c’è stato un leggero incremento dei casi giornalieri a dicembre, a cui poi è seguito un calo che ha riportato i dati al di sotto dei valori di novembre. Per quanto riguarda i decessi giornalieri, sono scesi clamorosamente da fine gennaio, attestandosi a poche decine nel mese di febbraio. In Norvegia, si è registrato un aumento dei casi nella prima metà di gennaio, a cui è seguito un crollo che si mantiene stabile ancora oggi.
Unica eccezione il caso della Spagna, che registra un incremento dei contagi giornalieri da inizio dicembre, con un calo iniziato a metà gennaio.
Tra i grandi Paesi europei, oltre all’Italia, anche Francia e Germania hanno tenuto chiuse le loro stazioni sciistiche per i timori legati alla pandemia.