In un anno in cui l’inverno ha regalato tante belle soddisfazioni, tra freddo e neve, ci ha pensato la pandemia da SARS-CoV-2 a impedire agli appassionati di montagna di godere di queste condizioni. Infatti, l’Italia ha deciso di chiudere gli impianti sciistici per evitare che questo influisse sulla situazione epidemiologica del Paese, già devastato da uno dei lockdown più rigidi e lunghi la scorsa primavera.
A proposito della follia del lockdown, è tornato ad esprimersi il professor Andrea Crisanti, ordinario di microbiologia all’Università di Padova. “Un lockdown nazionale? E’ quello che ho detto anche io. Fra una settimana la variante inglese si diffonderà a una velocità senza precedenti e qui si parla di riaprire tutto. C’è un totale scollamento tra quelle che sono le aspirazioni della gente, come vengono interpretate dalla politica, e quella che è la realtà. Ancora non ci siamo allineati con l’esigenza di fermare il contagio. La variante inglese è già nel 20% dei casi in Italia – afferma Crisanti – Il vero problema è che manca un piano nazionale di sorveglianza delle varianti. Se una variante emerge in qualche posto c’è solo una cosa da fare: non la zona rossa come quella di ora ma una zona rossa come era quella di Codogno. Per impedire che si diffonda non ci sono alternative. La variante inglese è destinata ad aumentare. In tre settimane è passata da meno di 1% al 20%, è quella che diventerà predominante nel nostro Paese”.
Anche Austria, Ungheria, Spagna, Andorra, Svezia, Finlandia e Norvegia hanno tenuto le piste da sci aperte in questo inverno segnato dalla pandemia e anche in questi casi, la decisione non ha influito sulle sorti della pandemia.
Unica eccezione il caso della Spagna, che registra un incremento dei contagi giornalieri da inizio dicembre, con un calo iniziato a metà gennaio.
Tra i grandi Paesi europei, oltre all’Italia, anche Francia e Germania hanno tenuto chiuse le loro stazioni sciistiche per i timori legati alla pandemia.