Roald Amundsen fu uno degli esploratori polari più celebri di tutti i tempi e a lui si deve la prima apertura del Passaggio a Nord-Ovest.
Tuttavia, quest’impresa durò ben tre anni dal 1903 al 1906 quando l’avventura si concluse con successo. Nel frattempo, l’equipaggio norvegese trascorse 2 inverni con gli Inuit, verso cui Amundsen non ebbe mai un atteggiamento sprezzante o aristocratico.
Al contrario, intessendo stretti rapporti con questa comunità e grazie ai consigli preziosi che ricevette, Amundsen imparò ad adattarsi alle situazioni più estreme e questo si rivelò la chiave del suo successo.
Questo straordinario popolo, vive ancora oggi come ha fatto per 15.000 anni attraverso una simbiosi e un rispetto per la natura che è ancora d’esempio per coloro che sono disposti ad accoglierlo.
Amundsen e gli Inuit
Il Passaggio a Nord-Ovest scoperto da Amundsen non ebbe un utilizzo pratico come rotta commerciale, ma la ricerca del Passaggio possedeva allora come oggi una dimensione di conquista senza un utile a breve termine.
Amundsen aveva risposto a una chiamata personale alla quale non poteva sottrarsi e da cui ricavò non solo un’esperienza trofeo, ma anche una grande quantità di dati scientifici, i più importanti dei quali riguardavano il magnetismo terrestre, e registrarono le proprie osservazioni sull’esatta locazione del Polo Nord magnetico.
Il suo viaggio alla conquista del Passaggio a Nord-Ovest iniziò nell’estate del 1903, quando l’esploratore norvegese salpò appena in tempo per sfuggire ai creditori che cercavano di fermare la sua spedizione. Con la Gjøa lasciò il fiordo di Oslo, con il suo equipaggio di 6 uomini si preparò ad aprirsi la strada tra le acque ghiacciate del Passaggio a Nord-Ovest.
Amundsen si diresse verso il Mare del Labrador a ovest della Groenlandia, da qui attraversò la Baia di Baffin e imboccò gli stretti ghiacciai dell’arcipelago artico canadese. A ovest della Boothia il tempo avverso e il mare ghiacciato bloccarono la nave di Amundsen in un porto naturale presente sulla costa meridionale dell’Isola di Re Guglielmo.
Verso la fine dell’ottobre 1903, una piccola banda di Inuit apparve a Gjøahavn. Questi erano Netsilik, il più isolato degli Inuit canadesi. I loro antenati avevano incontrato esploratori britannici nel secolo precedente, ma questo gruppo non aveva mai visto prima un uomo bianco.
Amundsen fece immediatamente amicizia con loro e portò avanti una relazione amichevole. I norvegesi impararono la loro lingua e furono presto in grado di comunicare pienamente con gli Inuit.
Gli Inuit insegnarono ai norvegesi come creare gli igloo, poiché tra -30 e -60 ° centigradi le tende erano molto fredde e umide, mentre gli igloo erano molto più caldi, antivento e asciutti.
Tra le informazioni utili che appresero dagli Inuit vi furono quelle relative alle slitte, il ghiaccio infatti a temperature inferiori ai -25° centigradi diviene come sabbia e le slitte non scivolano più, gli Inuit insegnarono ad Amundsen e i suoi come riattivare i pattini sfregando acqua sugli stessi con la pelle d’orso.
Inoltre, quando il paesaggio innevato e il cielo grigio si fondevano insieme, i cani si rifiutavano di andare avanti perché non potevano vedere dove si stavano dirigendo.
Il rimedio degli Inuit a questa eventualità era quello di far correre le donne della famiglia davanti ai cani o addirittura imbrigliate esse stesse con i cani. In questo modo, gli animali erano più che disposti a tirare in tutti i tipi di condizioni.
E ancora Amundsen e i suoi impararono a cacciare foche, l’arte di vestirsi con le pellicce larghe, andare in kayak e pescare nel ghiaccio; i norvegesi ricambiarono fornendo agli Inuit coltelli, aghi e fiammiferi, altri strumenti di legno e metallo e, se necessario, cibo.
Andavano spesso nei campi gli uni degli altri e studiavano le reciproche culture. Amundsen era affascinato da queste persone e dalla loro capacità di sopravvivenza. Egli trascorse molto tempo a studiare tutti gli aspetti della cultura e delle tradizioni Inuit e raccolse una vasta collezione di manufatti, inclusi vestiti, strumenti da caccia, utensili, kayak e slitte.
Il suo diario offre ancora oggi grandi spunti di riflessione sulla vita degli Inuit Netsilik all’inizio del 1900, tanto che la collezione Amundsen è oggi riconosciuta come un importante contributo all’etnografia polare ed è stata presentata al Museo di Storia Culturale di Oslo.
Queste abilità le apprese da un popolo che viveva tutt’uno con la terra. Gli Inuit vivevano in un rapporto profondo con la terra, non dominandola ma vivendo come parte dell’ecosistema. Furono i suoi studi e la sua comprensione di questa intensa e reciproca relazione tra uomo e natura, nonché le conseguenti abilità acquisite che si rivelarono la chiave del successo della sua squadra che divenne la prima a circumnavigare il Passaggio a Nord-Ovest nel 1906.
La conquista del Passaggio a Nord-Ovest di Roal Amundsen
Chi sono gli Inuit
Inuit è il nome etnico con il quale la lingua inuktitut designa i popoli indigeni del Nord dell’Alaska, del Canada artico e della Groenlandia; in particolare si chiamano così le popolazioni dell’Artico canadese, mentre la Groenlandia da ospitalità a tre differenti popolazioni gli Iit, gli Inughuit e i Kalaallit.
Gli Inuit che vivono in Alaska si autodefiniscono Alutiiq, Yupik o Inupiaq (Nord dell’Alaska), mentre gli Inuvialuit provengono dai territori nordoccidentali del Canada. Infine, i popoli autoctoni dell’Alaska e che vivono nella zona del Mare di Bering si chiamano in generale Eskimo, in tutti gli altri luoghi il termine eschimese è considerato dispregiativo in quanto, secondo alcuni, sarebbe una traduzione di una parola che gli indiani Montagnais utilizzavano con il significato di “mangiatori di carne cruda”.
Queste popolazioni autoctone costituiscono il principale gruppo della cultura circumartica e vivono oltre il limite naturale della vegetazione arborea.
Si stima che siano circa 160.000 e vivono in un territorio amplissimo che va dalla Russia al Canada, passando per l’Alaska statunitense alla Groenlandia danese; tuttavia, sono accomunati da una cultura basata sull’utilizzo di antiche tecnologie e di strumenti tipici prodotti con le uniche e parche risorse recuperate nell’ambiente: ossa, legni, metalli e pelli di animali.
Le loro principali fonti di sostentamento sono la pesca, la caccia e l’utilizzo di alcune razze di animali di sussistenza come le renne che vengono impiegate come animali da tiro per il trasporto delle merci e come fonte essenziale di cibo e vestiario. Lo stretto rapporto tra queste popolazioni e le renne è confermato anche dalle numerosissime incisioni che rappresentano questi animali su oggetti di uso domestico.
Le temperature alle quali queste popolazioni vivono mettono a dura prova la vita umana, infatti d’estate oscillano tra i 10° e i -10° centigradi, mentre d’inverno si aggirano intorno ai -40° centigradi; nonostante ciò, nel tempo gli Inuit hanno imparato a convivere con la coltre di ghiaccio di tre metri che li circonda e a resistere ai lunghi e freddi inverni durante i quali la slitta rappresenta l’unico mezzo di trasporto possibile.
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La vita degli Inuit
La slitta utilizzata dagli Inuit si chiama gamutik e la sua lunghezza varia da 1 a 5 metri, è formata da una piattaforma costruita con assi di legno intrecciate con l’aiuto di corde ottenute con le pelli di foca e collegate a due pattini ricavati da ossa o corna.
Per navigare sul Mar Glaciale Artico, gli Inuit utilizzano come imbarcazioni lo umiaq e il kayak. Lo umiaq è un’imbarcazione in legno rivestita di pelle di foca o tricheco, lunga circa 10 metri e larga 2, con fondo piatto e manovrata a remi, che può contenere fino a 30 persone, ed è descritto spesso come “barca delle donne” poiché quasi sempre trasporta un equipaggio femminile.
Il kayak, invece, è usato da un singolo uomo, e consiste in un’imbarcazione in legno, a pagaia a pala doppia, utilizzata esclusivamente per la caccia. Anche questo mezzo ha un rivestimento in pelle di foca che serve a impermeabilizzare la struttura.
Sia il kayak che l’umiaq sono impiegati per la caccia ad animali come narvali, beluga, foche e balene grazie all’utilizzo di un arpione.
La caccia alle foche si svolge anche con lunghi appostamenti, di ore o addirittura giorni, vicino ai fori nel ghiaccio utilizzati da questi animali per respirare.
I più giovani, dotati di archi e frecce ma anche di bolas, lance e trappole di vario tipo, contribuiscono con la caccia ad oche, anatre, gabbiani, volatili vari, scoiattoli, lepri, volpi e persino lupi.
Gli uomini, invece, si dedicano alla caccia di orsi, buoi muschiati e caribù, mentre il pescato è ottenuto con amo e filo calati nei fori praticati nel ghiaccio.
Tutte le prede una volta catturate vengono divise con le varie famiglie e l’attività venatoria tutta è intrisa di un forte sentimento religioso poiché per gli Inuit tutti gli esseri viventi posseggono un’anima, inua, che continua a vivere anche dopo la morte per reincarnarsi in una nuova vita.
Per questi popoli sono gli animali stessi che si concedono al cacciatore e se viene loro mostrata devozione e rispetto durante e dopo la caccia gli spiriti degli animali cacciati, una volta reincarnati saranno nuovamente disponibili a concedersi al cacciatore per far sopravvivere gli uomini; è questo il motivo per cui gli Inuit sostengono che la loro sia una “dieta basata sugli spiriti”.
Gli uomini che si cimentano nella caccia alle balene in segno di rispetto indossano abiti nuovi e i pesci sono disposti con la testa rivolta verso la direzione in cui stavano nuotando così che il loro spirito possa continuare il cammino previsto.
Chiunque faccia soffrire senza nessun motivo o uccida senza necessità, secondo la credenza Inuit verrà colpito da grandi sfortune.
Gli Inuit credono che tutto il creato sia regolato dagli spiriti, i tuurngait, che possono essere considerate delle vere e proprie divinità a capo di cui vi è Torngarsuk, lo spirito superiore che possiede le sembianze di un orso; Sedna, invece, è la grande dea del mare che con il suo aspetto da sirena abita il fondo dell’oceano e spinge in superficie gli animali che saranno oggetto di caccia; il dio dell’aria è Silap Inua che domina gli eventi atmosferici e la vita degli esseri viventi; e Seginek, è lo spirito del sole che porta buone condizioni climatiche.
Gli Inuit non si pongono troppe domande sull’esistenza e credono che il primo uomo sia semplicemente emerso un giorno.
Il tramite tra il mondo degli spiriti e gli uomini è lo sciamano, l’angakkug che riesce attraverso il suono del tamburo a raggiungere un livello estatico che gli fa comprendere le intenzioni e il volere degli dèi.
La fortuna è affidata agli amuleti di cui i popoli Inuit fanno grande uso, questi vengono indossati o posti sulle armi; gli inuksuit sono invece considerati oggetto di venerazione. Sono costruiti impilando una sull’altra delle pietre fino ad assumere varie forme, compresa quella umana.
Gli Inuit hanno in grande cura l’educazione dei bambini che avviene attraverso la libertà, la parola e l’esempio senza porre alcuna limitazione o punizione; essi, infatti, sono gli spiriti degli antenati che si sono reincarnati e rivivono nei bambini che vengono perciò trattati come adulti.
Il bagaglio di nozioni che un genitore trasmette ai figli, servirà a far imparare i ruoli che avranno in futuro e i compiti che saranno loro assegnati e spesso questo avviene proprio attraverso il gioco, nessuno dei quali è prerogativa dei bambini poiché anche gli adulti giocano a gare di acrobazie, con i giocattoli tipici e persino a nascondino.
Il destino degli Inuit
Oggi molti giovani che guardano il mondo occidentale in televisione si sentono prigionieri del Polo e impossibilitati a raggiungere una realtà che desiderano.
Gli anziani, invece, sono le persone più vivaci ed entusiaste grazie a una vita condotta in osservanza della propria tradizione culturale, sono loro le ultime testimonianze di questo rapporto indissolubile con il territorio.
Alcune delle istanze del mondo globalizzato rischiano di distruggere il loro modo di vivere come l’insensato divieto di caccia, che per gli Inuit rappresenta l’attività fondamentale per la sopravvivenza fisica e culturale.
Inoltre, l’azione dell’uomo sul clima che sta provocando lo scioglimento dei ghiacci e l’innalzamento del livello del mare, rischia concretamente di portare alla scomparsa della civiltà Inuit entro un secolo, secondo quanto viene calcolato dagli studiosi.
Il clima artico si sta riscaldano a una velocità di tre o quattro volte superiore rispetto a quanto avviene a latitudini inferiori e questo ha determinato un ritiro dei ghiacci che ha portato a un volume estivo che oggi è appena un quarto rispetto a quello di trenta anni fa.
Ciò ha determinato l’azione erosiva delle onde sulle coste artiche e la conseguente necessità di riposizionare alcuni villaggi per evitare che vengano inghiottiti dalle acque; per gli Inuit questo si è tradotto in grosse difficoltà sul piano sia della caccia che della pesca, poiché specie come le balene non compaiono più nei luoghi e nei numeri a cui questi popoli erano abituati.
Nonostante questi cambiamenti vengano affrontati da queste popolazioni con grande pazienza, la stessa che ha permesso loro di sopravvivere per 15.000 anni di storia, la minaccia al loro modo di vivere appare incontrovertibile e la necessità di tutelarne lo stile di vita tradizionale una priorità da non sottovalutare e una responsabilità di tutti i paesi industrializzati.