C’è un’enorme quantità di carbonio nel permafrost artico, potenzialmente fino a quattro volte la quantità totale di CO2 emessa dalle moderne attività umane. È uno dei motivi per cui gli scienziati sono così preoccupati per lo scioglimento dell’Artico: quando il ghiaccio scompare, questo carbonio viene rilasciato nell’ambiente. La brutta notizia è che un nuovo studio ha dimostrato che il disgelo dell’Artico potrebbe rilasciare molto più carbonio di quanto previsto anche dai nostri peggiori modelli.
Tutto ciò accade perché i microbi ‘affamati’ in agguato nel suolo artico riescono a recidere le minuscole catene molecolari di ferro che in genere incatenano il carbonio al suolo, il che significa che è stato sottovalutato il rischio che venga rilasciato nell’atmosfera. Questi batteri che riducono il ferro si attivano con l’aumento delle temperature e possono rendere l’intero serbatoio di carbonio molto più instabile. Il riscaldamento del pianeta, dunque, influisce sull’attivazione dei batteri stessi.
La scoperta è stata confermata in una singola palude nel nord della Svezia, sebbene i suoi risultati riflettano condizioni generalizzate. Questi risultati, del tutto nuovi per la scienza, potrebbero cambiare la visione degli attuali modelli climatici. Se i batteri stanno davvero minando il potere che il ferro ha di trattenere il carbonio in tutto l’Artico, il timore dei ricercatori è che lo scioglimento del permafrost potrebbe portare alla luce molte più emissioni di carbonio di quanto previsto anche dai nostri scenari peggiori.
Secondo il team, la quantità di carbonio aggiuntivo che potrebbe essere rilasciato, attualmente intrappolato e legato dal ferro, potrebbe essere pari al cinque percento di tutto il carbonio già presente nella nostra atmosfera, ovvero cinque volte di più della quantità di carbonio che gli esseri umani pompano nell’atmosfera ogni anno. “Ciò significa che abbiamo una nuova grande fonte di emissioni di CO2 che deve essere inclusa nei modelli climatici ed esaminata più da vicino”, afferma Carsten W. Müller, che studia la materia organica del suolo presso l’Università di Copenhagen.
“Il suolo congelato ha un alto contenuto di ossigeno, che mantiene stabili i minerali di ferro e consente al carbonio di legarsi ad essi – spiega Müller -. Ma non appena il ghiaccio si scioglie e si trasforma in acqua, i livelli di ossigeno diminuiscono e il ferro diventa instabile. Allo stesso tempo, il ghiaccio sciolto consente l’accesso ai batteri. Tutto ciò viene poi rilasciato come CO2 dal carbonio immagazzinato”.
Questa ricerca è importante, perché il modo esatto in cui il ferro influisce sul permafrost artico è ancora sconosciuto. Sebbene si ritenga che questo minerale sia importante per lo stoccaggio del carbonio, non è chiaro come questo processo risponderà al rapido scongelamento del permafrost e alle mutevoli condizioni del suolo. In effetti, queste sono considerate alcune delle più grandi incertezze nelle nostre previsioni climatiche fino ad oggi. Man mano che le piante si diffondono nella tundra in via di disgelo, ad esempio, i loro apparati radicali in espansione potrebbero quadruplicare la produzione microbica di carbonio, preparando forse il terreno per un ulteriore disgelo.
Lo studio in questione è stato pubblicato su Nature Communications.