E’ ancora provvisorio il bilancio del disastro causato in India dal cedimento di parte di un ghiacciaio himalayano, il Nanda Devi, con la conseguente l’improvvisa esondazione di due fiumi, l’Alaknanda e il Dhauliganga: al momento sono 26 i morti accertati e almeno 170 i dispersi. Nella zona sono stati inviati centinaia di militari, paramilitari ed elicotteri dell’esercito.
La calamità si è verificata ieri, nel distretto di Chamoli, nello Stato di Uttarakhand: uno “tsunami” di acqua, fango e detriti ha travolto una diga e obbligato all’evacuazione di alcuni villaggi.
I soccorsi si stanno in queste ore concentrando sulla ricerca degli operai di 2 centrali elettriche in costruzione travolte dalla frana: le operazioni sono state interrotte nella notte ma sono riprese all’alba. E’ in atto una corsa contro il tempo per cercare di salvare una trentina di persone intrappolate in un tunnel in costruzione vicino a una delle centrali. Secondo le autorità locali, sono già stati spostati 90 metri di detriti ma ne restano altri 100 da scavare per poter raggiungere gli operai intrappolati.
Il ghiacciaio e l’inondazione: cosa è accaduto in India?
“Non si sa ancora bene cosa sia successo, bisognerebbe esaminare il bacino glaciale incriminato per comprendere bene le cause” ma “la dinamica del ghiacciaio che crolla nel fiume e provoca un’onda di piena è poco credibile”, inverosimile: a fare chiarezza sulle possibili cause di quanto accaduto ieri in India è Renato R. Colucci, ricercatore all’Istituto di Scienze Polari del CNR.
“La zona interessata è quella dell’Uttarakhand, un’area di grandi ghiacciai: i principali sono una ventina,” spiega l’esperto ai microfoni di MeteoWeb, secondo cui, però, “è strano che un ghiacciaio sia crollato in un fiume e abbia generato un’onda di piena“.
Cosa potrebbe essere accaduto quindi? “E’ possibile che si sia trattato di un glacier burst: quando si formano dei bacini d’acqua all’interno dei ghiacciai, o in alcune zone marginali, anche molto grandi, questi sono bloccati da ‘dighe’ di ghiaccio. Se crolla questa diga, tutta l’acqua di quel bacino scende a valle e provoca un disastro“. Tali bacini sono presenti anche sulle Alpi, ma qui, precisa Colucci “vengono messi in atto monitoraggi e azioni per evitare l’insorgenza di eventi simili“.
Disastri di questo tipo si possono verificare “per due motivi – prosegue il ricercatore – innanzitutto rappresenta l’andamento naturale che hanno alcuni ghiacciai, sono portati alla formazione di laghi di sbarramento glaciale, che poi possono collassare. Più verosimile è che questa tragedia sia dovuta a modifiche importanti che stanno subendo i ghiacciai che sono diminuiti in termini di massa del 10% negli ultimi 30 anni“. In sostanza, “è un segnale di quello che accade nel mondo: facendo caldo, i ghiacciai, soprattutto quelli a bassa quota, non sono più in equilibrio con il clima: sono testimoni di un clima che prima li sosteneva e ora non è più in grado di farlo“.
E’ possibile che in India, “nessuno sapeva che c’era questa problematica a monte e nessuno ha messo in atto misure di emergenza per evitare quanto accaduto. Manca il monitoraggio dei rischi che invece c’è a livello alpino: lì dove si creano bacini d’acqua che possono collassare si utilizzano pompe che svuotano i bacini artificialmente in modo graduale, prevenendo catastrofi“.
Due anni fa, ha ricordato infine Colucci, “un evento simile si è verificato in Svizzera, nell’estate 2019, a Zermatt con il torrente Triftbach: una piena improvvisa è stata provocata da un bacino d’acqua di fusione glaciale non visibile all’interno di un ghiacciaio. E’ collassato, ha portato alla piena del torrente, che non ha fatto danni, ma ha destato molta paura“.
Disastro in India, il cedimento della diga
Il disastro in India ha sollevato numerosi interrogativi, soprattutto in riferimento alla tenuta delle dighe.
Di recente l’ONU ha diffuso un rapporto che ha valutato struttura, manutenzione e capacità delle grandi infrastrutture situate soprattutto in India, Cina, Giappone e Corea del Sud: si è rilevato che, “assediate” dai cambiamenti climatici, entro il 2050 circa 60mila dighe che sorgono in aree densamente abitate avranno raggiunto il loro “limite di età”, e per evitare incidenti, i governi devono avviare con urgenza lavori di manutenzione.
“Per evitare il rischio di guasti alle dighe, sovraccarichi o perdite, queste richiederanno una manutenzione crescente e alcune potrebbero dover essere messe fuori servizio. Molti governi non si sono preparati per queste esigenze“, si spiega nello studio realizzato dall’Università delle Nazioni Unite.
Una corretta manutenzione può garantire che una diga ben progettata possa durare 100 anni, ma molte delle grandi dighe odierne sono state costruite molto prima che i rischi della crisi climatica si palesassero: oggi, oltre all’usura naturale, le dighe costruite il secolo scorso devono fare i conti anche con i cambiamenti climatici che causano fenomeni meteorologici più estremi e più frequenti.
La Cina conta 24.000 grandi dighe, e molte altre si trovano in India, Giappone e Corea del Sud.
Oltre all’età, un problema comune è che piogge più intense possano causare l’erosione a monte dei corsi d’acqua e le inondazioni potrebbero aumentare il flusso di detriti e limo nelle dighe, provocando un accumulo di sedimenti. “Non prevediamo catastrofi immediate al livello globale ma di certo queste dighe non stanno ringiovanendo. E’ un rischio emergente” hanno concluso gli esperti.