Fu una scelta fatta al di fuori dei protocolli quella che un anno fa portò una dottoressa a fare un tampone alla ricerca del Covid, nonostante i sintomi del paziente non lo prevedessero. La notte tra il 20 e il 21 febbraio 2020, trasforma Codogno, comune del lodigiano, nel centro di quella che di lì a poco diventerà la prima zona rossa per il Covid al di fuori dalla Cina che in quei giorni, nonostante gli allarmi, sembrava invece lontana. La scelta di fare il tampone venne presa dal medico anestesista Annalisa Malara, 38 anni, la quale, di fronte a una polmonite resistente a ogni cura, decide di sottoporre un paziente al tampone per la Sars-Cov2 sebbene i protocolli italiani non prevedessero questa soluzione in un caso con quelle caratteristiche. Era il paziente 1, Mattia Maestri, anche lui 38enne come la dottoressa, ed era impiegato in una multinazionale, oltre che podista e prossimo alla paternità. C’era il sole quella mattina di venerdì 21 febbraio a Codogno, e nessuno poteva immaginare che il coronavirus stava prepotentemente per entrare nelle vite dei cittadini e anche del resto d’Italia.
Mattia, risultato positivo al Covid, venne trasferito e intubato al Policlinico San Matteo di Pavia. Le sue condizioni non fanno ben sperare. La moglie, incinta, risulta anche lei positiva. “Domenica tossiva, mai avrei immaginato potesse avere il coronavirus“, spiegava un vicino di casa. E un altro: “Ho chiamato i carabinieri e mi hanno detto di lasciare il lavoro, tornare a casa e aspettare che arrivino a farmi un tampone”. La banca vicino al palazzo dove vive quello che è ormai il ‘paziente 1’ viene chiusa “a scopo precauzionale“. Codogno si svuota all’improvviso. La gente si chiude in casa. Il sindaco Francesco Passerini ordina di chiudere bar, ristoranti, scuole e uffici pubblici “per tutelare la pubblica incolumità”.
“E’ incredibile: ora la Cina, che guardavamo in tv, siamo noi”, riferì il titolare del panificio di via Roma. Iniziava così uno dei periodi più lunghi e tragici per l’Italia del dopoguerra.