Come risposta alla tassa inglese sul sale, che colpiva gli strati più poveri della popolazione indiana, ai quali era vietato di vendere il prodotto sui mercati, Gandhi guidò quella che resterà una delle proteste più celebri della storia: la “marcia del sale”.
La protesta in linea con la dissidenza non violenta propugnata dal Mahatma iniziò il 12 marzo 1930 e continuò fino al 5 aprile dello stesso anno.
Il gesto di raccogliere una manciata di sale voleva dimostrare che una risorsa simbolica come il sale doveva tornare nel pieno possesso del popolo indiano e che la resistenza passiva non si sarebbe arrestata fino al compimento del processo per l’indipendenza dell’India dall’Impero britannico.
Le origini della protesta
Il sale essenziale per l’alimentazione e la conservazione degli alimenti indiani vedeva a quel tempo la produzione posta sotto il rigido monopolio statale gestito dal governo coloniale britannico. Non era consentito produrre sale autonomamente, ad esempio con il processo di evaporazione ed era severamente vietato raccogliere il sale marino che si depositava su alcune spiagge.
Le industrie britanniche, inoltre, esportavano enormi quantità di prodotti e importavano un’ampia gamma di merci e materie prime, condizione questa che risultava ampliamente sfavorevole per i produttori indiani.
I ceti indiani privilegiati, i nobili e coloro nei quali si condensavano le maggiori ricchezze economiche del Paese appoggiarono i colonialisti inglesi nella loro politica economica, peggiorando in modo significativo le condizioni sociali della stragrande maggioranza della popolazione.
Dopo la Prima Guerra Mondiale, il desiderio di autonomia e indipendenza divenne un valore condiviso dal popolo indiano e intercettando questo sentimento di riscatto Gandhi organizzò e guidò quella che resterà una delle proteste più celebri della storia e che venne denominata “marcia del sale”.
Gandhi era un abile stratega politico e comprendeva bene il valore simbolico di un’azione contro il monopolio britannico del sale che danneggiava sia gli hindi che i musulmani.
Già il 2 marzo dello stesso anno aveva scritto una lettera al viceré britannico, Lord Irwin, avanzando una serie di richieste tra cui vi era anche l’abrogazione della tassa sul sale. Egli sosteneva, inoltre, che se fosse stato ignorato avrebbe lanciato in risposta una campagna di protesta non violenta.
La marcia del sale di Gandhi
I nomi dei 78 uomini che lasciarono con lui il villaggio furono pubblicati sui giornali così che la polizia potesse essere informata con previo anticipo. La distanza da percorrere era, infatti, molta circa 320 chilometri e furono necessarie alcune settimane per essere coperta.
Gandhi alla testa del gruppo attraversò la campagna a una velocità di circa 20 chilometri al giorno, fermandosi in dozzine di villaggi lungo il percorso e rivolgendosi alle folle per raccogliere consensi e compagni. Furono migliaia, infatti, gli indiani che si unirono al corteo che divenne una processione lunga miglia e miglia.
I numeri di cui si faceva forte la marcia richiamarono l’attenzione della stampa internazionale e il New York Times, come altre testate di grande richiamo, iniziò a seguire i progressi della marcia.
La voce di Gandhi si fece alta e nei suoi discorsi egli toccò tematiche particolarmente cruciali come il sistema indiano delle caste, che privava gli “intoccabili” dei diritti fondamentali.
Lui stesso fece un bagno un pozzo “intoccabile” presso il villaggio di Dabhan e nel corso della tappa di Gajera si rifiutò di iniziare il suo discorso finché anche gli intoccabili non venissero autorizzati a sedersi con il resto del pubblico.
Il 5 aprile, finalmente la marcia ebbe termine quando il gruppo giunse a Dandi. La mattina seguente migliaia di sostenitori e giornalisti presenziarono per assistere a quel reato simbolico che avrebbe cambiato il mondo e nonostante i funzionari britannici avessero mescolato il sale con la sabbia nell’ingenua speranza di dissuadere i protestanti, il Mahatma si immerse nelle limpide acque del Mar Arabico e raccolse nelle sue mani sale e fango mostrandoli alla folla e pronunciando queste parole: “Con questo, abbiamo scosso le basi dell’Impero britannico”.
Il gesto fu ripetuto da migliaia di partecipanti e sebbene all’esercito fosse stato richiesto di sparare sulla folla, gli ufficiali si rifiutarono di accanirsi su una folla di protestanti che avevano sposato la scelta della resistenza passiva e della non-violenza della “Grande Anima” che ispirava la popolazione indiana e a quel punto il mondo intero; si era infatti aperto il dibattito internazionale sulla questione coloniale e l’Impero Britannico non avrebbe potuto ignorarla ancora a lungo.
Ignorando gli avvertimenti delle forze di polizia, il gesto di dissenso fu emulato in tutto il Paese. Il 21 maggio, circa 2.500 manifestanti camminarono verso il deposito di Dharasana e in tutta l’India furono arrestate di più di 60.000 persone, tra cui lo stesso Gandhi (arrestato nella notte tra il 4 e i 5 maggio del 1930), tanto da mettere in difficoltà il sistema carcerario anglo-indiano che non aveva posti a sufficienza.
Nonostante ciò, l’Impero britannico non si piegò, e non abrogò mai quella legge; tuttavia, la “marcia del sale” aveva messo in moto un viaggio molto più grande: quello della liberazione dai colonizzatori e dell’indipendenza dell’India che si concluse il 15 agosto 1947.