Il 2020 ha segnato per gli italiani la riscoperta della pasta, tornata a essere percepita alimento essenziale, cibo di conforto per eccellenza, elemento insostituibile di uno stile di vita sano e mediterraneo. Secondo un’elaborazione di Unione Italiana Food su dati IRI, nell’ultimo anno i consumi domestici di pasta sono aumentati del 5,5% a volume e del 10% a valore. Nel 2020 sono entrate nelle dispense degli italiani oltre 50 milioni di confezioni di pasta in più, con punte negli acquisti di circa il +40% a marzo e del +10% tra ottobre e novembre, a conferma che nei momenti più difficili alla pasta non rinunciamo. Non solo: una ricerca DOXA rivela che 1 italiano su 3 ha sperimentato nuove ricette e modi di prepararla nel tentativo di valorizzare al meglio il loro piatto preferito. E a spaghetti e rigatoni abbiamo dedicato centinaia di conversazioni e foto sui social, con quasi 270mila citazioni negli ultimi 6 mesi su Facebook, Twitter e Instagram. Ma ad alcuni mancano proprio le basi, dal tempo di cottura agli abbinamenti tra formati e sughi, forse proprio perché troppo abituati a portarla in tavola ogni giorno, o perché fanno parte di quel 20% che dichiara apertamente di non saper proprio mettere mano a pentole e tegami.
Per rispondere a questo desiderio di saperne di più, i pastai italiani di Unione Italiana Food lanciano #PastaDiscovery, un ciclo di appuntamenti virtuali dedicato all’ABC della pasta per chi la ama da sempre, per quanti la stanno riscoprendo e per gli absolute beginners in cucina. #PastaDiscovery vivrà in tre momenti nel corso dell’anno sui canali social di WeLovePasta, community di oltre 30mila pasta lovers, con tanti contenuti multimediali che spaziano dai talk ai consigli pratici, alla storia, scienza e cultura della pasta, alle guide e ai test di assaggio, fino alle interviste e ai contributi video di gastronomi, pastai, food blogger e i consigli di Cristina Bowerman, chef stellato e presidente dell’associazione Ambasciatori del Gusto.
COTTURA? RIGOROSAMENTE AL DENTE: 7 ITALIANI SU 10 SI AFFIDANO ALL’ASSAGGIO E ALL’ESPERIENZA
Saper cuocere la pasta è il primo passo per ottenere un primo piatto perfetto e infatti il primo #PastaDiscovery è dedicato alla cottura perfetta, il principale indicatore della qualità percepita della pasta per 8 italiani su 10, dati DOXA Unione Italiana Food. Secondo un sondaggio proposto da WeLovePasta a 2300 persone, per ottenerla 3 italiani su 10 si attengono scrupolosamente alle indicazioni dei minuti stampate sulla confezione, mentre 7 su 10 si affidano all’assaggio e all’esperienza. A dimostrazione del fatto che la cottura della pasta non è una scienza esatta, varia in base al gusto personale e alla tradizione del territorio (al Nord si mangia tendenzialmente più morbida che al Sud, mentre a Roma si scola quando è “al chiodo”) e cambia da formato a formato. Infatti, la si cucinava bene anche quando non c’erano le indicazioni dei tempi sul pack, ma si teneva il conto dei minuti recitando paternoster e avemarie e si aveva la capacità di “sentire” con il cucchiaio in legno la sua resistenza e flessibilità, per capire quando era il momento (dopo l’assaggio di rito) di scolarla e servirla nel piatto.
FELICETTI: “ITALIANI PASTA LOVER, MA C’E’ ANCORA TANTA VOGLIA D’IMPARARE E SCOPRIRE”.
“Quando parliamo di cibo e di pasta in particolare spesso il nostro è un giudizio soggettivo o di parte – – spiega Riccardo Felicetti, Presidente dei pastai italiani. Non abbiamo la presunzione di insegnare agli italiani come si cucina la pasta, visto che ne sanno già tanto, ma ci siamo resi conto che alcune informazioni non sono acquisite del tutto e che le giovani generazioni – in particolare – hanno voglia e piacere d’imparare. Attraverso i Pasta Discovery vogliamo festeggiare questo amore rinnovato tra italiani e pasta con un compendio di consigli e istruzioni per aiutarli a preparare al meglio la pasta più vicina al loro sentire, sperando che guarderanno al fusillo o allo spaghetto in modo diverso e che lo mangeranno e cucineranno con più piacere. Perché la pasta, oltre a essere buona e sana, è anche fonte di piacere, gioia e socialità”
I 10 CONSIGLI DEI PASTAI ITALIANI PER LA COTTURA PERFETTA DELLA PASTA
- QUANTA ACQUA PER 100G DI PASTA? OGGI MENO 1 LITRO (CON QUALCHE ECCEZIONE)
La giusta quantità di acqua consente alla pasta di cuocere in modo omogeneo senza attaccarsi e con un perfetto grado di salatura. La regola della nonna è che per ogni etto di pasta serve un litro d’acqua. Oggi la qualità della pasta è più alta di 40 o 50 anni fa e rilascia meno amido in cottura e possiamo anche cuocere il nostro etto di pasta in 0,7 litri di acqua… o anche meno se stiamo preparando una one-pot pasta, dove la pasta viene cotta a risotto assieme al suo condimento. E anche la ricetta ci dice quanta acqua andrebbe usata. Cuocere la pasta in meno acqua concentrerà l’amido e renderà più facile legare con il condimento
- L’ACQUA DI COTTURA, TENETENE SEMPRE UN PO’ DA PARTE
Un mestolo di acqua di cottura andrebbe sempre tenuto da parte nel caso la pasta si asciugasse troppo o per legare la pasta con il condimento in mantecatura. Ma l’acqua residua si può riutilizzare anche dopo che ha fatto il suo “dovere”, ad esempio, per la cottura al vapore o come base per brodi, zuppe e minestre. E ancora, l’acqua “amidosa” è perfetta per pulire a fondo le stoviglie e pulire attrezzi di cucina, oppure una volta raffreddata, per innaffiare le piante… e addirittura per il pediluvio!
- OCCHIO ALLA TRASPARENZA DELL’ACQUA
È opaca? È trasparente? Di norma la pasta italiana, per la tenacità della semola di grano duro, in cottura è la più “trasparente” del mondo. Ma alcune produzioni vengono “progettate” per rilasciare più amido e favorire la mantecatura.
- IL SALE: QUALE, QUANTO E QUANDO?
Va aggiunto quando l’acqua inizia a bollire vistosamente e prima di buttare la pasta. La quantità consigliata varia dai 7 ai 10 grammi per ogni etto di pasta. Si può ridurre ulteriormente se il condimento è già sapido, o se il formato di pasta scelto richiede tempi di cottura più lunghi. Meglio il sale grosso o quello fino? È lo stesso, ma a parità di volume, un cucchiaio di sale fino contiene più cloruro di sodio rispetto al sale grosso.
- PASTA, VA “CALATA” NON BUTTATA NELLA PENTOLA
Anche questa gestualità è un’arte: la pasta non si butta, ma va calata delicatamente, per evitare che si rompa o si fessuri. Va messa in pentola tutta insieme e solo quando l’acqua è effettivamente in ebollizione e mescolata spesso con un mestolo di legno durante i primi minuti di cottura, per non farla attaccare. Girarla delicatamente permetterà all’acqua di avvolgere la pasta uniformemente.
- PASTA-SITTER: COSA FARE QUANDO CUOCE…
Anche quando cuoce, la pasta andrebbe sempre tenuta d’occhio… e non solo. Oltre ai check visivi sull’acqua di cottura, la qualità della pasta si sente anche… con il naso: un buon profumo di grano è un indizio della qualità del prodotto. La cottura va sentita prima in pentola (con il mestolo di legno per saggiarne la resistenza e flessibilità) e poi assaggiata in bocca (per vedere se è al dente ed è salata al punto giusto).
- LA PENTOLA, QUELLA GIUSTA. E IL MESTOLO, MEGLIO SE DI LEGNO.
Da scegliere in base al formato e alla quantità di acqua necessaria. La pasta corta si accontenta di una casseruola larga e bassa, mentre per linguine, bucatini, spaghetti & co è preferibile sceglierne una dai bordi alti, da riempire con acqua non oltre i due terzi della capienza, per evitare che il liquido fuoriesca in cottura. Nei primi minuti di cottura va mescolata con delicatezza con un mestolo di legno per evitare che si attacchi o si sfaldi. E se lo appoggiamo sul bordo della pentola è un salva-fornelli perfetto: la differenza di temperatura tra l’utensile e l’acqua in ebollizione fermerà la fuoriuscita del liquido.
- COPERCHIO: QUANDO SERVE E QUANDO NO.
La pentola va coperta per accelerare il bollore dell’acqua, ma quando si butta la pasta, il coperchio andrebbe sempre tolto. La pasta si cuoce scoperta, a meno che non la stiamo facendo in pentola a pressione o con cottura passiva.
- LA PROFEZIA DELLO SCOLAPASTA: IL MOMENTO GIUSTO IN BASE ALLA RICETTA
La pasta continua a cuocere anche dopo essere stata scolata e per mantenerla al dente al momento dell’assaggio bisogna tenerne conto in preparazione. Andrà scolata con qualche minuto di anticipo se pianifichiamo di legarla in padella con il condimento, mentre una pasta fredda andrebbe tolta dal fuoco a due terzi di cottura e messa in un recipiente per la cottura a campana.
- QUALCHE ACCORTEZZA IN PIÙ PER PACCHERI &CO
I formati più grossi, come conchiglioni, fusilloni e paccheri andrebbero cotti con attenzione per evitare che si rompano o perdano la forma. Un pacchero rotto o “seduto”, la cui struttura cede fino a far unire e sovrapporre i due lati, è uno degli incubi del maestro pastaio. Per evitare che si rompa e che la forma resti quella ottimale, basta spegnere il fuoco qualche minuto prima del tempo di cottura consigliato e concluderla cottura a fuoco spento e pentola coperta.
I 5 errori più comuni che “rovinano” un buon piatto di pasta
- AGGIUNGERE OLIO IN COTTURA
Non serve e potrebbe rendere più critico il legame della pasta con il condimento. L’olio EVO andrebbe aggiunto solo a fine cottura per creare l’emulsione perfetta. Per evitare che si attacchi basta mescolarla con attenzione, specie nei primi minuti di cottura.
- POCA ACQUA NELLA PENTOLA
La pasta non “nuota” in pentola: se l’acqua non è sufficiente, rischia di cuocere in modo non uniforme, scotta fuori e cruda dentro.
- “LAVARLA” UNA VOLTA SCOLATA
Sciacquare la pasta per fermare la cottura: si perde il sapore amidoso. Per freddarla basta scolarla qualche minuto prima e lasciarla raffreddare.
- AGGIUNTA DI SALE QUANDO LA PASTA È GIÀ QUASI COTTA
Il sale va messo appena l’acqua bolle e prima di calare la pasta. se aggiunto troppo tardi l’acqua salata non idraterà in modo uniforme e fino alla sua “anima” la pasta
- TRATTARE TUTTI I FORMATI ALLO STESSO MODO
Ogni formato si comporta diversamente in cottura. Il minutaggio, la percentuale di proteine, la sua trafila e la lavorazione indicati in confezione sono un indizio, ma comprendere la sua architettura ci darà indizi su come rilascerà il suo amido e come farle raggiungere il suo dente. Per esempio, piegare lo spaghetto per farlo entrare in pentola entro i primi 90 secondi perché cuocia in modo uniforme, scolare in anticipo i formati più grandi per evitare che si rompano, prestare attenzione alle alette delle linguine per controllare il rilascio dell’amido e così via.
Cruda o cotta? Quando al dente è sinonimo di salute
La pasta più è nervosa, meglio è. Il nervo è lo sforzo che occorre per tagliare con i denti la pasta, la sua resistenza al taglio, l’elasticità, la palatabilità, la struttura che riconosciamo quando la mastichiamo. E la masticazione lunga che ci impone la cottura al dente non solo la rende più buona ma anche più digeribile.
Masticare lentamente e accuratamente stimola i recettori che agiscono sul senso di sazietà, riducendo quel senso di fame che ci porta ad introdurre altro cibo. Inoltre, la masticazione è la prima fase della digestione. Frantumare il cibo in pezzi più piccoli fa sì che sia più esposto alla saliva, fondamentale per il metabolismo e più facile da digerire.
Una pasta cotta bene (cioè al dente), è anche una pasta più sana perché ha un minor impatto sull’indice glicemico e una minore stimolazione alla produzione di insulina. La digestione diventa più lenta, così come l’assorbimento del glucosio che compone l’amido: il risultato è un indice glicemico inferiore. Quindi non cruda, non scotta, ma al dente.
E anche la comunità scientifica internazionale ha sottolineato, nel documento di consenso scientifico “Healthy Pasta Meals”, che in un’epoca in cui il diabete e l’obesità fanno la parte del leone in tutto il mondo, i piatti a base di pasta e altri alimenti a basso contenuto glicemico contribuiscono a tenere sotto controllo i livelli di glucosio nel sangue e il peso, soprattutto nelle persone sovrappeso. E che il modo in cui la pasta viene prodotta, che limita la fuoriuscita dell’amido attraverso il reticolo proteico, ha effetti benefici riducendone la risposta glicemica.
Fonti:
- https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/alimentazione/perche-e-preferibile-mangiare-la-pasta-cotta-al-dente#:~:text=la%20cottura%20della%20pasta%20al,aumenta%20il%20senso%20di%20saziet%C3%A0.
- https://www.welovepasta.it/la-pasta-fa-bene-ecco-perche/
I 5 effetti della lavorazione della pasta sulla tenuta “al dente”
Secondo una ricerca commissionata dai pastai italiani di Unione Italiana Food a DOXA, per 8 italiani su 10 la tenuta al dente è il primo fattore di qualità della pasta. E i nostri maggiori “timori” sono che in cottura la pasta “si rompa” (66%) o che “si attacchi” (59%). Ma chi pensa che questi fattori dipendano solo dalla bravura del cuoco si sbaglia di grosso. Tutto comincia molto prima, nel pastificio, dove il pastaio progetta l’armonia perfetta… in punta di forchetta.
- PASTA ITALIANA, AL DENTE “PER LEGGE”
La pasta italiana si ottiene sempre a partire dalla semola di grano duro, la più tenace, che le permette di tenere la cottura e di restare sempre al dente. A tutela e difesa della nostra qualità, questa tradizione è diventata legge 54 anni fa. Altrove non è così: in molte parti del mondo si usa il grano tenero, che dà una pasta diversa per consistenza e tenuta in cottura. Ma ci sono anche altri limiti a garanzia della qualità del nostro prodotto simbolo. Per esempio, il colore, o il livello minimo di proteine e la qualità del glutine per trattenere l’amido e permettere quindi la proverbiale tenuta ‘al dente’. Per la legge di purezza, il tenore proteico deve essere di almeno il 10,5%. Ma i valori della pasta italiana sono oggi anche più alti.
- GRANO, DURO DI NOME… E DI FATTO
Tutto inizia dal grano duro, l’unico con cui in Italia si può fare e commercializzare la pasta secca. Che è “duro” di nome e di fatto: a differenza del grano tenero, la sua struttura è vitrea e non farinosa, il suo impasto non è troppo estensibile ma resta molto tenace. Proprio per questo, fin dall’antichità, la sua lavorazione non è quasi mai stata manuale ma realizzata con l’ausilio di macchine e strumenti. Facendo della pasta secca un prodotto in un certo senso “industriale” fin dalle origini, o quasi. L’evoluzione dei macchinari nei secoli (gramola a stanga, ingegno, torchio a trafila o idraulico, pressa meccanica continua…) racconta l’arte del pastaio e la complessità di un processo produttivo in cui i dettagli fanno la differenza.
- UN IMPASTO OMOGENEO E BEN IDRATATO
Idratazione, essiccazione e nuovamente idratazione. Semplificando all’estremo, dal pastificio alla tavola la pasta attraversa queste tre fasi, tutte determinanti per la sua tenuta in cottura. La prima idratazione avviene impastando acqua e semola. Assorbendo acqua, si forma il reticolo glutinico, che trattiene l’amido e assorbe fino al 200% del suo peso. Una idratazione buona e uniforme è fondamentale per ottenere un prodotto finito di qualità. In questa fase entrano in gioco tenore, tra le altre cose, l’elasticità del glutine, il contenuto proteico, le dimensioni delle particelle di semola (più sono grandi, più lento l’assorbimento di acqua), la temperatura dell’acqua per l’impasto (quella ottimale è di circa 35°C). Per rendere l’impasto omogeneo e togliere tutta l’aria, l’impasto avviene in due fasi e l’ultima si realizza sottovuoto. In questo modo le particelle di semola più piccole, con un eccesso di acqua, andranno più facilmente a contatto con quelle più grandi, che ne sono in debito. Inoltre, l’aria nell’impasto ne altererebbe il colore e formerebbe bollicine bianche.
- FORME UNIFORMI DELLA TRAFILA
Poi l’impasto viene compresso e spinto in modo uniforme e con la pressione giusta sulla trafila. Un impasto con la giusta consistenza, compatto e senza grumi mantiene il reticolo proteico più ordinato e uniforme. Proprio come una rete da pesca a maglie strette e senza buchi.
- LA GRADUALE ELIMINAZIONE DELL’ACQUA
Quando passa attraverso la trafila, la pasta ha ancora un’umidità pari a circa il 30%, ma per essere messa in commercio deve calare al di sotto del 12,5% per legge. Un essiccamento perfetto deve essere uniforme su tutta la superficie e soprattutto tra esterno e interno della pasta, per evitare che poi si rompa nel pacco o in cottura o che resti poco tenace in bocca. È un processo di durata variabile e in più momenti, intervallati dalle cosiddette pause di rinvenimento, durante le quali le molecole d’acqua hanno il tempo di redistribuirsi all’interno del prodotto. È uno dei passaggi più critici, ma i pastai italiani sono maestri nella delicata regolazione delle temperature e della ventilazione delle stanze di essiccazione della pasta.
8 metodi di cottura che (forse) non conosci per fare la pasta al dente
Oggi cucinare la pasta al dente significa cucinarla all’italiana e contempla tanti e diversi modi di cuocerla oltre a quello tradizionale: Risottata, passiva, one pot pasta, doppia cottura: secondo una ricerca DOXA-Unione Italiana Food, nel 2020 1 italiano su 3 (32%) ha sperimentato nuovi metodi di cottura della pasta, tra gusto, risparmio e sostenibilità ambientale. Il migliore? Dipende…
IN PENTOLA A PRESSIONE
Quando scienza e arte si incontrano nascono i piatti più gustosi e creativi, amici della linea e dell’ambiente. È il caso dell’amatriciana in pentola a pressione, realizzata dallo chef Davide Scabin. Gli ingredienti vanno messi tutti in pentola, con 100ml d’acqua invece del litro canonico per 100 grammi di pasta. Da inizio cottura, fischio o non fischio, vanno contati 11 minuti circa. Con questa tecnica si risparmiano detersivi, gas ed energia (si usa una padella invece di due) e acqua.
COTTURA PASSIVA O PER INFUSIONE
Altro metodo green, che permette di risparmiare gas e energia elettrica. Con la cottura passiva, la pasta cuoce a fuoco acceso solo per 2-4 minuti da quando l’acqua riprende il bollore. Poi si spegne il fornello e si copre la casseruola con il coperchio per limitare la dispersione del calore, lasciando la pasta in infusione nell’acqua per il restante tempo indicato sulla confezione. In questo modo l’acqua sarà stata assorbita.
COTTURA ESPRESSA
Perfetta per tutti i giorni e per le occasioni speciali, questo metodo prevede cottura in acqua bollente per l’80% del tempo previsto e il completamento per gli ultimi 2 minuti in padella insieme al suo condimento. Il risultato: una mantecatura perfetta, una coccola quotidiana, un classico gourmet.
COTTURA RISOTTATA
Si procede come per il risotto: prima si fa tostare leggermente la pasta, poi si aggiungere gradualmente la parte liquida necessaria (acqua o brodo), continuando a mescolare fino a quando non sarà assorbita completamente dalla pasta. La cottura a risotto è perfetta per condimenti non corposi, come un aglio, olio e peperoncino o per gli spaghetti alle vongole, perché l’amido rilasciato aiuterà a legare la pasta dando corpo al piatto. Servono tre accorgimenti: il liquido di cottura va aggiunto poco a poco e sempre bollente per mantenere costante la temperatura; va mescolato continuamente per favorire la cessione dell’amido necessario per formare la cremina; i formati di pasta più spessi andrebbero precotti in acqua bollente per metà del tempo di cottura previsto.
DOPPIA COTTURA
Un classico di ristoranti e mense, da tenere a mente per chi ha una famiglia numerosa o per quando saranno consentite tavolate meno… distanziate. Due o tre ore prima del servizio si cuoce la pasta per la metà del tempo indicato, va scolata in una teglia aggiungendo un filo di olio e raffreddata immediatamente (meglio se in un abbattitore di temperatura). La pasta si conservarla in frigo, coprendo la teglia. All’occorrenza, rinvenire la pasta per 30-60 secondi in acqua bollente e servire.
ONE POT PASTA
Una variante della pasta risottata amata da Michelle Obama, dagli ecologisti e… dai pigri, perché utilizzando un’unica pentola per la cottura della pasta e del condimento, si risparmia gas, energia elettrica e utensili da lavare. Si parte con acqua fredda (per 200 grammi di pasta servono 1,5l d’acqua), aggiungendo a mano a mano gli ingredienti del condimento e, una volta raggiunto il bollore, si cala la pasta. Quando tutta l’acqua sarà evaporata, la pasta sarà pronta per essere servita.
COTTURA A CAMPANA
La sfida della pasta fredda è fermare la cottura al punto giusto e evitare il “mappazzone” scotto. L’errore: raffreddarla sciacquandola sotto l’acqua o lasciandola a scuocere in pentola. La soluzione: la cottura a campana. A due terzi della cottura (se il tempo di cottura indicato sulla confezione è di 14 minuti, va fatta bollire per circa 10 minuti), la pasta va scolata per bene, trasferita in una insalatiera e sigillata con pellicola trasparente. La pellicola si gonfierà “a campana” e la cottura si completerà a secco. In questo modo, la pasta resterà integra, buona e al dente anche per il giorno dopo. Unico accorgimento: preferire formati piccoli e corti.
PASTA AL FORNO
La pasta secca andrebbe sempre prelessata, in genere al dente, ma con alcune eccezioni: se il condimento è ricco e liquido, va cotta per 2/3. La pasta va infornata nel forno già caldo per evitare di farla scuocere nell’attesa che la superficie si colori. Se invece la scelta cade su una pasta fresca o all’uovo, o su certe tipologie di lasagne, la precottura non è necessaria e sarà la naturale umidità degli altri ingredienti a conservare la morbidezza della pasta anche a cottura terminata. La temperatura ideale per ottenere la crosticina superficiale varia a seconda della ricetta e del formato: per esempio, i cannelloni andrebbero cotti a una temperatura elevata, anche superiore ai 220° C, mentre le lasagne danno il meglio di sé a 180-200° C al massimo. Una curiosità: la pasta al forno il giorno dopo è più buona perché il passaggio nel forno la essicca da buona parte dell’acqua di cottura, quindi “fotografa” la gelatinizzazione degli amidi e la consistenza della pasta, soprattutto negli strati superficiali, facendola rimanere in uno stato molto simile alla cottura al dente anche per ore, o giorni.
Pasta al dente story: quanto gli italiani la mangiavano scotta
“Al dente”: due parole che racchiudono l’Italian way of pasta, la passione per la cottura perfetta per antonomasia… e lo sconforto se la pasta non incontra i canoni della giusta resistenza alla masticazione. Per 8 italiani su 10, rivela una ricerca realizzata da DOXA per i pastai italiani di Unione Italiana Food, la tenuta in cottura è il primo indice di una pasta di qualità. Ma nella storia millenaria della pasta la cottura al dente è una conquista recente.
Per secoli la pasta si stracuoceva per ore fino quasi a sfaldarsi nel suo condimento. E infatti nelle tavole nobiliari del Centro-nord, veniva servita quasi in una logica “fondente” o addensante di brodi e salse di carne e formaggio, retaggio della cucina medievale e rinascimentale. Non era raro vederla servita come complemento della portata principale o ricoperta di cacio fuso, zucchero e spezie, in un trionfo di amidi che oggi non riusciremmo a concepire.
È al Sud, dove la pasta accompagnava se stessa, che si è imposto il sistema di cottura che la valorizza al meglio. La rivoluzione inizia a Napoli nei primi anni dell’Ottocento (più o meno quando è arrivata la “pummarola”), e unisce il popolo e le famiglie benestanti. Ippolito Cavalcanti consigliava di cuocerla “vierd vierd”, gettandola nell’acqua proprio quando alzava il bollore. Diversamente, “verranno gommosi e di niun sapore”. E al Nord? A fine secolo, l’Artusi gradiva i Maccheroni “durettini”, perché “le paste riescono più grate al gusto e si digeriscono meglio”, in controtendenza con la tradizione delle sue terre. Da un’analisi dello storico della gastronomia Luca Cesari su vari ricettari d’epoca sappiamo che ancora a inizio Novecento si consigliava un’ora di cottura per i maccheroni al sugo e di scolare la pasta solo quando si disfa facilmente sotto la pressione delle dita. Un modo di cucinare che i nostri avi emigranti potrebbero aver portato all’estero assieme ad altre tradizioni gastronomiche dell’epoca…
DA OLTRE CINQUANT’ANNI LA TENUTA AL DENTE “È LEGGE”
Fatto sta che per la cottura al dente la conquista della penisola è stato un processo lento e graduale, che si è affermato solo nel secondo Dopoguerra per consolidarsi definitivamente nel 1967, quando la legge di purezza sulla pasta fissa tra i parametri della sua qualità l’utilizzo di solo grano duro e un livello minimo di proteine. Fino alla prima metà del Novecento solo le paste più pregiate erano composte unicamente di grano duro, la materia prima che la rende più tenace, mentre nelle varianti più comuni non era raro trovare percentuali di grano tenero superiori al 50%, con una evidente ricaduta su consistenza e masticabilità.
IL SISTEMA DI ESSICCAZIONE “ALLA NAPOLETANA” HA INNESCATO LA RIVOLUZIONE DEL GUSTO
Che la cottura al dente sia nata al Sud non è un caso. Per secoli, prima dell’“invenzione” dell’essiccamento artificiale, il primato dei pastai di Gragnano e Torre Annunziata si fondava sul mix di tecnologia di lavorazione all’avanguardia, selezione del grano duro e un microclima perfetto che assicurava la produzione di pasta perfettamente essiccata in tempi che variavano tra gli 8 e i 20 giorni. Al Nord questo processo era più lungo e problematico.
A BOLZANO LA PASTA PIACE PIÙ MORBIDA CHE A NAPOLI, A ROMA PIACE AL CHIODO
Questa eredità perdura ancora oggi, e divide l’Italia che scola in due parti, a dimostrazione che la cottura perfetta della pasta è più cultura che scienza. A Bolzano la pasta piace più “morbida” rispetto a Napoli. Nel mezzo c’è Roma, dove la pasta al dente si fa “al chiodo”, più dura e croccante, spesso a livelli che anche un palato del Sud definirebbe “cruda” senza appello. Insomma, a 60 milioni di italiani corrispondono altrettante sensibilità e interpretazioni soggettive della cottura perfetta, con la solita discussione tra chi l’avrebbe fatta cuocere un minuto in più e quelli che “è quasi scotta” che si ripete ogni giorno in milioni di case. Attorno alla cottura della pasta sono nati riti familiari, tecniche e segreti. Dall’assaggio compulsivo, un occhio alla pentola e uno ai commensali, per assicurarsi che tutti fossero a tavola al momento giusto, al metodo della cucchiarella, con cui si saggiava la resistenza e flessibilità della pasta in pentola. Non c’è traccia, fortunatamente, del “lancio dello spaghetto”, che all’estero è uno dei luoghi comuni più noti sugli italiani e il loro modo di cucinare la pastasciutta.
DAI PATERNOSTRI A SPOTIFY, COME I PASTAI NEI SECOLI CONSIGLIAVANO LA COTTURA OTTIMALE
Anche i pastai hanno fatto il possibile per guidare gli appassionati nel valorizzare al meglio penne e spaghetti. Prima del tempo di cottura stampato sulla confezione, ci si aiutava con nome del formato, con paternostri e avemarie pronti il tempo di recitare una o due preghierine. Segno dei tempi che cambiano, oggi i Millennials hanno a disposizione le playlist su spotify da associare alle ricette: quando la canzone finisce è tempo di prendere lo scolapasta. E ancora, c’è chi risponde all’appello dei consumatori mettendo ancora di più in evidenza il tempo di cottura, chi specifica due minutaggi diversi, uno per la pasta al dente e uno per quella più cotta, chi con pragmatismo e ironia non indica il tempo di cottura ma consiglia di assaggiarla per verificare che il grado di cottura incontri il gradimento del consumatore. Parallelamente, l’evoluzione della tecnologia di produzione ha esteso negli anni la durata del punto di cottura ottimale, che oggi ci permette di mangiare una pasta al dente anche se la scordiamo sul fuoco un po’ più del dovuto, o se riceviamo la telefonata poco dopo che l’abbiamo impiattata.
Pasta science: cosa succede alla pasta in pentola (e perché serve saperlo per cuocerla sempre al dente)
Pentola sul fuoco, acqua bollente o quasi, confezione di pasta alla mano e via con la cottura. Gestualità istintive ripetute centinaia di volte all’anno, spesso senza essere consapevoli di cosa facciamo passare al maccherone dalla confezione al piatto. Ma secondo i pastai italiani di Unione Italiana Food, un approccio scientifico al processo di cottura della pasta ci farà diventare cuochi migliori.
Tutto parte dalla comprensione della “natura” della pasta… e dalla maestria di chi l’ha realizzata. Per la pasta italiana si utilizza solo grano duro, dall’ impasto meno estensibile di quello che si ottiene dal grano tenero e quindi perfetto per sostenere la “architettura” delle forme. La pasta è fatta principalmente di amido (carboidrati) e glutine (proteine, mai meno del 10,5%, in media il 12-13%). I valori di entrambi sono indicati in confezione e sono un primo indizio di come si comporterà il fusillo in pentola. La quantità e la qualità delle proteine, che derivano da materia prima e processo di lavorazione, contribuiscono insieme alle tecniche di produzione a determinare la tenuta al dente della pasta. A contatto con l’acqua, le proteine creano il glutine, il “cemento” che dà struttura alla pasta e ne trattiene l’amido. Più forte è la tenuta della rete proteica, più strette le sue maglie, meno amido fuoriuscirà dalla pasta in cottura. Questo equilibrio, insieme ad altri aspetti produttivi legati alla competenza centenaria dei pastai, fa la differenza tra una tenuta al dente e una pasta collosa e scotta.
IDRATAZIONE, E LO SPAGHETTO SI PIEGA
Quando buttiamo, pardon, caliamo la pasta in pentola si innescano una serie di reazioni chimiche. In primis l’idratazione. L’acqua penetra progressivamente nell’impasto, che infatti diventa via via più molle morbido e consente allo spaghetto di acquistare sufficiente flessibilità per piegarsi e entrare nella pentola. Si tratta di un processo che si innesca anche a freddo: se si lascia per una notte una penna o un mezzo rigatone in un bicchiere di acqua fredda, al mattino troveremo una pasta molle e che si disfa, tutt’altro che al dente! E qui entra in gioco la temperatura di cottura: la pasta viene cotta dal trasferimento del calore dal liquido all’impasto, dalla sua durata e dalla sua intensità. Più l’acqua è calda, più rapidamente verrà assorbita, prima il calore raggiungerà il centro della pasta e questa cuocerà in modo uniforme.
LA FUGA DELL’AMIDO, LA RETE DEL GLUTINE: YIN E YANG DELLA PASTA AL DENTE
Tra i 60 e gli 80 gradi centigradi amido e proteine della pasta subiscono due trasformazioni opposte e quasi contemporanee – e il fatto che queste reazioni si inneschino anche a temperature inferiori a quella di ebollizione spiega il perché sia possibile cuocere la pasta anche passivamente, a fuoco spento. A 60°C l’amido si rigonfia, aumentando di volume, gelatinizza, e, disaggregandosi, si solubilizza, fuoriuscendo gradualmente dalla pasta. Lo vediamo ad occhio nudo dalla trasparenza dell’acqua di cottura: più è più torbida, maggiore è la quantità di amido “fuggito”. Fortunatamente, alle proteine accade il fenomeno opposto. La loro progressiva coagulazione, tra i 70 e gli 80°C, stringe le maglie del reticolo glutinico e scherma l’amido all’interno della struttura.
L’equilibrio tra i due fenomeni, o la prevalenza dell’uno o sull’altro, è la differenza tra una pasta al dente e il temuto “mappazzone”. Una piccola fuoriuscita di amido aiuta la pasta a legarsi con il sugo, ma se è eccessiva la rende collosa e scotta. Inoltre, più la cottura viene prolungata oltre il tempo ottimale, più amido verrà rilasciato. E infatti, quando l’acqua è troppo torbida, allora bisognerà tenerne conto e scolare la pasta con qualche minuto di anticipo. Con il rischio, però, di trovarla scotta all’esterno e cruda dentro.
LE ALETTE DELLA LINGUINA, LA VALLE DEL RIGATONE: TUTTE LE SFUMATURE DELLA COTTURA PERFETTA
Capire l’equilibrio tra cessione dell’amido e tenuta della rete proteica è la vasca di Archimede del pasta lover che può scegliere tecnica di cottura, tipologia di pasta e formato più funzionale alla ricetta o al proprio gusto. Per esempio, mantecare con un mestolo di acqua di cottura più o meno ricca di amido aiuterà la pasta a legarsi al meglio al condimento scelto. Nel mondo della pasta liscia, le linguine sono perfette con un sugo alle vongole perché le “alette”, più sottili, cuoceranno prima rispetto alla sezione centrale, più spessa, rilasciando la quantità di amido ideale per emulsionarsi con l’olio e a creare l’ambita cremina. Si comporta allo stesso modo la superficie ruvida e irregolare di una pasta trafilata al bronzo e, in modo più evidente, le scanalature di una pasta rigata. Sedanini e rigatoni, con la texture di “picchi” e “valli”, in cottura espongono all’acqua più superficie, restando più al dente nella parte spessa e rilasciando più amido da quella più sottile, permettendo sia di legarsi al sugo, che di “catturarlo” tra le righe.
PASTA TRAINING: SUL FILO DEL COLTELLO (E DEL VETRINO) I TEST DELLA QUALITÀ DELLA PASTA
Per aiutarci a raggiungere questo risultato, i pastai sottopongono la pasta a veri e propri “crash test” per verificare aspetto, tenuta in cottura, resistenza alla masticazione, ma anche aspetto, “solidità” del formato, assaggi con il condimento e prove di (extra)cottura: quanto tempo passa tra la cottura al dente e quando la pasta si scuoce del tutto? E lo spaghetto tiene il nerbo anche quando è all’onda? Più a lungo la pasta resterà buona anche se “dimenticata” sui fornelli o nel piatto, tanto più è adatta ad essere messa in commercio.
Per allenarsi anche a casa, i pastai italiani consigliano l’assaggio della pasta in bianco, senza sale e senza condimento – al massimo con un filo d’olio d’oliva. La degustazione inizia, come nel caso del vino o della birra, con l’esame visivo: la pasta mantiene la sua forma dopo la cottura? È fessurata? Quando la mastichiamo, la sua consistenza è uniforme o è troppo morbida all’esterno e cruda all’interno? E quanto profuma di grano? Un’altra prova è il test del vetrino (nel pastificio) o del coltello (in casa): si prende lo spaghetto e lo si schiaccia all’interno di un vetrino, oppure si taglia il formato con un coltello per vederne la sezione. Il punto di cottura ideale si raggiunge quando la parte interna bianca, l’“anima”, sparisce. Al di là dei parametri oggettivi, la valutazione ha molto a che fare con la sensibilità, l’esperienza… e le preferenze di ognuno.