Sebbene la radioattività e la sua utilità scientifica venga sempre associata agli studi di Pierre e Marie Curie, in realtà la scoperta della radioattività vera e propria fu opera del fisico francese Henry Becquerel.
Becquerel scopriva la radioattività mentre era impegnato in studi relativi alla fluorescenza di alcuni materiali e il 2 marzo 1896 annunciò all’Accademia francese delle Scienze i risultati dei suoi esperimenti, dimostrando, tra le altre cose, che non sempre l’evoluzione scientifica è frutto di un processo lineare e come talvolta sia il caso a giocare un ruolo fondamentale.
La scoperta della radioattività
La scoperta della radioattività è spesso associata alla nascita della fisica moderna. La radioattività fu oggetto degli studi dei coniugi Pierre e Marie Curie alla fine del XIX secolo, quando i due scienziati scoprirono che alcuni minerali, contenenti radio e uranio, avevano la proprietà di impressionare le lastre fotografiche che venivano poste nelle loro vicinanze; una volta sviluppate, infatti, le lastre presentavano delle macchie scure.
Proprio per queste caratteristiche elementi come l’uranio, il radio e il polonio (questi ultimi due scoperti proprio dai coniugi Curie) furono denominati “attivi” e il fenomeno di emissione di particelle venne detto radioattività.
Per raccontare la scoperta della radioattività si devono fare due premesse su un altro scienziato, Henri Becquerel: in primo luogo si deve segnalare il fatto che egli aveva ereditato dal padre il suo interesse per la fosforescenza, ossia quella capacità che alcune sostanze hanno di luccicare dopo essere state esposte alla luce; in secondo luogo, bisogna immaginare che il periodo in cui agì Becquerel era lo stesso in cui Wilhelm Conrad Röntgen aveva portato agli onori della cronaca i raggi X.
I misteriosi raggi in grado di penetrare la materia solida erano stati impiegati per radiografare la mano della moglie di Röntgen, Anna Berthe, e nel 1895 l’immagine aveva fatto il giro del mondo, determinando scalpore e interesse in tutto l’ambiente scientifico.
Becquerel si dedicò a esperimenti sulle relazioni esistenti tra raggi X e fluorescenza: in particolare, il fisico voleva controllare se la radiazione emessa dai cristalli fluorescenti fosse composta tra l’altro da raggi X.
Egli sfruttando i campioni preparati dal padre anni prima, costituiti da minerali di uranio, dopo averli esposti alla luce in modo da provocare l’attivazione della fluorescenza, li dispose su una lastra fotografica in carta nera ottenendo così l’impressione della stessa come previsto.
Becquerel da sperimentatore attento continuò ponendo altri metalli e persino delle monete tra i campioni e le lastre fotografiche, ottenendo ancora una volta il risultato atteso, poiché sia la moneta che gli altri oggetti metallici avevano impresso la loro immagine bianca sulla lastra fotografica.
Lo studioso annunciò trionfalmente ai membri dell’Accademia francese delle Scienze che i raggi X si creavano dalle rocce precedentemente esposte alla luce solare. Qualche giorno più tardi, tuttavia, il cielo di Parigi tornò grigio e piovoso e Becquerel ripose i suoi campioni e le sue lastre al buio in un cassetto, lasciandoli così per una settimana.
Becquerel sapeva che le rocce non potevano rimanere fluorescenti al buio ed era convinto che non si potessero di conseguenza formare immagini sulle lastre in quella condizione. Decise però di sviluppare ugualmente le lastre e con grande sorpresa, notò che ancora una volta erano impresse delle immagini.
Vedeva così confutate le sue precedenti conclusioni perché i raggi avevano impressionato le lastre nonostante i cristalli non fossero stati esposti alla luce del Sole.
Questo era dovuto alla presenza di radiazioni non visibili (a differenza di quelle della fluorescenza che sono invece radiazioni visibili) sui minerali di uranio, che l’acuta mente dello studioso portò a interpretare correttamente, nonostante la situazione fosse completamente nuova e imprevista.
Egli concluse che la radiazione era un evento naturale che non necessariamente veniva indotto da una fonte di energia esterna, sia che si trattasse di luce solare sia di un’altra fonte artificiale, e che questi raggi dovevano provenire dall’interno del materiale.
Becquerel espose i suoi risultati all’Accademia francese delle Scienze ancora una volta, il 2 marzo del 1896, determinando una discussione nuova sulla fisica della radioattività, originata dalla disintegrazione, provocata o spontanea di un nucleo atomico con la conseguente emissione di radiazioni elettromagnetiche.
Il contributo dei coniugi Pierre e Marie Curie
contribuirono a esplorare la scoperta di Becquerel analizzando diversi campioni di pechblenda (l’uranite, una delle principali fonti di uranio) che una volta ridotti in polvere rivelavano di non avere lo stesso livello di radiazioni.
Il livello, infatti, si presentava di gran lunga più elevato in presenza di due elementi, il radio, chiamato così proprio per la sua intensa radioattività, e il polonio, come richiamo alle origini polacche di Marie.
Gli studi sulla radioattività determinarono sia per Becquerel che per i Curie l’assegnazione del premio Nobel per la Fisica nel 1903 per gli “straordinari servigi che essi hanno reso grazie alle loro ricerche congiunte sui fenomeni di radioattivi scoperti dal Professor Henri Becquerel”.
Nella motivazione dell’assegnazione del premio, dunque, è anche presente il riconoscimento del primato di Henri Becquerel il cui nome fu adottato dal Sistema internazionale proprio come unità di misura della radioattività con il simbolo bq.
Da allora le radiazioni vengono adoperate in ogni campo della scienza e della tecnica e se tra le applicazioni più note vi è il loro uso come strumento diagnostico e terapeutico in radiologia, uno degli utilizzi più recenti è connesso alla genetica, dove i raggi X sono utilizzati come agenti mutageni in grado di dar vita a razze e varietà con caratteristiche nuove.
La vita e le altre scoperte di Henri Becquerel
Antoine Henri Becquerel
nasceva nel 1852 e discendeva da una famiglia di scienziati poiché sia il nonno Cesar Antoine Becquerel sia il padre Edmond Alexandre Becquerel erano fisici di chiara fama e avevano insegnato al Muséum national d’histoire naturelle di Parigi.
Il giovane Henri ricevette un’ottima educazione scolastica al Lycee Loius le Gran e poi all’École Polytechnique, infine, terminò i suoi studi all’ École Nationale des Ponts et Chaussées dove ottenne il titolo di ingegnere nel 1877.
Tra il 1875 e il 1882 il suo interesse scientifico fu canalizzato nelle ricerche di ottica, in particolare sulla rotazione del piano di polarizzazione della luce mediante campi magnetici. Dal 1883, si interessò degli studi portati avanti tradizionalmente dalla sua famiglia, si dedicò infatti alla luce emessa dai cristalli fluorescenti e fosforescenti che sottopose all’infrarosso ricavandone materiale per la sua tesi di dottorato che ottenne nel 1888.
A seguito della scoperta dei raggi X da parte di Röntgen nel 1895, discusse con Henri Poincaré sulla fluorescenza che si verificava sul tubo a vuoto colpito dai raggi e decise di intraprendere studi ed esperimenti sulla relazione tra fluorescenza e raggi X.
Le sue scoperte non si fermarono a quella della radioattività, poiché scoprì che i raggi emessi da materiali radioattivi erano in grado di ionizzare i gas e potevano essere deflessi da campi elettrici e magnetici, talvolta in una direzione, talvolta in verso opposto; nello stesso anno Ernest Rutherford li chiamò radiazioni ? e ?.
Infine, nel 1901, dopo aver notato sulla propria pelle le ustioni prodotte dalla manipolazione costante delle ampolle contenenti le sostanze radioattive intraprese uno studio insieme a Pierre Curie sugli effetti dei raggi sulle cellule animali, ricavandone un’informazione fondamentale: la radioattività poteva costituire un pericolo letale per l’uomo.
Dopo aver ottenuto il Nobel e altri importanti riconoscimenti a livello accademico e internazionale per il suo contributo alla scienza, nel 1908 morì prematuramente all’età di 56 anni.