Camogli, cimitero franato: le salme disperse sono molte più del previsto. “In Italia non c’è pace neppure per i morti”

Sono state recuperate solo 21 salme del cimitero di Camogli, su almeno 320 disperse: sono oltre cento in più di quanto si pensasse
MeteoWeb

Sono trascorsi cinque giorni da quando a Camogli, in Liguria, una frana ha trasportato un’intera porzione di cimitero verso il mare. Le salme e le bare che non sono andate distrutte nel crollo sono numerose.  Ieri il Comune ha comunicato alle famiglie in attesa di avere informazioni dei loro cari tumulati, che le spoglie disperse non sono 200 come precedentemente affermato, ma 320. Quelle recuperate fino a questo momento sono solo 21. I due corpi galleggianti trovati a Quinto e a Voltri, ovviamente in avanzano stato di decomposizione peggiorato dal mare, sono nelle camere mortuarie di Genova, dove sono ospitati in attesa di identificazione che, probabilmente dovrà avvenire col prelievo del Dna.

A lavoro sul posto, per mettere in sicurezza, ci sono i vigili del fuoco, oltre ai militari del Consubim. Sul posto sono impegnati protezione civile della Regione Liguria, Vigili del Fuoco, Dipartimento nazionale di Protezione civile, ricercatori specializzati di Fondazione Cima e Università di Firenze e Marina Militare. L’urgenza è quella di mettere in sicurezza la falesia, ancora instabile. Ma la priorità, in questo momento, è anche la messa in sicurezza di chi sta operando per evitare altri crolli e di chi effettua le ricerche.

“In Italia non c’e’ pace neppure per i morti“. Lo segnala la Societa’ Geologica Italiana con una lettera aperta al Presidente del Consiglio Mario Draghi, firmata dal professor Sandro Conticelli, che presiede l’ente morale delle Geoscienze piu’ antico d’Italia, che dal lontano 1885 ha fatto della divulgazione scientifica, oltre che della ricerca, la sua bandiera. “Quello di Camogli – scrive Conticelli – e’ un campanello di allarme di una situazione non piu’ trascurabile. La nostra incapacita’ di mettere in sicurezza anche i nostri morti ha messo in luce, nel modo piu’ drammatico, le problematiche di gestione e manutenzione del nostro territorio”. Secondo il professor Conticelli “qualunque analisi tecnica sull’evento di Camogli appare inutilmente superflua, perche’ le immagini sono raccapriccianti. Sono immagini crude che richiamano le peggiori immagini della storia dell’uomo, immagini di guerra. E cos’e’ l’incuria per il nostro territorio se non qualcosa di feroce, e reiterata mostra le sue conseguenze in modo evidente ogni giorno di piu’?“.

Un’incuria che si ripete da troppo tempo: “In questi anni, si e’ lasciato che il nostro territorio ‘invecchiasse’ privo delle cure essenziali e necessarie per la sua conservazione. Il territorio e’ diventato ancora piu’ fragile, e purtroppo necessita di interventi profondi, incisivi e sicuramente costosi. La vecchiaia del nostro paese e’ il cimitero di Camogli che precipita in mare con il suo bagaglio di memoria e dolore. Ma e’ anche l’inerzia della politica di fronte alla necessita’ di una programmazione efficace e continua della manutenzione del territorio. Oggi raccogliamo il frutto di questa mancata azione: duecento bare nel Mar Ligure”. La Societa’ Geologica Italiana augura a Draghi “che il grande piano di rilancio che il Governo da Lei presieduto sta varando proiettera’ l’Italia nel prossimo futuro. Ma questo piano, che sara’, rispetto al presente, certamente un passo in avanti, fondamentale e ineludibile, dovra’ contenere azioni coraggiose anche nei confronti del nostro territorio considerandolo bene prezioso e meritorio a se’ stante“.

Il segnale di allarme di Camogli – scrive ancora Conticelli – ci suggerisce che e’ tempo di andare oltre le emergenze, programmando investimenti da eseguire in ‘tempi di pace’, che garantiscano la sicurezza dei cittadini ma che, al tempo stesso, siano investimenti a lungo termine“. Infine una richiesta che la Societa’ Geologica Italiana porta all’attenzione del Presidente del Consiglio e del Governo: “I costi per la riqualificazione del nostro territorio sono un investimento che dobbiamo alle future generazioni, cosi’ che il “recovery plan” possa essere l’occasione per invertire finalmente la dinamica dell’intervento straordinario successivo all’evento calamitoso evitando che l’incuria sia nuovamente la causa dell’innesco di pericoli che potrebbero trasformarsi in rischi”.

Condividi