Furono due anni di terribili vicissitudini quelli che dovette affrontare Ernest Shackleton per mettere in salvo tutti i membri del suo equipaggio. Una delle più grandi avventure di tutti i tempi che fece raggiungere all’esploratore la fama per il coraggio dimostrato e l’incredibile tempra morale per cui si distinse, sebbene il suo obiettivo di attraversare il Polo Sud a piedi non gli fu mai dato di raggiungere.
Di lui, a buona ragione, Raymond Priestley (geologo, geografo ed esploratore britannico nonché presidente della Royal Geographical Society) disse: “Datemi Scott a capo di una spedizione scientifica, Amundsen per un raid rapido ed efficace, ma se siete nelle avversità e non intravedete via d’uscita inginocchiatevi e pregate Dio che vi mandi Shackleton”.
Le prime esplorazioni di Ernest Shackleton
La scuola non era per il giovane Ernest sufficientemente interessante e sebbene il desiderio del padre fosse che egli seguisse la professione medica, egli scelse il mare e si arruolò appena gli fu consentito nella marina mercantile britannica.
Nella vita sul mare che aveva scelto Shackleton si impegnò strenuamente fin da subito e per dieci anni viaggiò tra l’Oceano Pacifico e quello Indiano, maturando la convinzione che la marina mercantile non era adeguata a soddisfare le sue ambizioni; così nel 1900 richiese di partecipare come volontario alla spedizione antartica inglese organizzata dalla Royal Geographical Society e guidata da Robert Falcon Scott (celebre esploratore dei poli).
La spedizione salpò a bordo della Discovery, una barca a vapore in legno costruita appositamente per la missione e in grado di avventurarsi nell’Antartico con l’obiettivo per l’appunto proprio di raggiungere per primi il Polo Sud.
Dopo aver stabilito il proprio quartiere invernale sull’Isola di Ross, Scott partì con Shackleton come redattore, il Dr. Edward Wilson come responsabile scientifico e 5 slitte con 19 cani.
Questo fallimento creò una frattura tra Scott e Shackleton che aveva visto accrescere la sua popolarità tra i membri della spedizione e portò il comandante della spedizione a rimandare il giovane Ernest in Inghilterra adducendo cause di salute.
Tutto ciò determinò in Shackleton la ferrea convinzione che un giorno sarebbe comunque ritornato nell’Antartico, cosa che avvenne nel 1908 con la Spedizione Antartica Britannica a bordo della tre alberi Nimrod e grazie all’aiuto finanziario del governo australiano e di quello neozelandese.
Nonostante ciò, i membri dell’equipaggio riuscirono a giungere a soli 180 chilometri dal Polo Sud; ma sebbene il traguardo risultasse così vicino, il ritorno sarebbe stato impossibile, perciò Shackleton decise di fare rientro al campo base, non senza aver riportato alcuni successi.
Al suo ritorno in Inghilterra, egli venne acclamato come eroe popolare e ricevette numerosi riconoscimenti dalle società geografiche.
Ufficialmente Shackleton si trovava in Antartide per analizzare la mineralogia del continente, ma il motivo reale era quello di arrivare per primi al Polo Sud; e in effetti detenne per tre anni il record di avvicinamento all’ambita meta.
La mitica epopea della Endurance
Così diceva: “Dopo la conquista del Polo Sud da parte di Amundsen che, per pochi giorni, aveva preceduto la spedizione britannica di Scott, restava una sola grande impresa dell’esplorazione antartica — l’attraversamento del continente bianco da mare a mare.”
L’Endurance salpò da Plymouth il 9 agosto 1914 su pressione di Winston Churchill, allora First Lord of the Admiralty, il quale invitò Shackleton a non tergiversare per lanciarsi a capofitto in questa avventura che risultava di interesse nazionale.
La spedizione partì dalla Georgia del Sud nel dicembre 1914 con la tre alberi e un equipaggio di 28 uomini. La nave fu progettata espressamente per le spedizioni artiche e fu varata in Norvegia; si trattava di un veliero di 44 metri dotato anche di un motore a singola elica di 350 cavalli che consentiva di mantenere una velocità media di circa 10 nodi.
La Endurance si fece strada verso sud attraverso il pack antartico, ma le condizioni della banchisa erano proibitive e significativamente estese, tanto che il 19 gennaio la nave rimase intrappolata nei ghiacci, dai resoconti del diario di bordo si legge: “La nostra posizione al mattino del 19 era lat. 76°34’S, long. 31°30’O. Il tempo era buono, ma era impossibile avanzare. Durante la notte il ghiaccio aveva circondato la nave e dal ponte non era possibile vedere mare libero”.
L’unica speranza per gli uomini della Endurance era ormai il sopraggiungere dell’estate australe e il conseguente innalzamento delle temperature che avrebbe potuto aiutarli a rompere il ghiaccio per riprendere la navigazione.
Quando la nave venne sopraffatta dalla morsa dei ghiacci e affondò parzialmente, il 27 ottobre Shackleton decise di abbandonarla: “… nell’Endurance avevo riposto ambizione, speranza e desiderio. Adesso, gemendo e stridendo, mentre i suoi legni si spezzano e le sue ferite sanguinano, sta lentamente morendo, proprio ora che la sua carriera era appena iniziata.”
Portati in salvo i cani, le scialuppe di salvataggio e i materiali fotografici inizialmente abbandonati, Shackleton trasferì l’equipaggio sulla banchisa in un accampamento d’emergenza chiamato “Ocean Camp” dove rimase fino al 29 dicembre a una temperatura media di -25° centigradi, quando, in parte con l’utilizzo delle slitte si spostò, trasportando al traino tre scialuppe di salvataggio, su un lastrone di banchisa che chiamarono “Patience Camp”.
Quando notarono che il ghiaccio iniziava a cedere, salirono sulle scialuppe e procedettero secondo i piani di Shackleton che intendeva raggiungere a 160 miglia a ovest l’isola Desolation.
Una volta salpati, tutti i membri dell’equipaggio furono costantemente bagnati e non fu loro possibile accendere un fuoco, necessario per sciogliere il ghiaccio e dissetarsi, l’esploratore comprense che non aveva altra scelta se non raggiungere la prima terra ferma possibile e dopo sette lunghi giorni di navigazione le 3 barche trovarono finalmente approdo su Elephant Island, il 15 aprile del 1916.
Shackleton ordinò dunque al carpentiere della spedizione di lavorare a una delle scialuppe della Endurance, la James Caird, alzandone i bordi, rafforzando la chiglia e costruendo un ponte improvvisato in legno e tessuto intriso di olio e sangue di foca al fine di renderlo impermeabile.
L’eroico salvataggio dell’equipaggio
Fu allora che la storia dell’Endurance e l’eroismo di Shackleton si aprirono un posto nella storia.
Il coraggioso esploratore deciso a salvare il suo equipaggio prese una decisione fortemente azzardata: salpare con la scialuppa modificata della misura di soli 7 metri e affrontare più di 800 miglia sulle acque di uno degli oceani più pericolosi al mondo e con viveri per sole 4 settimane.
Il 24 aprile l’esploratore partì alla volta della Georgia del Sud con solo un cronometro e un sestante per stabilire la rotta e il pericolo di affrontare onde alte 20 metri, venti sui 100 chilometri orari e numerose altre avversità che si posero in effetti sul percorso e che furono affrontate con spirito e brillantezza, trasformando il viaggio della James Caird in una delle più temerarie imprese marittime di tutti i tempi.
Le stazioni baleniere si trovano però sul versante opposto dell’isola e il periglioso avvicinamento alla terraferma, nonché la morfologia della costa rocciosa e piena di insidie, escludevano l’ipotesi di una circumnavigazione dell’isola.
L’entroterra rappresentava un’altra sfida per l’intrepido esploratore poiché non era mai stata esplorata e constava di un susseguirsi di montagne ghiacciate. Shackleton, trasformò quindi gli scarponi in ramponi grazie a dei chiodi nelle suole e senza alcun equipaggiamento di ausilio partì dalla baia di re Haakon e in sole 36 ore percorse i 30 chilometri che lo separavano dalla base Stromness.
Con i balenieri increduli che temevano di aver davanti solo degli spettri, vennero organizzati i soccorsi per i 22 uomini dell’equipaggio rimasti su Elephant Island, anche perché il Regno Unito oramai impegnato nella Prima Guerra Mondiale non avrebbe potuto supportare con aiuti terzi.
Dopo aver cercato aiuto in Sud America e dopo 4 mesi dalla partenza dall’Isola dell’elefante, il 30 agosto, Shackleton riuscì a raggiungere i naufraghi, tutti vivi e in buone condizioni di salute e portarli in salvo su una nave militare cilena Yelcho.
Non completò neppure questo viaggio poiché nel porto di Grytvyken, nella Georgia del Sud fu stroncato da un attacco cardiaco e ancora lì riposano le sue spoglie, il più vicino possibile a quella che fu la sua vera casa.
Nonostante furono tre le volte in cui invano Shackleton sfidò il Polo Sud senza riuscire nel suo intento, egli è passato alla storia come uno dei più grandi esploratori di tutti i tempi e come l’emblema dell’uomo che pure mancando l’obiettivo è in grado di portare a termine l’impossibile.