Il 1964 e il 1965 furono anni decisivi per la storia dei diritti civili negli Stati Uniti d’America. Le manifestazioni che pretendevano l’attuazione del “Civil Right Act” che poneva fine alle leggi sulla segregazione razziale culminarono con le marce di Selma.
L’ultima marcia di Selma ebbe termine il 25 marzo del 1965 quando rientrando a casa fu uccisa Viola Liuzzo, simpatizzante e sostenitrice del movimento non violento per l’uguaglianza dei diritti civili, rea secondo i feroci assassini del Ku Klux Klan di aver preso parte alla manifestazione.
Il marzo che cambiò la storia dei diritti civili
Nel marzo del 1965 si svolsero le marce da Selma a Montgomery, furono tre marce che segnarono la storia della lotta per i diritti civili degli afroamericani negli Stati Uniti e che portarono l’allora presidente, Lyndon Johnson a promulgare il “Voting Rights Act”, la legge che vietò le discriminazioni elettorali su base razziale e che ancora oggi è considerata una delle tappe fondamentali e dei risultati più importanti raggiunti dal movimento per i diritti civili.
A quel tempo, negli Stati del sud profondamente e radicalmente razzisti vigevano alcune norme locali che risalivano agli anni immediatamente successivi alla Guerra Civile americana, le leggi Jim Crow (nome dispregiativo con cui erano indicati gli afroamericani) e che con la locuzione “separate but equal” pretendevano di considerare innocuo o addirittura auspicabile un sistema in cui i neri erano confinati in tutti i luoghi pubblici.
Proprio perché era in vigore la segregazione, i neri godevano solo di limitati diritti politici e civili e a loro era anche precluso il diritto di voto.
Dopo che la Corte Suprema aveva respinto per quasi un secolo tutti i ricorsi contro le leggi della segregazione razziale, nel 1964, grazie all’energica azione di Robert Kennedy, il presidente Lyndon Johnson impose il “Civil Right Act” che rendeva illegali le discriminazioni su base razziale, religiosa o sessuale. Tuttavia, erano numerosi gli stati in cui le leggi in vigore impedivano agli afroamericani di votare.
Tra il 1964 e il 1965 furono numerosissime le manifestazioni organizzate dal movimento per i diritti civili finalizzati ad ottenere l’attuazione concreta del “Civil Right Act” e rivendicare il diritto di voto, a cui le forze di polizia rispondevano con durezza e ferocia.
La prima marcia di Selma
Nel febbraio del ’65 in Alabama nella città di Marion si svolse una delle manifestazioni per i diritti civili che la polizia represse violentemente spegnendo l’illuminazione stradale e caricando i partecipanti.
Tra questi vi era Jimmie Lee Jackson che nel tentativo di sfuggire alla violenza si rifugiò con la madre in un caffè della città, qui venne raggiunto da due agenti di polizia che aprirono il fuoco provocandone la morte che avvenne una settimana dopo in ospedale.
La risposta del Movimento per i Diritti Civili non si fece attendere e, scegliendo un modello di lotta non violenta ispirato all’esempio di Gandhi, organizzò una marcia da Selma, luogo della morte del giovane Jakson, a Montgomery, la capitale dello stato dell’Alabama.
La finalità della marcia era indurre il governatore di stato, George Wallace, a rispondere sugli scontri che avevano portato alla tragica morte; ma aveva anche l’obiettivo di mobilitare l’attenzione mediatica sulla perpetrazione della violazione dei diritti costituzionali degli afroamericani e sollecitare l’impegno del governo federale affinché si attivasse celermente per mettere fine alla segregazione razziale di fatto ancora in atto.
Wallace decise che la marcia rappresentava un rischio per la sicurezza pubblica e sguinzagliò le autorità locali così che facessero quanto possibile per bloccarla.
Lo sceriffo della contea, Jim Clark, radunò tutte le forze di polizia a propria disposizione e nominò vice-sceriffi tutti i maschi bianchi di età superiore ai 21 anni.
La mattina del 7 marzo, Clark si schierò con decine di agenti, poliziotti a cavallo e bande di cittadini razzisti armati di bastoni. La marcia partita da Selma era chiaramente una manifestazione pacifica che comprendeva circa 600 persone rigidamente disposte in fila per due.
Giunti sul ponte Edmund Pettus i manifestanti provarono a comunicare con la polizia che non ascoltò nessuna ragione intimando di disperdersi immediatamente e gettando a terra i cittadini delle prime file che cominciarono a indietreggiare mentre venivano colpiti con i bastoni, la polizia a cavallo caricava il resto dei manifestanti in fuga sul ponte e le altre forze dell’ordine lanciavano lacrimogeni per creare maggiore scompiglio.
Furono 17 i manifestanti che finirono in ospedale quel giorno, e l’episodio fu ribattezzato “bloody Sunday”, la domenica di sangue.
Tuttavia, questa volta le decine di giornalisti presenti, ripresero con le telecamere le ingiustificate violenze della polizia.
La brutale repressione si ritorse contro il governatore e il presidente Johnson condannò immediatamente gli scontri.
Le altre marce di Selma
Due giorni dopo il reverendo Martin Luther King, il principale leader del movimento condusse in prima persona una seconda marcia sul ponte.
Anche in questo caso il tribunale proibì ai manifestanti di completare la marcia, ma questa volta i manifestanti erano 2.500 e attraversato il ponte si riunirono in preghiera sul luogo degli scontri rinunciando a proseguire verso Montgomery poiché i poliziotti che si trovavano davanti erano in tenuta anti-sommossa.
Questa seconda marcia fu denominata “turnaround Tuesday”, martedì dell’inversione di marcia.
Questo non fermò le violenze poiché quella stessa sera alcuni membri del Klu Klux Klan uccisero uno dei leader della marcia. Le manifestazioni di Selma avevano oramai attirato l’attenzione di tutto il Paese e di gran parte del mondo.
Una nuova marcia fu organizzata da Selma a Montgomery da King e dagli altri leader del movimento e questa volta nessuno poté negare loro il permesso di raggiungere la capitale dello Stato.
Infatti, dopo che alcuni segregazionisti assassinarono James Reeb, pastore degli Unitariani universalisti, un uomo bianco di Boston, che aveva partecipato alla seconda marcia, il giudice federale Johnson si espresse in favore dei manifestanti, riconoscendo che il loro diritto di marciare, garantito dal Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, e in alcun modo poteva essere abrogato dallo Stato dell’Alabama.
Il 25 marzo del 1965 nell’ultima tappa della marcia i partecipanti erano 25.000 e giunsero finalmente fino alle gradinate del palazzo del governatore. Qui Martin Luther King tenne uno dei suoi più celebri discorsi.
Grazie alle marce di Selma il 6 agosto dello stesso anno il “Voting Rights Acts” divenne una legge mettendo fine ufficialmente alle discriminazioni legali di tutti i cittadini neri degli Stati Uniti.
Proprio per questi fatti il percorso da Selma a Montgomery per il ruolo avuto nella lotta per il diritto al voto degli afroamericani è considerato un percorso storico degli Stati Uniti, un National Historic Trail.
Viola Liuzzo la martire dell’ultima marcia di Selma
Poche ore dopo la marcia, l’attivista Viola Liuzzo, venne uccisa da 3 membri del Ku Klux Klan, mentre faceva rientro alla propria abitazione.
Viola Fauver Gregg, Viola Liuzzo a seguito del matrimonio, era un’attivista per i diritti civili che fu uccisa a soli 39 anni da alcuni membri del Ku Klux Klan proprio dopo l’ultima marcia non violenta di Selma.
Nonostante fosse nota l’identità dei suoi assassini grazie alla confessione di uno degli esecutori, il caso della sua morte rimase formalmente insoluto a causa di una giuria razzialmente omogenea dello Stato dell’Alabama che assolse i responsabili dell’omicidio.