Aumento delle temperature, inquinamento e crescente urbanizzazione lungo gli ambienti costieri mettono sotto stress anche le piante marine, che come quelle terrestri svolgono un ruolo essenziale nella produzione di ossigeno e nella neutralizzazione del carbonio dall’ambiente. Per questo è molto importante capire la tolleranza delle “praterie del mare” a tutti questi cambiamenti. Una risposta in tal senso arriva dallo studio pubblicato sulla rivista “Evolutionary Applications” da due ricercatori della Stazione Zoologica Anton Dohrn – Istituto Nazionale di Biologia Ecologia e Biotecnologie Marine, Gabriele Procaccini e Jessica Pazzaglia, insieme a Thorsten B.H. Reusch, del EOMAR Helmholtz Centre for Ocean Research di Kiel (Germania), Antonio Terlizzi, dell’Università di Trieste e Lázaro Marín?Guirao, del Oceanographic Center di Murcia (Spagna).
MILLENARI “INGEGNERI” ECOSISTEMICI
Lo studio è focalizzato sulle fanerogame marine, organismi marini che colonizzano gli ambienti costieri. Si tratta di piante marine, molto simili alle sorelle terrestri, che nel corso della loro evoluzione sono ritornate a colonizzare i nostri mari, formando densi ed estesi prati sottomarini lungo la fascia costiera. Le fanerogame marine sono considerate “ecosystem engineering”, sostengono ecosistemi diversificati e produttivi e sono particolarmente sensibili ai rapidi cambiamenti ambientali. Le fanerogame stabilizzano i fondali proteggendo la linea di costa, ospitano una enorme biodiversità, producono enormi quantità di ossigeno e sequestrano carbonio dall’ambiente, al pari o al di sopra delle foreste pluviali. Durante la metà del Cretaceo (145-66 milioni di anni fa), tre linee evolutive di monocotiledoni, appartenenti alle Alismatales, hanno fatto ritorno al mare dimostrando straordinarie capacità adattative.
QUANTO SONO “PLASTICHE” LE PIANTE MARINE?
Come possono questi straordinari organismi, che comprendono specie millenarie, fronteggiare repentini e continui cambiamenti ambientali? La possibilità di sopravvivenza di questi organismi e, dunque, della loro funzione a sostegno delle funzioni ecosistemiche, dipende da quanto questi organismi siano in grado di tollerare un certo cambiamento, ovvero da quanto possano essere considerati plastici. Ecco che quindi la plasticità fenotipica, che viene definita come la capacità di un organismo di modificare i propri parametri fisiologici e genetici adattandosi alle nuove condizioni, può essere considerata ad oggi come una proprietà intrinseca degli organismi per sopravvivere ai futuri cambiamenti ambientali.
LA RISPOSTA DELLE PIANTE AI CAMBIAMENTI CLIMATICI
In “Phenotypic plasticity under rapid global changes: the intrinsic force for future seagrasses survival” i ricercatori mettono in evidenza come questi concetti siano oggi fondamentali per analizzare la risposta delle piante marine ai rapidi cambiamenti ambientali. “In questo lavoro – spiegano i ricercatori Gabriele Procaccini e Jessica Pazzaglia – vengono esplorati diversi approcci volti a valutare l’acclimatazione e l’adattamento locale delle fanerogame marine, spiegando i punti di forza e di debolezza e viene inoltre discusso il ruolo che i cambiamenti genetici ed epigenetici possono svolgere sulla plasticità delle fanerogame marine sottoposte a cambiamenti ambientali”.
BIOTECNOLOGIE ED “EVOLUZIONE ASSISTITA”
Vista l’importanza e la necessità di preservare questi ecosistemi costieri fondamentali per il mantenimento degli equilibri della fascia costiera, vengono descritti e criticamente discussi i diversi approcci sperimentali che permettono di indagare sulla plasticità fenotipica delle piante marine. L’introduzione di nuove tecnologie di miglioramento genetico, per esempio priming o hardening che si fondano sull’applicazione di tecniche e di nuovi approcci sperimentali di evoluzione assistita e di selezione genotipica ci permettono, inoltre, di incidere sulla plasticità delle piante marine in modo da renderle più tolleranti ai futuri stress ambientali e migliorare così i programmi di restauro e conservazione ambientale.
“La possibilità di selezionare genotipi resistenti e plastici in grado di fronteggiare un ampio range di cambiamenti ambientali – continuano gli scienziati – grazie anche con l’introduzione di nuove tecniche di laboratorio, può favorire un’ evoluzione assistita, migliorando il successo dei programmi di restauro e conservazione ambientale”.