SARS-CoV-2, uno studio scagiona la scuola: “Apertura non responsabile dell’impennata di ottobre-novembre 2020, la chiusura in due regioni non ha influito sulla diminuzione dell’Rt”
Le evidenze di un nuovo studio "non supportano un ruolo degli individui in età scolare e delle aperture scolastiche come "motore" della seconda ondata di Covid-19"
Da quando la pandemia da SARS-CoV-2 è arrivata a scombussolare le nostre vite, la scuola è stata uno dei settori più colpiti, tra chiusure e didattica a distanza. In questi mesi si è dibattuto molto sul ruolo degli studenti nella diffusione del contagio. Nonostante importanti evidenze biologiche ed epidemiologiche che i bambini abbiano un ruolo marginale nella diffusione di SARS-CoV-2, sono state prescritte politiche di chiusura delle scuole in alcuni Paesi, tra cui l’Italia. Queste decisioni sono principalmente basate sulla coincidenza temporale tra la riapertura della scuola in alcuni Paesi e le epidemie di COVID-19.
Ora un nuovo studio – coordinato dal prof. Luca Scorrano del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova e dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare e dalla prof.ssa Sara Gandini, epidemiologa dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, in collaborazione con l’Aulss 9 Scaligera di Verona, il Dipartimento di Biologia dell’Università di Roma Tor Vergata e AbaNovus di Sanremo – dati alla mano, fa un po’ di chiarezza sul ruolo di bambini e ragazzi in età scolare e delle scuole nella diffusione della pandemia. Lo studio “A cross-sectional and prospective cohort study of the role of schools in the Sars-CoV-2 second wave in Italy”, pubblicato sulla prestigiosa rivista The Lancet Regional Health – Europe, indica come l’impennata dell’epidemia osservata tra ottobre e novembre 2020 non possa essere imputata all’apertura delle scuole e come la loro chiusura totale o parziale in due regioni italiane non abbia influito sulla diminuzione dell’ormai famoso indice Rt.
“La relazione tra diffusione del Covid-19 e scuola in presenza è un argomento complesso, che deve essere affrontato con rigore scientifico e senza pregiudizi, attraverso approfonditi studi epidemiologici – spiega il professore Luca Scorrano – Abbiamo pertanto confrontato l’incidenza del Covid-19 tra gli studenti e tra il personale scolastico (docente e non) con quella nella popolazione generale, dello stesso range di età nel caso del personale scolastico”. “Abbiamo valutato – prosegue Scorrano – se in concomitanza con l’apertura della scuola l’incidenza del Covid-19 aumentasse prima tra le persone in età scolare che nella popolazione generale, se gli studenti o il personale scolastico positivi al Covid-19 provocassero focolai di Covid-19 nelle scuole, se i focolai in contesti scolastici fossero causati principalmente da studenti, e infine se a livello delle diverse regioni italiane l’aumento dell’indice Rt seguisse le date di apertura della scuola (diverse da regione a regione) a un intervallo di tempo costante. Un intervallo di tempo costante tra apertura delle scuole e aumento dell’indice Rt sarebbe infatti un importante indicatore di correlazione tra scuole in presenza e circolazione virale nella popolazione generale”.
“Il nostro studio mostra come l’incidenza di Covid-19 tra gli studenti sia stata inferiore rispetto alla popolazione generale – dice la professoressa Sara Gandini – Le infezioni secondarie a scuola erano <1% e focolai si sono verificati nel 5-7% delle scuole analizzate. L’incidenza tra gli insegnanti era paragonabile a quella registrata nella popolazione di età paragonabile a quella degli insegnanti. Le infezioni secondarie tra gli insegnanti erano rare e si verificavano più frequentemente quando il caso indice era un insegnante rispetto a uno studente. Nel periodo che ha di poco preceduto l’apertura delle scuole in Veneto e in concomitanza con l’apertura stessa, l’incidenza di COVID-19 è cresciuta massimamente non tra gli studenti, ma negli individui di 20-29 e 45-49 anni. Lo sfasamento tra le diverse date di apertura delle scuole nelle regioni italiane e l’aumento dell’indice Rt regionale non è stato uniforme. Infine, le chiusure di scuole in due regioni dove sono state attuate prima di altre misure non hanno influenzato la diminuzione di Rt che era già in atto“.
“Nel loro complesso, queste evidenze non supportano un ruolo degli individui in età scolare e delle aperture scolastiche come “motore” della seconda ondata di Covid-19“, aggiunge il professor Scorrano. “Il nostro lavoro si aggiunge alle molteplici evidenze accumulate nel corso di quest’ultimo anno che nel loro complesso hanno “scagionato” la scuola in presenza. In salute pubblica dobbiamo sempre bilanciare rischi e benefici. Alla luce della mancanza di solide evidenze che la scuola in presenza contribuisca significativamente alla diffusione della pandemia, ci sembra che il beneficio non sia chiaro e che il rischio qui sia soprattutto quello delle gravi ripercussioni causate della chiusura delle scuole sulla salute di bambini ed adolescenti”, conclude la professoressa Gandini. Gli autori concludono come questa analisi dovrebbe essere tenuta inconsiderazione nelle decisioni su scuola in presenza durante l’attuale pandemia di COVID- 19.