L’11 Marzo 2011, alle ore 06:46 italiane (le ore 14:46 in Giappone), una parte piuttosto grande della faglia che separa la placca oceanica pacifica da quella chiamata di Okhotsk (sulla quale si trovano le isole del Giappone) “si è mossa improvvisamente, producendo un terremoto di magnitudo Mw 9.1. Il terremoto del 2011 è uno dei cinque terremoti più forti avvenuti nel mondo dal 1900 e il più forte registrato in Giappone. La regione più colpita è stata quella di Tohoku, da cui poi ha preso il nome questo evento. Si tratta di una delle zone sismicamente più attive della Terra dove le placche convergono alla velocità di circa 9 cm/anno, generando il processo noto come subduzione, che è responsabile dei terremoti più forti che avvengono sulla Terra“: a raccontare cosa avvenne 10 anni fa, e a fare il punto tra passato e futuro, sono gli esperti del Centro Allerta Tsunami INGV, sul blog INGVterremoti.
Il terremoto in Giappone, tra i più studiati al mondo
Il terremoto è avvenuto al largo delle coste di Honshu, l’isola più grande del Giappone, e ha generato uno tsunami devastante: “I forti terremoti (M>8.5) che avvengono lungo le interfacce di subduzione sono caratterizzati da un’area di rottura lungo il piano di faglia estesa per centinaia di chilometri e sono definiti terremoti megathrust. Poiché avvengono in mare aperto o vicini alla costa, questi terremoti generano uno spostamento repentino del fondo del mare che può causare uno tsunami, proprio come accadde per il terremoto giapponese dell’11 marzo 2011. La stessa area era stata interessata nei secoli precedenti da almeno quattro terremoti di magnitudo maggiore di 8 che avevano generato degli tsunami distruttivi. L’ultimo era avvenuto nel 1933.
Il terremoto di Tohoku è uno degli eventi sismici più studiati dai ricercatori di tutto il mondo, grazie all’enorme mole di dati a disposizione, tra cui i dati sismici, quelli geodetici e naturalmente i dati delle variazioni di livello del mare, misurate sulle coste e in offshore”.
Quali sono stati gli effetti del terremoto?
Un terremoto come quello di Tohoku, proseguono gli esperti INGV, “rilascia un’energia enorme (8000 volte quella del terremoto di Norcia del 2016 di magnitudo Mw 6.5). Tuttavia, essendo la faglia responsabile dell’evento molto lontana dalla terraferma, i danni maggiori sono stati causati dallo tsunami che ha seguito il terremoto. Le prime inondazioni si sono avute pochi minuti dopo le ore 14:46 locali.
Lo tsunami è stato osservato in tutto l’Oceano Pacifico ed ha causato gravi danni in Giappone e danni minori ma diffusi in altri Paesi.
Nella prefettura di Iwate (regione di T?hoku) le onde dello tsunami hanno raggiunto ampiezze maggiori di 10 metri davanti alle coste delle prefetture di Iwate, Miyagi e Fukushima, con run-up* fino a 38 m, e penetrando in terra anche fino a 5 km nella piana di Sendai. Le onde di tsunami hanno la caratteristica di muovere l’intera colonna d’acqua, dal fondo alla superficie e, in mare aperto, dove il fondale è molto profondo, sono difficilmente osservabili e viaggiano a velocità molto sostenute.
Nel caso dello tsunami del Giappone, anche le boe collocate nell’Oceano Pacifico, a circa 500 miglia dalla costa hanno registrato variazioni notevoli del livello del mare (in particolare, la boa DART 21418 collocata a Nord Est di Tokyo ha registrato un ampiezza massima di circa 1.80 m).
Lo tsunami ha raggiunto le coste di tutti i Paesi prospicienti l’Oceano Pacifico. A Coquimbo in Cile, a oltre 16000 km di distanza, sono state osservate onde di oltre due metri; a Crescent City in California, a 7500 km di distanza, si sono registrati run-up di oltre due metri e mezzo. Anche in Russia, Sud America, Hawaii e Stati Uniti sono stati osservati run-up fino a 2 metri“.
Cosa abbiamo imparato dall’evento del 2011?
Il terremoto di Tohoku, concludono gli esperti INGV, “ha evidenziato l’importanza di un approccio multidisciplinare per comprendere i processi fisici alla base dei forti terremoti nelle aree di subduzione. In questo contesto, le reti osservative assumono un ruolo sempre più importante. Dopo il 2011, il Giappone ha incrementato drasticamente il numero di strumenti installati sul fondo del mare, sia sismometri, sia geodetici e sensori per la misura del passaggio delle onde. Inoltre, le campagne di perforazione della faglia sul fondo dell’oceano (come il progetto Japan Trench Fast Drilling Project – JFAST) si sono rivelate fondamentali per la comprensione del comportamento dei materiali che compongono la parte più superficiale del contatto tra le placche nella zona di subduzione, e degli effetti di questo comportamenti sulla dimensione degli tsunami.
Lo studio e la comprensione delle caratteristiche del terremoto sono risultati molto importanti per migliorare il funzionamento dei sistemi di allerta tsunami e per la valutazione della pericolosità da tsunami“.
*run-up: altezza topografica massima raggiunta dall’acqua durante un maremoto, rispetto al livello del mare.