Il 27 febbraio 2010 un terremoto molto forte, di magnitudo 8.8, colpì il Cile, tra le province di Maule e di Bio Bìo. Il terremoto, il cui epicentro è stato localizzato lungo la costa cilena centrale, circa 325 km a sud della capitale Santiago, è stato avvertito fino a San Paolo in Brasile e Buenos Aires in Argentina, distanti migliaia di chilometri. Quello del Maule è stato il più forte terremoto del Sud America in epoca strumentale dopo quello del 1960 di magnitudo 9.5, considerato l’evento sismico più forte mai registrato a scala mondiale. Il terremoto del Maule nel 2010 provocò uno tsunami distruttivo per le coste cilene e per alcune isole dell’Oceano Pacifico, come si vede in questa animazione che mostra la simulazione numerica della propagazione del maremoto.
Inquadramento sismo-tettonico
Il terremoto è avvenuto in una delle più estese zone di subduzione della Terra, che corre lungo tutta la costa Pacifica del Sud America, dove la crosta oceanica che forma la placca tettonica di Nazca si immerge al di sotto della crosta continentale della placca Sud Americana. La convergenza tra le placche nella zona del Maule avviene ad una velocità relativa di circa 7 cm / anno. L’attrito tra le due placche le deforma e genera accumulo di energia elastica che può essere liberata dai terremoti generando onde sismiche e lo spostamento repentino del fondo del mare che può dar luogo a uno tsunami (Lorito et al., 2016).
In terremoti grandi come quello del Maule nel 2010, l’improvviso movimento relativo dei due blocchi avviene su aree molto grandi; in questo caso è stata stimata una lunghezza di circa 600 km in direzione nord-sud e una estensione in larghezza sulla placca in subduzione maggiore di 100 km, dalla fossa oceanica (trench) a ovest fin al di sotto della catena delle Ande a est.
È bene sapere che il movimento di una faglia di grandi dimensioni, anche inferiori a quella del terremoto del Maule, può provocare una significativa deformazione del fondo del mare anche se l’epicentro del terremoto risultasse localizzato in terra. Questo sia perché la dislocazione lungo la faglia inizia in un punto (l’ipocentro) e da lì poi si propaga e si estende su grandi aree, sia perché la deformazione del fondo del mare indotta dalla rottura lungo il piano di faglia, ovvero dallo spostamento tra le placche, si estende su un’area più grande della rottura stessa. Per questo motivo i sistemi di allerta tsunami possono inviare dei messaggi di allerta anche se l’epicentro è in terra a molti chilometri dalla costa.
I danni
I danni causati dal terremoto del 27 febbraio 2010 sono stati estesi, ma relativamente contenuti se consideriamo la sua magnitudo (8.8), a causa principalmente delle politiche di prevenzione strutturale messe in campo dalle autorità cilene dopo il grande terremoto del 1960. Sono stati comunque danneggiati moltissimi edifici in diverse città cilene, con oltre 300 vittime.
Lo tsunami generato dal terremoto ha provocato ulteriori danni alle aree costiere e oltre 150 vittime.
La sorgente del terremoto
Molti studi sono stati condotti sul terremoto del Maule e la maggior parte dei modelli di dislocazione ottenuti per questo evento ha identificato una propagazione bilaterale della rottura sismica rispetto alla posizione ipocentrale. Questi modelli concordano quindi nell’identificazione di due grandi zone di rottura principali, una a sud dell’ipocentro e l’altra a nord dell’ipocentro, con quest’ultima caratterizzata da una dislocazione massima lungo il piano di faglia maggiore di 15 m. Alcuni gruppi di ricerca (Yue et al., 2014) hanno ipotizzato un modello di dislocazione caratterizzato da una rottura molto superficiale, tale cioè da raggiungere la fossa oceanica; questo tipo di meccanismo, osservato anche durante il terremoto di Tohoku (Giappone) del 2011, è molto importante perché è in grado di aumentare il potenziale tsunamigenico associato al terremoto. Questa ipotesi, per il terremoto del Maule, è stata confermata dai risultati di una campagna di misura sul fondo dell’oceano condotta da Maksymovicz et al. (2017) che ha individuato un sollevamento del fondo del mare nelle vicinanze della fossa oceanica pari a circa 5 m; tale deformazione cosismica è consistente con una significativa dislocazione superficiale del piano di faglia, come evidenziato in uno studio recente da Romano et al. (2020).
Lo tsunami
Lo tsunami ha danneggiato diffusamente le città di Concepcion, Constitucion, Dichato e Pichilemu. Le onde si sono propagate in tutto l’Oceano Pacifico, raggiungendo, per esempio, le coste di San Diego (USA), dove alcuni bastimenti hanno rotto gli argini e sono stati trascinati sul molo.
Lo tsunami ha lambito circa oltre 700 chilometri di costa. Localmente sono stati misurati picchi di run-up (la massima quota topografica raggiunta dallo tsunami) fino a 30 metri.
Nella città di Talcahuano, dove lo tsunami ha raggiunto 5 metri di altezza, sono state osservate contemporaneamente abitazioni galleggiare al largo e grandi scafi raggiungere il centro della città. Le onde distruttive hanno raggiunto velocemente l’isola cilena di Robinson Crusoe, nell’arcipelago cileno di Juan Fernandez, a 670 km dalla costa, distruggendo molti edifici e causando 5 vittime.
I vigili del fuoco del dipartimento di Constituciòn, impiegati nelle operazioni di soccorso nel centro della città, recuperarono alcune vittime disperse sull’Isola Orrego, posta alla foce del fiume Maure che scorre nella città.
Lessons learned
Si valuta che le precauzioni tecnico-scientifiche e organizzative prese a seguito dello tsunami del 2010 abbiano contribuito in modo decisivo a salvare numerose vite umane durante lo tsunami del 2014 nel Cile settentrionale, generato anch’esso da un forte terremoto, quello di Iquique (magnitudo 8.2). Il sistema di monitoraggio e informazione degli tsunami in Cile era stato riorganizzato radicalmente dopo l’evento del 2010.
Nel maggio 2012, infatti, circa mezzo milione di persone partecipò all’esercitazione con evacuazione a Valparaìso. Nel caso del terremoto e dello tsunami del 2014, circa un milione di persone furono evacuate o lasciarono spontaneamente le coste dell’area colpita, riconoscendo nel forte e prolungato scuotimento un possibile precursore dello tsunami. Analoghi miglioramenti nelle procedure di avviso ed evacuazione furono osservati con il terremoto di Illapel di magnitudo 8.3, avvenuto sempre in Cile nel settembre 2015.
A cura di Fabrizio Romano, Lorenzo Cugliari, Stefano Lorito e Alessandro Amato, Centro Allerta Tsunami, INGV.