Chernobyl 35 anni dopo: all’1:24 del 26 aprile 1986 il più grave incidente della storia dell’energia nucleare

Chernobyl, il 26 Aprile del 1986 il disastro nucleare che sconvolse l'Europa e il mondo intero
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Alle 01:24 del 26 aprile 1986 un guasto al reattore numero 4 della centrale atomica di Chernobyl, nei pressi di Kiev in Ucraina, provoca il più grave incidente della storia dell’energia nucleare. Era la stessa notte come oggi, di 35 anni fa.
La nube radioattiva che si sviluppò da quel disastro, investì tutta l’Europa provocando una serie di conseguenze nella popolazione.
Nelle settimane successive allo scoppio, a causa delle radiazioni, furono trentuno i lavoratori della centrale e i pompieri che persero la vita tra atroci sofferenze, ma il numero esatto delle vittime “collaterali” del disastro nucleare è tutt’oggi incerto e non vi è ormai più alcun modo di stabilire con certezza i morti diretti, ma soprattutto quelli indiretti, deceduti in seguito, a causa di malattie.

L’incidente – Nella notte tra il 25 e il 26 aprile 1986 si verificò l’esplosione al reattore numero 4 della centrale atomica di Chernobyl mentre era in corso un test per il quale erano stati staccati i sistemi di sicurezza. Durante una prova per verificare il funzionamento della turbina in caso di mancamento improvviso di corrente elettrica, errori umani e tecnica difettosa crearono le condizioni per il disastro. L’orologio segnava l’una, 23 minuti e 44 secondi. Fuoriuscirono circa il 50% di iodio e il 30% di cesio, disperdendosi nell’atmosfera, con un’emanazione di radioattività tra i 50 e i 250 milioni di Curie, quantità circa cento volte maggiore rispetto a quella delle bombe americane su Hiroshima e Nagasaki nel 1945. Sebbene il disastro giapponese avvenuto a Fukushima nel 2011 abbia raggiunto lo stesso livello massimo di classificazione sulla scala internazionale “Ines“, il settimo, l’incidente nell’allora repubblica sovietica è considerato ancora dagli esperti il più grave, per la velocità, l’entità della fuga di materiale radioattivo e gli effetti sulla salute e sull’ambiente nell’area. La nube radioattiva si spostò rapidamente da Chernobyl verso gran parte d’Europa. Secondo l’Iaea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) l’esplosione portò la contaminazione più elevata in un’area nel raggio di 100 km dalla centrale, con la concentrazione maggiore di isotopi di stronzio, cesio e plutonio.

Solo il 27 aprile, 36 ore dopo l’incidente, furono evacuati i 45mila abitanti di Pripyat, la cittadina a un passo da Chernobyl, e nei giorni successivi circa 130 mila persone in un raggio di 30 km dovettero lasciare le proprie case. In totale successivamente furono circa 350 mila le persone evacuate dalla regione e costrette a trasferirsi altrove. L’allarme in Europa giunse dalla Svezia il 28 aprile, quando venne registrata radioattività anomala nel Paese. Nei primi dieci giorni successivi alla catastrofe si tentò con ogni mezzo di fermare la fuga radioattiva: elicotteri militari versarono oltre 1800 tonnellate di sabbia e 2400 di piombo sul reattore, ma solo il 6 maggio la situazione fu sotto controllo. Migliaia le persone che parteciparono alle operazioni, tra militari e civili. Si calcola che i “liquidatori“, operai, pompieri, soldati, reclutati e volontari, siano stati nei mesi seguenti circa 700mila, provenienti non solo da Ucraina, ma anche da Russia e Bielorussia, repubbliche che all’epoca dell’incidente facevano parte appunto dell’Unione Sovietica. Da Mosca l’ammissione del disastro arrivo solo il 14 maggio da parte del segretario dell’allora Partito comunista sovietico Mikhail Gorbaciov.

Secondo l’Iaea furono circa 4000 le vittime causate direttamente dalle radiazioni, tra di essi in larga parte i cosiddetti “early liquidators”, coloro cioè che lavorarono per primi tentando di tamponare i danni dopo l’esplosione. Cifre non ufficiali alzano il numero dei morti sino a 25mila in tutti e tre i Paesi (Ucraina, Bielorussia e Russia) investiti dalla nube radioattiva. Certezze non ve ne sono, nemmeno per i numeri delle persone colpite da malattie – cifre sempre non ufficiali indicano 100mila casi di tumore alla tiroide per persone di tutte le età nelle tre ex repubbliche sovietiche – e da disturbi psicologici che possono aver interessato i cinque milioni di persone che anche per un breve periodo sono state esposte a radiazioni sopra la norma appena in seguito alla catastrofe.

Chernobyl, il clamoroso retroscena tra documenti segreti, caos e dati falsificati

Furono due i disastri di Chernobyl. Uno e’ quello che avvenne il 26 aprile 1986 presso la centrale nucleare in Ucraina settentrionale, a un tiro di schioppo dalla Bielorussia, che causo’ svariate migliaia di tumori, decine di migliaia di sfollati e una nube radioattiva che si estese su vaste porzioni d’Europa, Balcani compresi, toccando persino porzioni della costa orientale del Nord America. L’altro fu quello che, giorno dopo giorno, fu realizzato con gli ordini impartiti da Mosca in conseguenza del “meltdown” della centrale intitolata al compagno Lenin: direttive disposte dai massimi vertici sovietici con tutta la trafila, a tratti surreale, della catena di comando di quella che allora era l’Urss, dalle riunioni d’emergenza del Politburo ai piu’ oscuri e remoti funzionari della nomenklatura sovietica.

Lo dimostrano centinaia di documenti segreti sovietici che i National Security Archives americani pubblicano per la prima volta integralmente a poco piu’ di 33 anni dal piu’ grave disastro nucleare mai verificatosi in una centrale nucleare, uno dei due incidenti classificati come “catastrofici” insieme a quello di Fukushima del marzo 2011. Si tratta di note, protocolli, resoconti del Politburo nei giorni successivi all’incidente. Quel che ne emerge non e’ solo un colossale tentativo di insabbiare le reali conseguenze del disastro, ma soprattutto una immensa e delirante operazione di “aggiustamento della realta'” che ha avuto un drammatico impatto diretto sulla salute degli stessi cittadini sovietici. Come si vede chiaramente dal seguente documento, datato 8 maggio 1986: “Classificato. Minuta numero nove. 8 maggio, 1986. Il ministero della Salute dell’Unione Sovietica ha approvato nuovi livelli accettabili di radiazione ai quali il pubblico puo’ essere esposto, e che sono 10 volte superiori ai livelli precedenti. In casi speciali, sono accettabili livelli superiori 50 volte a quelli precedenti”.

In altre parole: a fronte di migliaia di persone che venivano ricoverate d’urgenza negli ospedali, le autorita’ sovietiche hanno pensato bene di cambiare al volo i limiti dell’esposizione a radiazioni nucleari. Ma sapevano bene quale fosse la realta’: il numero degli ammalati cresceva a livello esponenziale, come peraltro documentato dalla minuta numero 12 del 12 maggio, secondo cui in quel momento “10.198 persone sono state ricoverate in ospedale, di queste 345 mostrano sintomi di malattia da radiazione”. Come emerge da altri documenti, la maggior parte fu pero’ rimandata a casa. Una sequenza di eventi oltre i limiti dell’incredibile: l’evacuazione fu seguita da una contro-evacuazione, anche dei soggetti piu’ deboli ed esposti alle conseguenze letali delle radiazioni. “Classificato. Minuto numero 29, 23 giugno 1986. Rapporto sulla possibilita’ di far rientrare bambini e donne incinta nelle aree con livelli di radiazioni nella fascia tra 2 millirem all’ora fino a 5 millirem all’ora”. Come commenta la giornalista ed ex deputata Alla Yaroshinskaya – fu lei, nel 1991, con l’Urss ormai in via di collasso, ad ottenere in modo avventuroso la maggior parte dei documenti segreti oggi pubblicati dai National Security Archives – “per avere un confronto, il governo statunitense stabilisce a meno di 6000 millirem all’anno la massima esposizione per un adulto che lavora con materiale radioattivo e raccomanda che feti umani non debbano essere esposti a piu’ di 50 millirem al mese”. Ma c’e’ molto di piu’, in queste carte. Un altro protocollo segreto del Politburo arriva a varare una “ricetta” volta a rendere commestibile carne e latte contaminato, consigliando la lavorazione di carne contaminata dalla radiazione trasformandola in salami e derrate di cibi conservati.

“Top secret. Risoluzione del Politburo del Comitato centrale del Pcus, 8 maggio 1986. Protocollo registrato dal compagno V.S. Murakhovsky. Macellando bestiame e maiali, si e’ scoperto che la loro carne puo’ essere approntata per essere consumata lavando gli stomaci (degli animali, ndr) con acqua e rimuovendo i linfonodi”. E ancora: “Classificato. Aggiunta al rapporto n. 32. Distribuire carne contaminata dalle radiazioni e’ possibile attraverso tutto il Paese nell’uso ad una proporzione di 1:10 con carne normale, per trattare salsicce e cibi trattati”. Ne’ Kafka ne’ i surrealisti sono mai arrivati a tanto. A detta di Yaroshinskaya, si tratta di 47.500 tonnellate di cibo e di 2 milioni di tonnellate di latte prodotti nelle zone contaminate, che secondo una stima successiva hanno messo in pericolo nel solo 1989 complessivamente 75 milioni di persone. L’ex deputata in proposito cita, in un articolo pubblicato qualche anno fa sul Moscow Times, la nota del Procuratore generale sovietico V.I. Andreyev: “Queste disposizioni hanno creato le condizioni per una accresciuta mortalita’, una maggiore incidenza di formazioni maligne, un numero maggiore di deformazioni. Per 1,5 milioni di persone – compresi 160 mila bambini sotto i 7 anni – le tiroidi sono state esposte a dosi radioattive di 30.000 millirem nell’87% degli adulti e nel 48% dei bambini”.

Dopodiche’ c’e’ il tema di come oscurare quanto accaduto dopo Chernobyl, sia in Ucraina che a Mosca. L’ex deputata spiega, nel saggio pubblicato in esclusiva dal sito del National Security Archive statunitense, che nessuno di coloro che si sono resi responsabili della gestione della saluta pubblica sovietica dopo il disastro e’ mai finito alla sbarra: “Noi non abbiamo avuto i colpevoli degli oltraggi compiuti”. Ebbene, il riferimento e’ ai “massimi burocrati del Pcus” i quali, cosi’ si legge in un’altra delle carte, imposero “di rafforzare gli sforzi di propaganda volti a smontare le ingannevoli fabbricazioni dell’informazione borghese e delle agenzie d’intelligence riguardo alla centrale nucleare di Chernobyl”.

Stando a quanto afferma un documento della sezione di Kiev del Kgb, gli agenti sovietici avevano anche il compito di “identificare e localizzare” gli studenti stranieri presenti nel Paese che si riteneva potessero diffondere le “dicerie” intorno al disastro, ipotizzando persino di “monitare i loro livelli di panico” dopo l’incidente. Non sorprende che gli americani, dal canto loro, non siano stati particolarmente teneri nel loro giudizio sull’efficienza sovietica sui progetti di insabbiamento: in un rapporto confidenziale del 7 maggio 1986 l’assistente speciale del presidente Reagan nonche’ direttore degli Affari sovietici del National Security Council, Jack Matlock, definisce quello sovietico “un totale flop comunicativo”, aggiungendo pero’ che “ci sono modi attraverso i quali possiamo capitalizzare” il caos seguito al disastro. Che, in effetti, doveva essere totale, stando alla nota del consulente scientifico Vladimir Gubarev inviata al Comitato centrale del Pcus dopo il suo viaggio a Chernobyl, dalla quale emerge chiaramente il livello di incompetenza che porto’ alla “perdita non necessaria di vite umane”, nonche’ la “completa paralisi” delle autorita’ locali, incapaci di fare alcunche’ senza precisi ordini da Mosca. Scrive Gubarev che “nel giro di un’ora la situazione con le radiazioni era gia’ chiara”, e nonostante cio’ “non era presente nessun tipo di misura di evacuazione d’emergenza pianificata: le persone non sapevano cosa fare”. Completamente diversa la rappresentazione dei fatti nel primo rapporto ufficiale del disastro inviato al Politburo dal ministero dell’Energia sovietico, redatto il giorno stesso dell’incidente, secondo cui le fiamme erano state domate alle 3.30 ed il reattore tempestivamente raffreddato: “L’adozione di misure speciali, tra cui l’evacuazione della popolazione, non e’ necessaria”.

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