“Dagli spettacolari parossismi dell’Etna tra metà febbraio ed inizio aprile, la piccola ma scenografica eruzione sulla penisola islandese di Reykjanes, e le minacciose colate laviche del vulcano Pacaya in Guatemala, i vulcani sono tornati nella percezione pubblica in maniera rilevante. Ricordiamo però che è normale che siano in eruzione diverse decine di vulcani contemporaneamente nel mondo“, inizia così l’approfondimento, pubblicato sul blog INGVvulcani, che Boris Behncke, vulcanologo dell’Osservatorio Etneo dell’INGV, dedica alla violenta eruzione del vulcano La Soufrière, nell’isola caraibica di St. Vincent.
“A questo concerto di eruzioni significative si aggiunge un’altra, molto più pericolosa, che potrebbe posizionarsi fra le eruzioni più grandi di questo secolo. Dopo più di tre mesi di lenta emissione di lava molto viscosa, che si è accumulata all’interno del cratere formando un duomo lavico, il vulcano La Soufrière sull’isola di St. Vincent nei Caraibi (Figura 1) è entrato in una fase di violente esplosioni nel mattino del 9 aprile 2021. Colonne eruttive, ricche di cenere e gas, alte fino a 20 km, hanno oscurato il cielo non solo sulla stessa isola di St. Vincent ma anche su quella di Barbados, a 165 km di distanza ad est. Pesanti ricadute di cenere si sono depositate sulla “zona rossa”, evacuata quando un repentino aumento dell’attività sismica e dell’emissione di gas ha allarmato gli scienziati e le autorità. In via precauzionale, infatti, circa 20mila persone hanno dovuto lasciare le loro abitazioni”.
“Il vulcano sta seguendo un copione ben preciso, come ha fatto anche durante le eruzioni precedenti, con qualche variazione sul tema comune. La Soufrière di St. Vincent è un vulcano dal carattere violento, così come altri vulcani, per esempio il Kelud in Indonesia. Da quando fu “scoperto” dai conquistadores del ‘500, La Soufrière ha prodotto 6 eruzioni (compresa quella attuale), nel 1718, 1784, 1812, 1902-1903, 1971-1972, 1979 e 2021. Tutte queste eruzioni, a parte quelle del 1784 e del 1971-1972 sono state fortemente esplosive, e quelle del 1812 e del 1902-1903 disastrose, con una cinquantina di morti nel primo caso e più di 1600 nel secondo. Nel corso di queste eruzioni si sono formate altissime colonne eruttive di cenere e in alcuni casi flussi piroclastici. Anche l’eruzione del 2021 non fa eccezione”, scrive Behncke.
Il risveglio de La Soufrière, dicembre 2020, e l’eruzione di aprile 2021
“Dopo un modesto aumento dell’attività sismica a partire da novembre 2020 e cambiamenti nell’attività fumarolica sul lato di un duomo di lava formatosi nel 1979, un nuovo duomo lavico ha cominciato a formarsi accanto a quello vecchio il 27 dicembre. Per tre mesi questo nuovo duomo ha continuato a crescere, espandendosi in forma di due lobi intorno alla base occidentale del vecchio duomo (Figura 2).
Nei primi giorni di aprile l’attività sismica monitorata dal Seismic Research Center dell’Università delle Indie Occidentali (UWI – University of West Indies) è gradualmente aumentata, e così anche l’emissione di gas dal nuovo duomo, facendo pensare alla possibilità di un’eruzione esplosiva. Un repentino aumento dell’attività sismica e dell’emissione di gas dal duomo, talvolta con piccole emissioni di cenere, nella mattinata dell’8 aprile, ha spinto le autorità ad ordinare l’evacuazione del settore settentrionale dell’isola. L’evacuazione ha coinvolto circa 20mila persone. Nella notte successiva, il duomo ha subito una rapida crescita, mostrando una forte incandescenza. Nel mattino del 9 aprile ha avuto inizio un’eruzione esplosiva, che ha generato una colonna eruttiva alta circa 8 km (Figura 3).
Da allora è in corso una sequenza di numerose esplosioni, con colonne eruttive alte fino a 20 km. Come negli eventi precedenti, il vento predominante ha spinto le nubi di cenere verso est, in direzione dell’isola di Barbados, che ha subito pesanti ricadute di cenere ed ha vissuto la giornata del 10 aprile in quasi completa oscurità.
Molto più pesanti gli effetti dell’eruzione sulla stessa isola di St. Vincent: la cenere ha ricoperto tutta l’isola, compresa la capitale Kingstown, che si trova nella sua parte meridionale. Per alcuni giorni regnava il più fitto buio sull’isola, soprattutto nella sua parte settentrionale (Figura 4)”, spiega ancora Behncke.
“L’evacuazione del settore più a rischio, ossia la parte settentrionale dell’isola, era ancora in corso l’11 aprile, quando alcuni residenti che inizialmente si erano rifiutati di abbandonare le loro case hanno chiesto di essere portati via. Mentre il vulcano non è più stato visibile dopo il mattino del 9 aprile, essendo oscurato alla vista dalle sue nubi di cenere, gli “occhi” dei satelliti stanno seguendo il corso degli eventi, documentando gli impulsi esplosivi, uno dopo l’altro. Inoltre, la tecnica radar SAR ha rivelato che già nel secondo giorno di attività esplosiva, i duomi di lava del 1979 e quello cresciuto negli ultimi mesi sono stati completamente rimossi e al loro posto si è aperto un nuovo cratere profondo (Figura 5).
Nel mattino del 12 aprile è stata per la prima volta confermato il verificarsi di flussi piroclastici, che si sono riversati sui fianchi occidentale ed orientale del vulcano e fino alla costa. Fortunatamente la conoscenza del vulcano e la sorveglianza strumentale hanno dato avviso dell’attività esplosiva imminente, permettendo di evitare la ripetizione di un disastro come quello dell’eruzione del 7 maggio 1902.
L’attività del vulcano è costantemente monitorata dal personale del UWI – Seismic Research Center presso l’Osservatorio vulcanologico di Belmont, che garantisce la sorveglianza 24 su 24. Il personale, oltre ad analizzare la sismicità e la deformazione del suolo, si occupa di campionare la cenere per le analisi geochimiche”, conclude il vulcanologo Behncke.