“Riparare la Terra” con l’aiuto di microbi ‘benefici’, in grado di migliorare resa e qualità delle colture, ma anche di contrastare l’impoverimento dei suoli, bonificare terreni contaminati e ridurre l’utilizzo di acqua, fertilizzanti e pesticidi. In occasione della Giornata Mondiale della Terra 2021, incentrata su “Restore Our Earth” (ripariamo la Terra), ENEA presenta i risultati di tre progetti che prevedono l’utilizzo di comunità di microrganismi per rigenerare i suoli in modo sostenibile. Ad oggi, infatti, circa 1/4 della superficie terrestre è già stata danneggiata e ogni anno vengono persi oltre 24 miliardi di tonnellate di terreno fertile, causando la perdita di produttività di circa il 25% della superficie globale. Un danno gravissimo tenuto conto che nel suolo è custodito oltre il 25% della diversità biologica mondiale ed è al suolo che è legato il ciclo di vita di oltre il 40% degli organismi viventi.
I ricercatori dell’ENEA hanno sviluppato comunità di microbi benefici, quasi dei ‘cocktail’ di batteri e funghi, mettendo insieme microrganismi promotori della crescita delle piante (i cosiddetti Plant Growth Promoting Microorganisms – PGPM), selezionati a seguito di una sistematica rassegna di letteratura e della loro capacità di coesistere in vitro. Queste attività, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista “Microorganisms – MDPI”, si sono svolte nell’ambito del progetto SIMBA, finanziato dal programma Horizon 2020. La combinazione di consorzi microbici con composti naturali bioattivi e l’uso di idonei ammendanti consentiranno di incrementare la fertilità del suolo e migliorare resa e qualità delle colture.
“Questi consorzi microbici multifunzionali rappresentano un’alternativa sostenibile all’uso di pesticidi e fertilizzanti convenzionali, in quanto sono in grado di svolgere diverse funzioni, tra cui la fissazione dell’azoto e la solubilizzazione del fosforo nei terreni, favorendo lo sviluppo delle piante e rafforzando la resilienza del suolo agli stress”, sottolinea Annamaria Bevivino responsabile del Laboratorio ENEA di Sostenibilità, qualità e sicurezza dei sistemi agroalimentari. “Le sperimentazioni in serra e in pieno campo effettuate anche in carenza di acqua e con diversi livelli di concimazione, hanno dato risultati promettenti sulle colture di pomodoro, mais e grano, con produzioni equiparabili a quelle ottenute con i fertilizzanti di uso comune”, aggiunge.
Ma non solo. Le comunità di microbi possono dare un aiuto concreto per le coltivazioni nelle aree semi-aride e aride del Mediterraneo (Italia, Giordania, Cipro, Grecia e Algeria) come ha dimostrato il progetto EranetMed Supreme, coordinato dall’Università di Cagliari, presso il sito di Al-Ghweir, in Giordania. In questo caso i ricercatori ENEA hanno utilizzato ceppi provenienti dalla rizosfera di piante locali spontanee e la sperimentazione – effettuata sull’orzo, principale coltura del luogo – ha dimostrato che sotto stress idrico i batteri sono in grado di sostenerne vitalità e crescita, agendo come biofertilizzanti.
“Questo approccio, che stiamo utilizzando anche nell’ambito della sperimentazione in campo aperto tuttora in corso, incentrato sulla biodiversità del suolo locale, può essere sfruttato per una duplice finalità. Da un lato, per migliorare le produzioni agricole tradizionali, danneggiate dalle scarse funzioni biogeochimiche dei suoli e dall’impiego intensivo di fertilizzanti e risorse idriche, dall’altro per promuovere colture innovative ad alta qualità nutrizionale”, afferma Chiara Alisi del Laboratorio ENEA di Osservazioni e misure per l’ambiente e il clima.
Infine, per ‘Riparare la Terra’, piante e batteri possono essere ottimi alleati per decontaminare i suoli inquinati da attività estrattive. È l’obiettivo di alcuni progetti, tra cui “Umbrella” e “SMERI”, condotti nel sito minerario di Ingurtosu (Sardegna), dove i ricercatori dell’ENEA hanno testato l’efficacia di interventi di risanamento dei suoli tramite l’associazione di piante e microrganismi, il cosiddetto fito-risanamento assistito. Per evitare la dispersione dei metalli nelle aree circostanti la miniera e ripristinare la normale funzionalità dei suoli, i ricercatori ENEA hanno trattato infatti alcuni terreni – utilizzati come depositi di scarti di miniera – associando alla pianta endemica “Euphorbia pithyusa L.”, un consorzio batterico di ceppi autoctoni, selezionati tra i più resistenti ai metalli pesanti e promotori della crescita vegetale.
“Questo tipo di sperimentazione tuttora in corso ha dimostrato la sua efficacia sia in termini di miglioramento della biodiversità microbica e delle funzioni del suolo che dell’incremento della vegetazione spontanea”, sottolinea Giada Migliore del Laboratorio ENEA di Osservazioni e misure per l’ambiente e il clima. “Per questo auspichiamo un sempre maggiore ricorso allo sfruttamento dei processi indotti o prodotti dalle associazioni tra piante e microrganismi per la bonifica di terreni contaminati dalle attività industriali, che provocano drastici cambiamenti nel suolo, alterandone la composizione e la capacità di autoregolazione ed influendo negativamente sulla funzionalità dell’ecosistema e nei territori circostanti”. Le attività condotte dall’ENEA nei siti di Al-Ghweir e di Ingurtosu sono state presentate nell’ambito del Global Symposium on Soil Biodiversity della FAO che si conclude oggi a Roma.
ENEA con laboratori, infrastrutture, competenze e professionalità pluriennali, partecipa inoltre al centro di ricerca nazionale sul suolo (Soil-HUB dell’Italian Soil Partnership) e supporta la partecipazione del nostro Paese alla Global Soil Partnership ed alla rete di eccellenza europea sulla ricerca sul suolo (European Joint Programme, EJP-SOIL), con l’obiettivo di preservare le funzioni ecosistemiche del suolo e mitigare l’impatto dei cambiamenti climatici sui sistemi agricoli.