Leucemia mieloide acuta: duemila nuovi casi ogni anno in Italia, manca il sostegno contro ansia e depressione

Va migliorato il percorso di cura: dal potenziamento del modello basato su Hub&Spoke, all’esecuzione dei test genetici nelle varie fasi della malattia fino al sostegno contro ansia e depressione
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In Italia vivono quasi 19.400 persone dopo la diagnosi di leucemia mieloide acuta. E, ogni anno, si stimano poco più di 2.000 nuovi casi di questo tumore del sangue, che ha origine nel midollo osseo e che progredisce velocemente. Vanno risolte quanto prima le criticità nel percorso di cura: è cruciale il nodo dei test genetici da effettuare non solo al momento della diagnosi ma in tutto il percorso di malattia, va potenziato il modello di gestione basato su centri di riferimento (Hub) intorno a cui “ruotano” i centri periferici (Spoke) superando le attuali difformità territoriali e deve essere implementato il sostegno psicologico, visto che ben il 64% dei pazienti non ha mai ricevuto assistenza di questo tipo, anche se può dare importanti benefici. La presa in carico del paziente, la diagnosi molecolare, il percorso di cure integrate e l’assistenza psicologica sono i temi su cui vuole indagare il progetto HemaNet, promosso ed organizzato da ISHEO con la partecipazione di F.A.V.O. Gruppo Neoplasie Ematologiche, e con il contributo incondizionato di Astellas Pharma. Il primo Expert Meeting del progetto si è svolto recentemente, con l’obiettivo di diffondere un questionario presso tutti i Centri di ematologia in Italia, i cui risultati consentiranno di scattare una fotografia dell’attuale gestione dei pazienti oncoematologici e di individuare i principali ostacoli per definire un percorso di miglioramento.

I progressi della ricerca hanno reso disponibili nuovi approcci terapeutici mirati che rappresentano opportunità di cura preziose per i pazienti colpiti forme neoplastiche particolarmente aggressive come la leucemia mieloide acuta. Le mutazioni a carico del gene FLT3 sono tra le più comuni alla base della leucemia mieloide acuta, perché sono riscontrate in circa il 30% dei casi. “Il test per individuarle – spiega il Prof. Luca Arcaini, Professore Ordinario di Ematologia, Direttore Universitario della Unità Operativa Complessa di Ematologia della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia – ha un importante significato clinico perché questi pazienti presentano una prognosi peggiore, con un aumento dell’incidenza di recidiva. FLT3 rappresenta un bersaglio molecolare per il quale sono già presenti, ed in via di sviluppo, farmaci mirati che consentono di ottenere migliori risultati in termini di efficacia. Il test per FLT3 dovrebbe essere eseguito non solo all’esordio della malattia, ma anche alla recidiva.”

Per garantire la migliore presa in carico del paziente, inoltre, è importante che i Centri siano adeguatamente attrezzati e dotati delle tecnologie necessarie. Vi è però una grande difformità tra le Regioni e a livello territoriale, perché non tutti i Centri hanno la possibilità di effettuare gli esami diagnostici e molecolari richiesti. “È il motivo per cui – afferma la senatrice Maria Domenica Castellone, Membro della 12ª Commissione permanente (Igiene e sanità) del Senato – il Decreto Ristori del 24 Dicembre 2020 ha istituito un fondo di 5 milioni di euro per il potenziamento dei test di Next Generation Sequencing per consentire il miglioramento dell’efficacia degli interventi di cura e delle relative procedure, anche alla luce degli sviluppi e dei progressi della ricerca scientifica applicata con specifico riguardo alla prevenzione e alla terapia delle alterazioni molecolari che originano i tumori”. L’istituzione di questo fondo, anche se rappresenta un segnale importante da parte delle Istituzioni, non risulta sufficiente ed è evidente la necessità di centralizzare la gestione della malattia. “È importante affidare la gestione dei pazienti con leucemia mieloide acuta ai centri Hub – spiega il Prof. Gianluca Gaidano, Professore Ordinario di Ematologia, Direttore Divisione di Ematologia, Dipartimento di Medicina Traslazionale Università degli Studi del Piemonte Orientale, Novara –, definendo un modello di stretta collaborazione e co-gestione con i centri Spoke presenti sul territorio per garantire continuità assistenziale al paziente”. È necessario inoltre potenziare il modello Hub&Spoke per consentire ai centri Hub di accogliere tutti pazienti che ne hanno bisogno ed “educare” allo stesso tempo i centri Spoke alla gestione di alcuni aspetti della terapia da espletare localmente.

Altro aspetto fondamentale riguarda la cura della sfera psicologica del paziente, sempre più parte integrante e indispensabile del percorso terapeutico. Ad oggi, però, il sostegno psicologico ai pazienti oncoematologici rappresenta una realtà frammentata in Italia. In alcuni Centri è presente un servizio strutturato di psicologia clinica ed uno psiconcologo dedicato, mentre in altre strutture questo aspetto è demandato alle Associazioni di pazienti che non riescono a soddisfare la richiesta, data la sua entità. “Da indagini condotte da FAVO circa il percorso di cura dei pazienti è emerso fortemente il fattore dell’ansia, mentre in un’altra indagine relativa al benessere – afferma Davide Petruzzelli, Coordinatore F.A.V.O. Neoplasie Ematologiche e Presidente di ‘La Lampada di Aladino’ Onlus – il 64% degli intervistati ha dichiarato di non aver ricevuto alcuna proposta di assistenza psicologica, e coloro che ne avevano usufruito hanno dichiarato di averne tratto grandi benefici”. La diagnosi oncoematologica rappresenta un evento estremamente stressante per paziente e caregiver ed è spesso seguita da un periodo di instabilità emotiva, caratterizzato da un aumento dello stato ansioso, depressivo e da una diminuzione delle attività quotidiane.

La presenza dello psicologo nel team di cura al fianco del paziente e dei familiari è quindi indispensabile, come affermano gli stessi clinici che durante la pandemia si sono dovuti confrontare ancor più con l’aspetto comunicativo verso i pazienti che, mai come in questo periodo storico, hanno dovuto affrontare la malattia in completa solitudine. È auspicabile a tal proposito stabilire un dialogo con le Istituzioni che, come spiega la senatrice Paola Boldrini, Vicepresidente della 12ª Commissione permanente (Igiene e sanità) del Senato, “stanno lavorando per valorizzare la figura dello psicologo, tenendo anche in considerazione le sensibilità dei professionisti e dei caregivers”. È fondamentale, infatti, che nei tavoli istituzionali si inizi a parlare concretamente del ruolo dei caregivers, figure indispensabili nella vita dei pazienti che possono rappresentare punti di contatto preziosi con cui collaborare per aumentare l’efficienza dei percorsi di cura e di presa in carico dei pazienti oncoematologici.

Nell’ottica di un potenziamento dell’assistenza a 360 gradi, va posto l’accento anche sull’assistenza domiciliare, ancora insufficiente nel nostro Paese. Gli stessi clinici lamentano l’assenza di un servizio strutturato che possa giungere al domicilio del paziente e che è indispensabile per snellire le procedure e diminuire il sovraccarico delle strutture. Questa grave mancanza determina un carico immenso nella gestione dei bisogni del paziente che ricade, oltre che sulla struttura ospedaliera che non può sopperire ad aspetti che non dovrebbero essere di sua competenza, anche sulla famiglia e sui caregiver.

Il 31 marzo 2021, i promotori di Hema Net, ISHEO e FAVO, hanno lanciato un questionario che sarà inviato ai responsabili dei centri di ematologia italiani, per analizzare il percorso diagnostico e terapeutico dei pazienti con leucemia mieloide acuta e mutazione FLT3, nonché la presenza di servizi di supporto psicologico e la propensione ai percorsi integrati di cura.

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