Grazie al sogno del barone francese Pierre de Coubertin che voleva sostituire il confronto sportivo a quello bellico, il 6 aprile del 1896 ad Atene si svolsero le prime Olimpiadi Moderne.
La frase simbolo di De Coubertin è ancora oggi simbolo dello spirito sportivo: “La cosa importante nei Giochi Olimpici non è vincere ma partecipare. La cosa essenziale nella vita non è conquistare ma combattere bene”.
L’Italia, tuttavia, è in una storia poco conosciuta, che si svolse nell’ambito dei primi Giochi Olimpici moderni, che riconosce la più pura delle passioni sportive: la leggendaria impresa del maratoneta Carlo Airoldi, a cui fu proibito di partecipare alle gare e decise di recarsi ad Atene a piedi per perorare la sua causa.
I moderni Giochi Olimpici
I Giochi Olimpici moderni nacquero alla fine dell’Ottocento, grazie alla lungimirante iniziativa del barone francese Pierre de Coubertin, pedagogista e storico, che cavalcò la scia di interesse nei confronti dell’età classica generato dalle straordinarie scoperte archeologiche dell’epoca.
Alcuni archeologi tedeschi scoprirono in quegli anni le rovine dell’antica Olimpia, facendo riemergere le gesta di antiche leggende oramai dimenticate. La prima edizione dei Giochi Olimpici antichi risaliva secondo le fonti documentarie al 776 a.C. e da allora proseguirono per oltre un millennio sino a quando l’imperatore Teodosio ne vietò l’organizzazione nel 393 d.C..
L’idea di fondo del nuovo progetto, era quella di sostituire il confronto bellico con quello sportivo. Il fascino delle Olimpiadi era quindi anche simbolico perché simboleggiava l’unione dei popoli in tempi difficili e rappresentavano la continuità con le nostre origini storiche.
Gli stessi cinque cerchi, ancora oggi, rappresentano un filo conduttore che parte dall’antica Grecia a giunge fino ai nostri tempi.
L’aristocratico francese presentò il progetto a un congresso che si tenne alla Sorbona nel giugno del 1894 e che portò alla fondazione del CIO (Comitato Olimpico Internazionale) e alla scelta come sede della prime Olimpiadi moderne della città di Atene, proprio in continuità con la tradizione classica.
Il barone volle fermamente attribuire allo sport significati più profondi a quello che a quel tempo veniva considerato un semplice passatempo. De Coubertin rivoluzionò il concetto di sport intendendolo come uno strumento per condurre una vita più sana e anche come mezzo per mettere a confronto giovani provenienti da nazionalità differenti.
Nel 1963 il CIO decise di celebrare la memoria di De Coubertin istituendo la “Medaglia Pierre de Coubertin”, anche conosciuta come “Medaglia del Vero Spirito Sportivo”. Un riconoscimento che viene assegnato a quegli atleti che dimostrano una lealtà sportiva fuori dal comune durante i Giochi Olimpici.
Le prime Olimpiadi moderne
Nonostante le grandi difficoltà per l’organizzazione, che includevano anche la crisi economica che stava imperversando in Grecia all’epoca, alle 15:30 del 6 aprile del 1896 allo stadio Panathinaiko di Atene, Giorgio I dichiarò aperte le prime Olimpiadi moderne, a cui presero parte quattordici nazioni: Australia, Austria, Bulgaria, Cile, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Italia, Stati Uniti, Svezia, Svizzera e Ungheria.
Le differenze tra le delegazioni erano notevoli: si passava dai 169 atleti greci fino all’unico atleta australiano o cileno.
Per quanto riguarda gli sport, il comitato ne scelse nove: atletica, ciclismo, ginnastica, lotta, nuoto, tennis, tiro, scherma e sollevamento pesi. In realtà De Coubertin avrebbe voluto organizzare anche gare di vela, cricket e polo ma a causa di una serie di motivi logistici non fu possibile.
Gli atleti che vi parteciparono erano afferenti all’ideale dilettantistico di De Coubertin, il quale desiderava che alle Olimpiadi si praticasse solo lo sport a cui si avvicinavano i giovani appassionati e che fosse lontano dai moderni canoni legati alla speculazione economica.
Ad Atene furono quindi ammessi solo atleti dilettanti in gran parte composti da studenti, marinai e impiegati.
Le grandi escluse dalle competizioni sportive furono le donne, in una sorta di linea di continuità con la tradizione delle antiche Olimpiadi che ammettevano solamente uomini alle gare, ma in realtà anche per ottemperare alla visione vittoriana del ruolo della donna, spettatrice e mai protagonista.
A differenza di quanto accade oggi, per gli atleti non erano previsti premi e solo i primi due classificati ottenevano un riconoscimento: al primo veniva data una corona d’ulivo e una medaglia d’argento, mentre al secondo classificato veniva offerta una medaglia di rame e un ramo d’alloro.
Il primo campione olimpico fu James Connolly, che vinse nella gara di apertura dei Giochi, ossia il salto triplo. Gli americani collezionarono altre 11 medaglie contro le 10 della Grecia; tuttavia, l’atleta più premiato fu il tedesco Carl Schuhmann che vinse tre medaglie nella ginnastica e una nella lotta.
La gara più memorabile però fu quella vinta dal greco Spiridon Louis, un semplice pastore e portatore d’acqua, che trionfò nella gara più iconica delle Olimpiadi, cioè la maratona; la gara che prendeva il nome dalla leggendaria impresa di Filippide, il messaggero che corse da Maratona ad Atene per annunciare alla popolazione la vittoria e morendo subito dopo per il grande sforzo.
L’Italia alle prime Olimpiadi Moderne
Sebbene l’Italia fosse una delle nazioni partecipanti alla prima edizione delle Olimpiadi Moderne, fu un solo atleta ad iscriversi come partecipante: Giuseppe Rivabella, che partecipò alla gara di tiro a segno con carabina militare. Fu però la storia di un altro atleta ad entrare nella leggenda.
Si chiamava Carlo Airoldi ed era un maratoneta lombardo. La sua partecipazione fu osteggiata e infine proibita dal CIO. Secondo gli organizzatori della competizione, infatti, Airoldi era un professionista e per questo non poteva essere ammesso alle competizioni delle Olimpiadi che si svolgevano tutte tra dilettanti.
L’apertura al professionismo, giunse solo a tappe, disciplina dopo disciplina: quella del basket, ad esempio, avvenne solo nel 1992, mentre per la boxe si dovette attendere fino alle Olimpiadi di Rio del 2016.
Carlo Airoldi, tuttavia, era semplicemente uno sportivo appassionato, maratoneta e podista che aveva vinto solo qualche gara di paese, ma con grande passione. Figlio di contadini, lavorava in una fabbrica di cioccolato.
Quando mancava oramai solo un mese all’inizio delle Olimpiadi, Airoldi non potendosi permettere economicamente le spese del viaggio, decise di partire per la Grecia a piedi, sfidando qualsiasi corridore a cavallo e spinto dalla certezza di essere il migliore e non avere rivali.
Nell’impresa venne sostenuto da un giornale sportivo: “La bicicletta” alla quale Carlo promise la corrispondenza e l’aggiornamento riguardo la propria avventura. Il cammino da Milano ad Atene fu irto di ostacoli e il corridore rischiò persino la vita imbattendosi in un gruppo di briganti.
Un piroscafo, infine, lo condusse a Patrasso e da lì terminò ancora a piedi l’ultimo tratto fino ad Atene.
Giunse i primi giorni di aprile ad Atene a pochi giorni dall’inizio delle gare. La macchina diplomatica si mise allora in moto con tutte le sue forze e furono insistenti le richieste del consolato italiano, che terminarono comunque nella disfatta.
La maratona venne vinta dal greco Spiridos Louis e Carlo non poté fare altro che assistere alla corsa affermando a “La bicicletta”: “E’ necessario che io parta al più presto, giacché ieri ed oggi dura fatica feci a reprimermi. Mi sentivo il prurito nelle mani e non posso tollerare più a lungo i sorrisi ironici di certi villani, ai quali avrei voluto far vedere, se non mi avesse trattenuto il timore di passare per un farabutto, che oltre alle gambe possiedo anche delle buone braccia. Dopo tutto mi consolo perché a piedi vidi l’Austria, l’Ungheria, la Croazia, l’Erzegovina, la Dalmazia e la Grecia, la bella Grecia che lasciò in me un ricordo indelebile.”