Studio mesoclimatico delle doline carsiche

Dal progetto di MeteoWeb sul Pollino a Piano Ruggio alla Meteo-Didattica: un'approfondita analisi del clima delle doline carsiche
MeteoWeb

A partire dall’estate del 2007 MeteoWeb ha portato avanti un progetto di monitoraggio sperimentale nel cuore del parco del Pollino, con stazioni ubicate a Piano Ruggio (1510 m s.l.m.), al Piano Grande di Masistro (1200 m s.l.m.), e ai Piani del Pollino (1777 m s.l.m.). Attraverso questo monitoraggio si studiano i meccanismi che portano ai fortissimi raffreddamenti radiativi che si verificano nelle doline di origine carsica e che risultano ancora oggi poco conosciuti dalla scienza. Dopo aver inizialmente analizzato le aree attraverso dei rilievi orografici e meteorologici, si è deciso di installare 3 datalogger Hobo-Onset PRO V2 (già utilizzati nel programma nazionale ricerche in Antartide), che consentono di acquisire dati di temperatura, umidità relativa e temperatura di rugiada dell’area con campionamento pari a 10 minuti. I dati vengono scaricati su notebook. Gli studi sono catalogati come microclimatici e non sinottici e seguono la scia delle numerose e analoghe rilevazioni in Europa e nel mondo. Di seguito riportiamo i dati sin qui acquisiti e le eventuali rilevanze scientifiche emerse.

Didattica del progetto

Al tramonto, in presenza di cielo sereno e calma di vento, le doline di origine carsica con determinate caratteristiche (che vedremo più avanti) cominciano a “fabbricare” inversioni termiche poderose. Il terreno comincia a perdere calore, così come tutte le pareti circostanti. L’aria in queste condizioni diviene sempre più fredda ed aumenta rapidamente di spessore, accumulandosi sul fondo. L’aria fredda infatti è un fluido che si comporta in maniera molto simile all’acqua, i cui movimenti in assenza di altri fattori sono determinati dalla forza di gravità. Su un terreno pianeggiante l’area fredda stazionerà su di esso, mentre, proprio per gravità, l’aria fredda che scende attraverso i versanti tenderà a raggiungere il fondo della conca. La conseguenza di ciò è il riempimento della dolina di questo lago di aria gelida, che chiameremo da ora in poi “cold air pool”. Si andrà a creare così una fortissima inversione termica, ben differente però da quelle che comunemente conosciamo (stile Pianura Padana), dove lo strato soprastante interessato è nell’ordine di centinaia di metri con un gradiente meno accentuato. In caso di invariate condizioni meteorologiche locali, la conca verrà “riempita” sino al punto più basso delle pareti circostanti, oltre il quale tracimerà. Questo punto è chiamato sella di esondazione o outflow depth. La sella di esondazione non dovrebbe mai essere inferiore ai 10-15 metri circa, limite oltre il quale non riuscirebbe a formarsi il cold air pool. In altri termini, la dolina deve avere almeno una profondità di 10-15 metri, misurato dal punto più basso al suolo, sino alla sella di esondazione. Affinchè l’aria che scende dai versanti non sia troppo veloce, tale da rimescolare i bassi strati e creare brezze di monte troppo violente, è necessario che le pareti della conca non siano troppo ripide e siano prive o quasi di vegetazione. Questo perchè oltre a permettere un maggior raffreddamento e quindi assenza di traspirazione delle piante, l’assenza di formazioni vegetali consente una discesa omogenea, senza ostacoli, dell’aria fredda.
Uno dei fattori determinanti è quello che viene denominato sky-view factor, traducibile in “porzione di cielo visibile. Indica qual è la porzione di cielo che si vede dal fondo della dolina. Il raffreddamento del suolo tramite l’irraggiamento, avviene perdendo calore in tutte le direzioni dello spazio. In caso di porzione di cielo troppo piccola il raffreddamento sarà quindi notevolmente ostacolato. Qualsiasi ostacolo, infatti (pendii interni della depressione, versanti montuosi esterni, alberi, grandi massi), limiterà questa perdita di calore ed essi stessi saranno fonte di calore, perchè ogni oggetto emana delle radiazioni che contrasterebbero il raffreddamento. Lo sky-view factor si misura seguendo una scala da 0 a 1, dove zero è un’orizzonte libero a 360° (mare aperto), e 1 è una situazione dove il cielo a causa di pareti, alberi, costruzioni, è invisibile (situazione praticamente impossibile o quasi in area aperta). Altri fattori fondamentali sono: la presenza di un torrente, la quota della dolina, il volume e l’area del lago di aria gelida, la presenza di neve (meglio se fresca e farinosa), e la presenza naturalmente di suolo carsico. Analizziamoli:

– La presenza di un torrente deve comportare la presenza di un inghiottitoio. La presenza di uno o più inghiottitoi carsici nel piano induce la formazione di un reticolo di drenaggio scavato nei sedimenti di fondo del piano. Se così non fosse possiamo da subito catalogare il luogo come inadeguato a queste performance. Vorrebbe dire infatti che l’aria fredda tracimerebbe verso valle dal punto in cui il ruscello si è aperto la strada per scivolare in basso.

– La quota della dolina è importante, soprattutto in vista del raggiungimento di valori molto bassi. Una dolina è capace di raffreddare l’aria nel suo interno anche di 35°C rispetto alle isoterme presenti alla stessa quota in libera atmosfera. Di conseguenza è fondamentale per la temperatura massima da cui si parte prima del crollo e dalla rarefazione dell’aria che permette un maggior irraggiamento (quindi minore umidità relativa). In particolare è la minor quantità (pressione) di vapore acqueo presente mediamente in alta montagna nel periodo invernale a giocare un ruolo importante nel raffreddamento. Questo però non vuol dire che una dolina perfetta non possa fare meglio di una posta a maggior quota con caratteristiche orografiche meno adeguate.

– la presenza di neve esalta tramite l’albedo, l’emissività e scarsa conducibilità l’abbassamento termico. In questo caso le caratteristiche del suolo e della sua superficie perdono importanza e gran parte dei processi di scambio radiativo e di trasmissione del calore avvengono sullo strato pellicolare esterno della neve, che diventa la superficie radiante, e all’interno del manto nevoso.

Abbiamo appreso quindi sino ad ora che la conca perfetta dovrebbe avere:

  • una profondità di almeno 10 metri per permettere la formazione del cold air pool
  • pareti dalla pendenza dolce per non generare forti venti di caduta notturni
  • pareti prive o quasi di vegetazione
  • elevata porzione di cielo visibile per permettere un buon irraggiamento
  • presenza di un inghiottitoio in presenza di un torrente
  • suolo di natura carsica

Prima di terminare il discorso inerente l’importanza del suolo innevato, facciamo un passo indietro e vediamo come funziona il comportamento termico dell’aria e del terreno, al fine di porre delle basi che ci potranno rendere più semplice il discorso successivo.
Durante il giorno le radiazioni in arrivo dal Sole, dalle nubi e dai gas serra sono maggiori della radiazione emessa dal suolo, per cui questo si riscalderà soprattutto nei primi metri sopra di esso. Di quanto si riscalderà dipende dalla durata del soleggiamento, da eventuali ostacoli orografici che possono surriscaldare l’aria o porre in ombra quella porzione di suolo, dalla presenza di neve, dal tipo di suolo, ecc. Nella notte, mancando l’insolazione, la radiazione emessa dal suolo invece è maggiore di quella emessa da nubi o gas serra, per cui il terreno tenderà a raffreddarsi. Nel caso di cielo coperto però il raffreddamento è molto limitato perchè le nubi riescono a riflettere gran parte delle radiazioni emesse dal suolo e re-irradiarle verso il basso. Più basse e più dense sono le nubi, maggiore sarà questa capacità di riflettere le radiazioni del suolo. In pochi però sono a conoscenza del fatto che il substrato ha un ruolo fondamentale nel raffreddamento notturno, perchè entrano in gioco i flussi geotermici.

Il raffreddamento per irraggiamento che avviene sul suolo, viene compensato da un flusso di calore che arriva dal sottosuolo, diciamo nei primi strati di terreno. Da cosa dipende questo calore? Il riscaldamento giornaliero propagandosi nel terreno, si ammortizza e subisce uno sfasamento temporale, tanto che a 20-30 cm di profondità la massima giornaliera viene raggiunta con un ritardo di 6-12 ore, in relazione ai materiali che costituiscono il substrato. Questo calore si sprigiona nelle ore notturne e non permette un raffreddamento eccessivo che porterebbe altrimenti a escursioni termiche notturne elevatissime. E qui entra in gioco il suolo carsico, che presenta una bassissima conducibiltà termica, e di conseguenza limita questi flussi geotermici che contrastano il raffreddamento (e quindi si raffredda terribilmente di più rispetto ad altri tipi di suoli). Nei pressi di un’inghiottitoio sembra che questi flussi notturni siano molto elevati, tanto da rendere la temperatura più mite nelle sue vicinanze. Di questo però non ci sono certezze in letteratura scientifica. Premesso tutto questo, arriviamo all’importanza del suolo innevato. Quando vi è neve, le caratteristiche del suolo perdono importanza e gran parte dei processi di scambio radiativo e di trasmissione del calore avvengono sullo strato pellicolare esterno della neve e all’interno del manto nevoso. La neve ha un albedo elevatissimo, una buona emissività e una scarsa conducibilità; queste caratteristiche le troviamo ai massimi livelli nella neve fresca farinosa, mentre in caso di neve vecchia tali prerogative sono più attenuate.
L’albedo (che sappiamo bene cosa sia e che alle volte non citiamo perchè sappiamo che esiste) della neve fresca farinosa è di gran lunga il più elevato (0.90-0.95) fra tutte le superfici naturali, con valori massimi nella lunghezza d’onda del visibile. La neve molto farinosa presenta, inoltre, una bassissima conducibilità termica e questo per la molta aria contenuta nel suo interno.
La presenza di suolo carsico quindi, oltre a favorire la conformazione orografica delle doline, permette al raffreddamento radiativo di andare oltre altri tipi di suolo, perchè avendo bassa conducibilità permette in modo minore il propagarsi di quei flussi caldi provenineti dal sottosuolo. Aggiungiamo che probabilmente la dinamicità dei corsi d’acqua sotterranei aumentano la possibilità di valori freddi per scarsa capacità termica, favorendo estremi termici più elevati. Ed infine la mancanza di acqua stagnante nel sottosuolo potrebbe permettere umidità relativa iniziale più bassa rispetto ad altri luoghi (fattore cmq secondario a quelli orografici di superficie).
Inoltre che quando vi è neve, il suolo perde tutte queste caratteristiche e ne fa le veci la neve stessa, che diventa il “suolo” della dolina. Per valori più freddi serve neve fresca e farinosa, colma di aria e quindi di bassa conducibilità (che permette scarsa fuoriuscita dei flussi di calore di cui ormai abbiamo capito la presenza). La scienza sta attualmente studiando tutte queste caratteristiche degli scambi termici tra il suolo ed il substrato, e ancor più nelle doline questi fattori sono ancora poco compresi.
Abbiamo già detto che in caso di pendenze troppo elevate dei pendii della dolina, la massa d’aria fredda che per gravità scende lungo il versante, diventa troppo veloce e tende a rimescolare i bassi strati, erodendo il lago di aria fredda. Sembra che il pendio quindi non debba essere inclinato oltre i 20-25°, proprio per evitare questo fenomeno. In caso di pendio maggiore di 20-25° e lunghezza di circa 100-150 metri poi, si vengono a verificare delle vere e proprie valanghe di aria fredda che si manifestano con un rinforzo improvviso del vento, procurando un aumento termico improvviso, che può arrivare ad essere anche di 30°C in 30 minuti (ma generalmente sino a 30°C in 1 ora nelle doline più grandi). L’aumento della densità e del peso dell’aria, con la progressiva diminuzione della sua temperatura, causa la formazione di uno strato d’aria, o volendo continuare la similitudine con la neve, di un “lastrone”, che ad un certo punto, raggiunta una massa critica, precipita improvvisamente lungo il ripido pendio, grazie anche allo scarso attrito con la superficie innevata. Ecco ciò che verrebbe rilevato da un grafico termico se dovessero sussistere le condizioni per creare valanghe di aria fredda. La temperatura periodicamente tende a mostrare dei picchi verso l’alto per poi subire una nuova discesa una volta che il vento si attenua. Come si può notare il tempo che intercorre affinchè si formi il “lastrone” di aria fredda prima che precipiti a valle e di circa 1-2 ore.

Nel caso di pendenze maggiori, diciamo nell’ordine dei 50°, non si verifica alcuna valanga di aria fredda, ma una brezza di monte costante che tende a rimescolare continuamente i bassi strati (quante volte abbiamo notato a valle una brezza di monte puntuale dopo il tramonto). Il gradiente termico che si viene a formare nelle doline è di tutto rispetto: noi sappiamo che in libera atmosfera il gradiente tende ad essere di circa 0.65°C ogni 100 metri di dislivello, con punte di 0.98°C/100 m in caso di aria fredda e secca. Nelle doline più piccole questo valore può raggiungere 1°C ogni metro, con differenza notevolissima tra il fondo della dolina e la parte superiore, mentre nelle doline medio-grandi, il gradiente termico verticale si attesta mediamente fra 0.3°C/m e 0.7°C/m. Ciò significa che sul fondo di una piccola dolina profonda, ad esempio, 15 m, la temperatura dell’aria può essere 15-20°C più bassa di quella misurata sul ciglio della depressione, mentre tali differenze possono essere anche maggiori (es.30°C) in doline più grandi e profonde.

Cosa cambia tra una dolina molto piccola ed una medio-grande? Innanzitutto nella prima si assisterà ad un crollo termico vertiginoso subito dopo il tramonto, in quanto tenderà a riempirsi più rapidamente del lago di aria fredda. Sino al mattino successivo però una dolina di maggiori dimensioni indicherà un valore più basso, in quanto le proporzioni del lago saranno molto maggiori. Nel caso di vento, una dolina medio-grande riuscirà a trattenere meglio o per più tempo valori bassissimi, in quanto il cold air pool sarà più difficile da erodere (un conto è prosciugare un laghetto ed un altro è prosciugare una massa d’acqua molto grande). In caso di vento forte però non c’è alcun lago di aria gelida capace di resistere. La dolina più profonda potrebbe essere più fredda nelle ore diurne, ma tutto potrebbe dipendere dal tipo di insolazione che riesce a ricevere in base al suo Sky-view factor.

Nella descrizione della formazione del lago di aria fredda, si è accennato alla tracimazione del fluido aeriforme che riempie la dolina, attraverso la sella più bassa presente lungo il suo ciglio. La fuoriuscita dell’aria determina un vero e proprio flusso discendente che si origina appena sotto la sella e prosegue verso il basso, intensificandosi qualora il pendio fosse molto inclinato e se potesse in qualche modo incanalare. Questo flusso, simile ad un “torrente d’aria”, risulta talvolta relativamente forte nelle ore notturne e del primo mattino, con velocità stimate superiori o uguali a 5 m/s. Ci sono situazioni dove una dolina sovrastante un’altra, impedisce a quella posta più in basso di raffreddarsi, proprio per questo vento di versante che scivola sulla parete esterna (interna all’altra dolina posta più in basso.)

Dati: dispersione di calore diurna rilevata a Piano Ruggio e sbalzi termici considerevoli in entrambe le doline

Mattina del 15 Dicembre 2007: è in corso un’irruzione di aria continentale sull’Italia meridionale, con isoterme vicine ai -9°C ad 850 hPa (circa 1500 m s.l.m.). Piano Ruggio, ubicato alla quota di 1510 m s.l.m. indica -9.1°C. Improvvisamente però il vento si attenua, il cielo si rasserena e Piano Ruggio alle 12:25 subisce un crollo termico: -19.1°C!!!! Queste dispersioni di calore avvengono generalmente nel momento in cui i venti si attenuano in mattinata dopo aver soffiato per tutta la notte con massa d’aria fredda e secca. Il raffreddamento radiativo che si sarebbe dovuto verificare nella notte si verifica invece nelle ore diurne, rendendo il valore assolutamente differente dalle isoterme presenti in libera atmosfera. In caso di giornate di alta pressione nella stagione invernale, dove l’insolazione risulta scarsa per via della bassa elevazione del Sole, le massime giornaliere tendono a “faticare” nella loro risalita dopo la notte gelida, e non sempre si riallineano con altri luoghi limitrofi. Spesso a Piano Ruggio si è verificato questo fenomeno, durante le ore più calde della giornata, il sensore termometrico non ha superato i -2°C contro i +3°C di cime molto più elevate poste nei paraggi. Al sorgere del Sole, dopo una notte gelida, la temperatura può subire incrementi di decine di °C in pochi minuti. La risalita termica più veloce appartiene al 19 Dicembre 2007, quando la temperatura ha subìto un incremento di 22,5°C in 1 ora e di 23,9°C in 70 minuti (da -25,5°C a -1,6°C). L’escursione termica giornaliera più elevata è stata invece registrata il 14 Febbraio 2008, quando da un valore di -26,0°C rilevato alle 7:50, si è passati ad una temperatura massima di 3,5°C alle 13:40. Il record assoluto negativo di Piano Ruggio, registrato alle 08:10 del 24 Gennaio 2010, rappresenta un dato eccezionale in relazione alla latitudine. Il valore più basso registrato nel Piano Grande di Masistro si è verificato alle ore 19:10 del 25 Gennaio 2011 con un valore pari a -19.1°C, per poi risalire vertiginosamente causa vento sinottico. Entrambe le doline mostrano sbalzi termici considerevoli in piena notte, con incrementi anche superiori ai 10°C in pochi minuti, e raffreddamenti pari anche a 6°C/h. Nella prossima tabella vengono riepilogati i dati principali sin qui acquisiti dai datalogger di Piano Ruggio e di Piano Grande di Masistro. Naturalmente la seconda rilevazione, a differenza della prima, non tiene conto di alcun mese estivo in quanto le rilevazioni si riferiscono al semestre Ottobre-Marzo 2010/2011. Come qualsiasi altro luogo posto nell’emisfero boreale, i mesi di Gennaio e Febbraio risultano essere i più freddi, mentre Luglio e Agosto i più caldi. Per ulteriori approfondimenti sul fenomeno della tracimazione del lago di aria gelida dal Piano di Mezzo al Piano Grande di Masistro, scoperto dalle nostre strumentazioni, vi mandiamo a quest’analisi approfondita. I dati saranno costantemente aggiornati.

– Bibliografìa: Bruno Renon (2011), Le fabbriche naturali del freddo, Arpav (Agenzia Regionale per la Prevenzione e la
Protezione Ambientale del Veneto).
– Immagini esemplificative su gentile concessione del dott. Bruno Renon, e di Renato Sansone.

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