The Impossible: il film che racconta il terrore degli tsunami

Il film The Impossible narra del terribile tsunami che colpì le coste dell'Indonesia il 26 dicembre del 2004 e portò alla perdita di 300mila vite umane. Ma cosa sono questi catastrofici eventi naturali? E l'italia è a rischio maremoto?
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Nel 2012 usciva nelle sale cinematografiche il film “The Impossible” diretto da Juan Antonio Bayona e interpretato da Ewan McGregor e Naomi Watts, raccontando al mondo il terrificante tsunami che si abbatté sulle coste della Thailandia il 26 dicembre del 2004.

Si può affermare che quella fu una delle maggiori catastrofi naturali che l’umanità abbia mai sperimentato con il più costoso maremoto in termini di vite umane a memoria d’uomo con le sue 300.000 vittime. Ma cos’è uno tsunami? Come si genera e come si misura la sua intensità? Le coste della nostra penisola sono a rischio maremoto?

La trama di The Impossible

the impossibleIl film è ispirato alla storia vera di una famiglia colpita dallo tsunami del 2004 che si verificò il 26 dicembre nell’Oceano Indiano a seguito di un terremoto dalla spaventosa magnitudo di 9,1 della scala Richter e che si abbatté sulle spiagge della Thailandia.

I due protagonisti della storia sono Henry e Maria, una coppia residente in Giappone che si reca a trascorrere le vacanze natalizie in un resort thailandese insieme ai loro tre figli: Luca, il maggiore, Thomas il secondogenito e il più piccolo Simon.

Il 26 dicembre la vacanza si trasforma in tragedia quando lo tsunami travolge l’intero villaggio. In quel momento Henry si trova con i due figli più piccoli all’interno dell’hotel nel quale riesce a mettere al sicuro i suoi figli; mentre in una sequenza iperrealistica lo spettatore assiste al destino di Maria e Lucas che vengono travolti dall’onda e dalla furia distruttiva delle acque che inghiottono qualunque cosa costruita dall’uomo, riescono tuttavia a mettersi in salvo su un albero insieme a un altro bambino di nome Daniel.

Maria ha riportato ferite gravi al torace e a una gamba e viene soccorsa da alcuni abitanti del luogo che portano i tre nell’ospedale più vicino. Qui, mentre Maria viene curata si perde il piccolo Daniel. Con grande forza d’animo, Maria sentendo prossima la propria fine incoraggia il figlio a fare il possibile per rendersi utile con coloro che ne hanno necessità.

Henry, nel frattempo, dopo aver protetto i figli, li manda sulle montagne insieme a un gruppo di sopravvissuti e si mette alla ricerca della moglie e del figlio dispersi. Riesce a mettersi in contatto con il suocero e a renderlo partecipe della situazione, da quel momento inizia a peregrinare tra ospedali e punti di soccorso per trovare Maria e Lucas.

La vita di Maria è in grave pericolo e viene sottoposta a due interventi, uno al torace e uno alla gamba che hanno fortunatamente entrambi successo.
La famiglia, nonostante fosse praticamente impossibile, riesce a riunirsi in un doloroso lieto fine e assistono anche al ricongiungersi del piccolo Daniel con il padre.

Lo tsunami del 2004

Il 26 dicembre del 2004, fu registrata una scossa sismica di 8 minuti nell’Oceano Indiano al largo della costa nord-occidentale dell’Indonesia, la cui magnitudo venne in seguito stimata tra i 9,1 e i 9,3 della scala Richter, uno dei più violenti mai registrati.

La conseguenza diretta del sisma fu un maremoto di proporzioni disastrose che causò onde alte 14 metri e una serie di tsunami che travolsero le coste dell’area asiatica, portando alla morte di 230.000 persone. Tuttavia, a oggi non è ancora chiaro quante persone siano effettivamente morte a causa del terremoto, prima, e dello tsunami poi. È probabile che il numero di morti sia molto più alto e che si aggiri intorno ai 300.000.

I danni più consistenti furono registrati soprattutto in Indonesia, ma ci furono gravi conseguenze anche nelle aree costiere di Sri Lanka, India, Thailandia, Birmania, Bangladesh e Maldive.
La violenza della catastrofe fu tale che seppure con una minore intensità, alcune onde anomale arrivarono anche sulle coste della Somalia e del Kenya, a oltre 4.500 chilometri di distanza dal punto in cui si era verificato il terremoto.

La scossa principale avvenne all’1 e 58 del mattino (ora italiana) del 26 dicembre 2004 e durò circa 8 minuti; i primi tsunami sulle coste arrivarono appena 15 minuti dopo l’evento e proseguirono per ore, mentre il maremoto si propagava.
Gli tsunami distrussero interi villaggi lungo le coste, e la perdita di un così grande numero di vite è stata anche causata dal fatto che la popolazione era del tutto impreparata a comprendere i segnali che indicavano il probabile arrivo di onde anomale.

La consapevolezza a posteriori che molte persone avrebbero potuto aver salva la vita se ci fossero stati sistemi di segnalazione tempestivi dello tsunami, portò in seguito alla costituzione dell’Indian Ocean Tsunami Warning System, uno prezioso strumento che serve per analizzare le possibili conseguenze dei terremoti e segnalare ai governi dei paesi interessati stime e tempi di arrivo di possibili onde anomale.

L’Indonesia fu il paese che pagò il prezzo più alto con le stime che annoverano quasi 230.000 vittime; ma anche altri paesi furono partecipi della tragedia con lo Sri Lanka che contò almeno 40.000 persone decedute, l’India con 10.000 vittime e la Thailandia in cui se contarono almeno 5.000.

Dopo il disastro, i governi locali dovettero affrontare nelle prime ore una drammatica emergenza umanitaria e provvedere al soccorso di un numero enorme di sfollati pari a 1 milione e mezzo per lo Sri Lanka, centinaia di migliaia in Indonesia, più di 100.000 in India e quasi 30.000 in Thailandia.

Le Nazioni Unite e le comunità internazionali si mobilitarono subito per gli aiuti, ma passarono diversi giorni prima che questi fossero fruibili; furono inoltre raccolti circa 1,6 miliardi di euro di aiuti che tuttavia non risanarono le economie locali dei luoghi interessati dallo tsunami.

I numeri della potenza del sisma e del maremoto del 2004

Il sisma è risultato il terzo terremoto più violento degli ultimi 60 anni, dopo solamente il sisma che colpì Valdivia in Cile nel 1960 e quello che colpì l’Alaska nel 1964. La scossa principale è stata avvertita da sismografi in tutto il pianeta e l’energia da essa sprigionata è stata calcolata come equivalente a circa 52 miliardi di tonnellate di dinamite, cioè 52 megatoni.
Per comprendere questa misura basta pensare che le due bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki, durante la Seconda Guerra Mondiale, insieme avevano una potenza complessiva di 0,038 megatoni.

Si stima che addirittura il momento inerziale della Terra sia diminuito e che avrebbe addirittura leggermente diminuito la durata di un giorno di circa 3 microsecondi; l’enorme rilascio di energia e il grande spostamento di masse, inoltre, potrebbero persino aver causato un leggero spostamento dell’asse di rotazione terrestre tra i 2 ed i 6 centimetri.

Dopo il terremoto cileno questo è stato il secondo evento sufficientemente potente da innescare quelle che vengono chiamata le oscillazioni libere della Terra.
Queste oscillazioni libere avvengono quando un terremoto ha una potenza tale che l’intera Terra risuona come un’immensa campana. I “suoni” che si propagano all’interno del pianeta vengono detti appunto “oscillazioni libere”. Lo studio di queste onde sismiche è di particolare importanza perché fornisce informazioni fondamentali sull’interno della Terra.

Dall’epicentro del sisma le onde si propagarono a 800 chilometri l’ora e raggiunsero in pochi minuti le coste dell’Asia, dopo soli 30 minuti le coste di Sumatra, le isole Nicobare e le Andamane furono devastate, sommergendo città e campagne.
Dopo un’ora e mezza il maremoto arrivò sulle spiagge del sud della Thailandia, spazzando via i resort di affollate località turistiche come Phuket. Dopo un’altra mezz’ora lo tsunami si abbatté sullo Sri Lanka e poi fu la volta del Sud dell’India.

Il maremoto del 2004 è stato uno dei disastri naturali più catastrofici della storia moderna; gli immensi maremoti, inoltre, hanno determinato un impressionante run-up (altezza dell’onda di uno tsunami ovvero la distanza verticale tra cavo e cresta) fino ai 51 metri registrati a Lhoknga in Indonesia.

Cos’è uno tsunami

Il termine tsunami è una parola giapponese che indica un’onda marina di grande altezza ed estensione che risulta estremamente carica di energia, quindi si sposta velocemente e quando si trova in prossimità della costa, cresce in altezza fino ad assumere le dimensioni e l’aspetto di un vero e proprio muro d’acqua.

Tsunami si traduce con “grande onda del porto” e in effetti queste onde distruggono tutto ciò che incontrano: porti, navi ed edifici, alberi, mezzi di trasporto e strutture di ogni genere e tipo.

Possono essere generati da smottamenti lungo le coste, da eruzioni vulcaniche o da violente e improvvise spinte del fondale oceanico, quando questo si solleva e si riabbassa dopo essere stato scosso da un terremoto profondo e trasmette il moto alla massa d’acqua soprastante.

Il potenziale distruttivo di uno tsunami, ossia la sua intensità, si misura attraverso la scala Ambraseys-Sieberg e non dipende esclusivamente dall’altezza dell’onda ma soprattutto dai volumi di acqua mobilizzati.
La scala prende il nome da due scienziati: Sieberg che l’ha ideata per primo nel 1927 e Ambraseys che l’ha ottimizzata nel 1962. I valori della scala vanno da 1 (che identifica un maremoto molto debole ed avvertito solo dai mareografi) a 6 (con cui si definisce uno tsunami disastroso con inondazione della costa e numerose vittime umane).

La potenza dell’onda anomala di dimensioni colossali, cresce esponenzialmente man mano che si avvicina alla costa e che quindi si riduce la profondità del fondale. La propagazione dell’onda, poi, può continuare anche per molti chilometri.

Quando lo tsunami raggiunge la costa si ha, in base alla configurazione della costa e della forza dell’onda, il frangersi di una serie di onde alte oppure l’azione distruttrice del fronte di alcune onde gigantesche, che possono arrivare a un’altezza di 30 metri.
A questo punto la massa fluida che si alza in pochi secondi, penetra nella terraferma e si abbassa in seguito altrettanto velocemente con un’azione devastatrice di risucchio che può ripetersi più volte.

Il rischio di maremoto in Italia

Le onde si possono propagare per diversi chilometri all’interno e insinuarsi ancora più nell’entroterra attraverso la foce dei fiumi.
Questo fenomeno si chiama ingressione, cioè l’invasione della costa da parte del mare.
La massima ingressione sulle nostre coste è stata accertata nel 1627, nello tsunami del Gargano, quando il mare penetrò per circa 3 chilometri.

Per quanto concerne la nostra penisola, sulle coste italiane il rischio-tsunami è più elevato di quello che si ritiene comunemente poiché tutti i mari sono soggetti al rischio di un maremoto.
Negli ultimi duemila anni sono stati circa 70 i maremoti che hanno colpito il nostro paese, non tutti di particolare intensità ma comunque in grado di generare danni ingenti e vittime umane.

Geograficamente le aree più a rischio delle coste italiane sono la Sicilia Orientale, lo Stretto di Messina, la Calabria Meridionale, le isole Eolie e il Golfo di Napoli. In epoca storica sono stati segnalati tsunami di una certa entità anche nel Gargano, in Liguria ed in Romagna.

Glossario Tsunami: per saperne di più

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