The Way Back è un film di Peter Weir del 2010 interpretato da Jim Sturgess, Colin Farrel, Ed Harris e Saoirse Ronan che narra la rocambolesca fuga di un gruppo di detenuti da un gulag sovietico, attraverso la Siberia, il deserto del Gobi e l’Himalaya.
L’avventura dei protagonisti è tratta da una storia vera ed è il racconto di un’odissea che li vide affrontare una fuga attraverso i climi più impervi del mondo come quello del Gobi in Mongolia dove le precipitazioni sono quasi del tutto assenti e l’escursione termica stagionale fa raggiungere temperature che arrivano ai -40° d’inverno e i 40° durante le torride e aride estati boreali.
La trama di The Way Back
La narrazione inizia 1939 quando Janusz, un tenente dell’esercito polacco, viene accusato di spionaggio e condannato 25 anni di lavori forzato presso un gulag siberiano.
Qui durante la prigionia nel gelido inverno siberiano e a causa della ferocia dei carcerieri che mettono duramente alla prova il protagonista e decima i detenuti, Janusz comprende che non sopravviverà alla prigionia e organizza l’evasione dal gulag insieme ad altre sei carcerati.
Il gruppo procede lungo la ferrovia transiberiana in una natura ostile che si impone con la sua profonda durezza e facendo patire ai protagonisti la fame e il gelo (fino a 40 gradi sotto lo zero).
Non tutti i fuggitivi portano a termine il viaggio: Valka, ad esempio, un criminale russo, abbandona il gruppo poco prima del passaggio della frontiera tra Russia e Mongolia, decidendo di rimanere nella sua terra natia.
Il film si conclude con una toccante scena di Janusz oramai anziano che finalmente ritorna in Polonia dopo il crollo del Comunismo.
La Transiberiana
Oltre l’80% della Transiberiana si sviluppa sul territorio siberiano e proprio dalla Siberia si dirama un secondo percorso verso Pechino che attraversando la Mongolia prende il nome di Transmongolica; mentre l’altra passa dalla Manciuria più a est ed è chiamata appunto Transmanciuriana.
Il clima estremo del lago Bajkal
Durante la bella stagione, che ha comunque una breve durata, le temperature arrivano a toccare i 20 gradi, ma anche d’estate l’acqua rimane molto fredda, appena 4 gradi centigradi.
Allo stesso tempo Bajkal, le gelide temperature che attanagliano gli inverni siberiani, vengono mitigate proprio dalla presenza delle acque che comportano una media di “appena” -21° centigradi.
Nel momento in cui uno strato di ghiaccio di un metro e mezzo ricopre le acque del lago, proprio i Buriati percorrono le strade solcate nel ghiaccio con i loro camion non senza correre rischi.
Il deserto del Gobi
Il nome “gobi” nelle lingue mongola e manciù è un nome geografico comune che indica una qualsiasi depressione poco accentuata del suolo con fondo ghiaioso e sabbioso; il più comune nome cinese è “Sha-mo” che si traduce con deserto sabbioso, ma un altro nome attribuito al deserto è “Hanhai”, ossia mare disseccato.
In occidente col nome di Gobi si identifica tutto il deserto che si estende per oltre 3600 chilometri, senza interruzione, dal Pamir ai confini della Manciuria.
Il deserto sabbioso si alterna a vaste distese di steppa che forniscono oasi di pascolo agli animali domestici delle popolazioni nomadi mongole.
La vegetazione è composta da un tappeto erboso discontinuo con bassi arbusti xerofili che si alternano ad aree prive di ogni tipo di vegetazione. A ridosso delle montagne della Mongolia settentrionale come sulla catena dell’Altaj, ai piedi dei pendii più riparati sono presenti dei piccoli boschi di conifere e betulle, spesso coperti da un soffice manto di neve e ghiaccio nei mesi invernali.
Il Gobi centrale presenta paesaggi pianeggianti con formazioni rocciose che emergono sparse, e alcuni fossili marini che testimoniano l’esistenza di laghi oggi scomparsi.
Morfologicamente il deserto del Gobi è un vasto altopiano alto in media 800-1100 metri sul livello del mare costituito da un basamento granitico archeozoico ricoperto da rocce sedimentarie paleozoiche e mesozoiche.
Gli studi scientifici hanno dimostrato che circa 70-80 milioni di anni fa il Gobi era un territorio in grado di ospitare la vita di numerosi sauri e mammiferi terresti. Qui sono, infatti, stati ritrovati scheletri di coccodrilli e tartarughe che fanno supporre che un tempo la regione non fosse così arida e che fossero presenti anche grandi specchi lacustri e paludi.
La considerevole e costante erosione del terreno ha consentito, poi, ai paleontologi di rinvenire ancora intatti gli scheletri fossilizzati non solo dei mammiferi che abitavano la regione in epoca preistorica, ma anche quelli dei dinosauri e dei fossili di vario genere. Questi si sono conservati quasi intatti grazie al fatto che le frequenti tempeste di sabbia seppellivano gli animali nel giro di poche ore per farli riemergere solo dopo diversi milioni di anni.
Il clima impervio del Gobi
Queste dinamiche spiegano perché in molte zone del deserto del Gobi la media di piogge annue sia inferiore ai 150 millimetri, anche se non mancano acquazzoni improvvisi e rovesci di pioggia localizzati e di breve durata nel corso del periodo primaverile ed estivo.
Durante l’inverno, le poche precipitazioni sono per lo più di carattere nevoso nel pieno del deserto e lasciano un sottile velo di neve ghiacciata al suolo che permane fino alla fine di marzo e spesso anche ad aprile, ciò accade perché le circolazioni cicloniche in quota vengono isolate mentre negli strati bassi domina l’anticiclone termico.
Mentre in estate le temperature delle torride estati boreali arrivano fino a 35°/40° centigradi a causa delle roventi e potenti ondate di calore che si formano sopra le steppe dell’Asia Centrale e raggiungono anch’esse la Mongolia meridionale.
Proprio queste impervie condizioni climatiche e la penuria oltre all’irregolarità delle precipitazioni rendono il deserto del Gobi uno dei luoghi più inospitali della terra, che solo le tribù nomadi del luogo sono riuscite a domare, integrandosi con una natura ostile che un tempo rappresentava, proprio per le sue caratteristiche di inaccessibilità, la roccaforte dell’Impero Mongolo.