Vitamina D un aiuto contro il Covid? Cos’è e come agisce, perché può proteggere dalle peggiori complicazioni di SARS-CoV-2

SARS-CoV-2: perché carenze di vitamina D possono influenzare negativamente lo sviluppo del Covid-19, portando a conseguenze più gravi
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Diverse ricerche hanno evidenziato che carenze di vitamina D possono influenzare negativamente lo sviluppo del Covid-19, portando a conseguenze più gravi: tuttavia nel nostro Paese non è previsto alcun protocollo che ne prevede l’utilizzo né come preventivo né come terapia, mentre in Paesi come in Regno Unito è stata disposta la somministrazione a oltre 2 milioni di persone a rischio (prevalentemente anziani).
La scienza non ha finora confermato con certezza gli effetti benefici della vitamina D sull’infezione, manca una sperimentazione ufficiale, con i protocolli standardizzati, e, anche per questo motivo, oltre 70 scienziati italiani hanno chiesto un’indagine sul legame tra vitamina D e Covid, e che, nel frattempo, venga effettuata la somministrazione preventiva, non essendo segnalati effetti collaterali. Tra i primi firmatari dell’appello figura anche Giovanni Carlo Isaia, Geriatra e Presidente dell’Accademia di Medicina di Torino, da tempo impegnato su questo fronte.
La presa di posizione dei ricercatori non è campata in aria dato che, da oggi, sono più di 340 i lavori condotti in tutto il mondo durante il 2020 e pubblicati su PubMed: numerosi hanno evidenziato la presenza di ipovitaminosi D (carenza di vitamina D) nella maggioranza dei pazienti affetti da Covid-19, in particolare se in forma severa, e di una più elevata mortalità a essa associata.

vitamina dDi recente da uno studio retrospettivo su 52 pazienti, che ha visto la collaborazione dell’ISS, dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma e di altre istituzioni, pubblicato sulla rivista Respiratory Research, ha appurato che la carenza di Vitamina D (VitD) sembrerebbe associata a stadi clinici di COVID-19 più compromessi.
Nella nostra indagine abbiamo correlato, per la prima volta, i livelli plasmatici di VitD a quelli di diversi marcatori (di infiammazione, di danno cellulare e coagulazione) e ai risultati radiologici tramite TAC durante il ricovero per COVID-19 – ha spiegato  Francesco Facchiano, ricercatore dell’ISS, coautore dello studio – e abbiamo  osservato che i pazienti con bassi livelli plasmatici di VitD, indipendentemente dall’età, mostravano una significativa compromissione di tali valori, vale a dire risposte infiammatorie alterate e un maggiore coinvolgimento polmonare”.
Per lo studio sono stati arruolati 52 pazienti affetti da infezione da COVID-19 con coinvolgimento polmonare (27 femmine e 25 maschi, l’età mediana era di 68,4 anni). I livelli di vitamina D erano carenti (con livelli plasmatici di VitD molto bassi, sotto 10 ng/ml) nell’80% dei pazienti, insufficienti nel 6,5% e normali nel 13,5%.
Recenti osservazioni hanno dimostrato che la VitD non è un semplice micronutriente coinvolto nel metabolismo del calcio e nella salute delle ossa, ma svolge anche un ruolo importante come un ormone pluripotente in diversi meccanismi immunologici. È noto che i suoi recettori sono ampiamente distribuiti in tutto l’organismo e in particolare nell’epitelio alveolare polmonare e nel sistema immunitario.
“Anche se gli effetti in vivo della VitD non sono completamente compresi – si legge nello studio – una serie di osservazioni sottolineano il ruolo della VitD nello sviluppo delle malattie polmonari. La sua insufficienza è stata collegata alle infezioni virali del tratto respiratorio inferiore e all’esacerbazione delle malattie polmonari ostruttive croniche e dell’asma. Inoltre, i soggetti con bassi livelli di VitD al momento del test COVID-19 erano a più alto rischio di essere positivi al COVID-19 rispetto ai soggetti con sufficiente stato di VitD”.
Tuttavia, gli studiosi sono cauti. “L’effetto della carenza di VitD nella progressione del COVID-19 o nella gravità della malattia è ancora da valutare. I nostri dati sottolineano una relazione tra i livelli plasmatici di VitD e diversi marcatori di malattia. Al momento è difficile sostenere se l’integrazione di VitD possa svolgere un ruolo nel combattere la gravità della malattia e ridurre la sua mortalità, ma può essere una raccomandazione utile e sicura per quasi tutti i pazienti”.

Ancora, uno studio realizzato dal gruppo di ricerca coordinato dal professore Salvatore Corrao, componente del comitato tecnico scientifico della Regione Siciliana e direttore del reparto Covid dell’ospedale Civico di Palermo, ha dimostrato l’efficacia antinfiammatoria di integratori come vitamina D, C, melatonina e zinco nella cura del Covid-19. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista internazionale “Nutrients”.
Ad oggi – ha spiegato spiega Corrao – non esistono antivirali specifici di provata efficacia per il Covid-19 e nonostante siano disponibili i vaccini il tasso di mortalità non sta scendendo. Una delle strategie terapeutiche è stata focalizzata sulla prevenzione delle infezioni e sulle misure di controllo. A questo proposito, l’uso di supporti nutraceutici può giocare un ruolo per quanto riguarda alcuni aspetti dell’infezione, in particolare lo stato infiammatorio e la funzione del sistema immunitario dei pazienti, rappresentando così una strategia per controllare gli esiti peggiori di questa pandemia“. “Servono dosaggi terapeutici di melatonina, vitamina C, vitamina D, integrazione di zinco per ridurre non tanto l’impatto dell’infezione, ma di una malattia che potrebbe avere aspetti severi che sappiamo può portare alla morte. Possono essere presi singolarmente o alcuni combinati“.
I fatti ci dicono – ha aggiunto Corrao – che prendendo singolarmente uno o due grammi di vitamina C al giorno, che 50 mila unità di vitamina D una volta al mese, che la melatonina intorno tra 6 e 25 milligrammi la sera, che 50 milligrammi di zinco base ogni giorno, si abbassa la proteina C reattiva che come tutti sanno è un indicatore di infiammazione. Tali sostanze possono ridurre anche le citochine infiammatorie tipiche del Covid. Non comprendiamo perché non sia stata fatta una campagna di popolazione dall’Oms e dagli enti governativi che potrebbe abbattere il Covid grave in soggetti come ad esempio i diabetici“.

Infine, a fare il punto su un possibile punto d’unione tra Vitamina D e Covid è stato anche il dott. Domenico Tromba, Responsabile Day service Tiroide Casa della salute Siderno, consigliere dell’Ordine dei medici di Reggio Calabria, membro cda Unime, presidente Associazione Scienza e Vita e segretario Ame Calabria.
La vitamina D – ha spiegato il dott. Tromba – non serve solo a fissare il calcio nelle ossa, una funzione che pure è fondamentale per prevenire il rachitismo nei bambini e l’osteoporosi negli anziani. Nella sua forma attivata, la vitamina agisce in realtà come un ormone che regola vari organi e sistemi e ha un’azione modulante nei confronti dell’infiammazione e del sistema immunitario“. Una sua carenza è stata associata a diversi tipi di malattie, dal diabete all’infarto, dall’Alzheimer all’asma o alla sclerosi multipla. “È intuitivo e naturale – prosegue l’endocrinologo – è piacevole e ancora di più adesso che è cosa rara: che stare al sole, quindi aumentare le nostre riserve di vitamina D, ci fa bene. Al punto da proteggerci anche dalle peggiori complicazioni da coronavirus, o covid-19“.
Era già noto che la vitamina D ha innumerevoli benefici per la salute – afferma il dott. Tromba – incluso il potenziamento del sistema immunitario, e che influenza la suscettibilità del corpo alle malattie autoimmuni, come la sclerosi multipla ma anche all’influenza stagionale. La vitamina D è un composto liposolubile raro negli alimenti, ma che può essere assorbito dagli integratori (anche se non è la stessa cosa). La principale e più sicura fonte naturale di vitamina D proviene tuttavia dai raggi del sole, quando colpiscono la pelle innescando la sintesi di vitamina D. Si è visto come nei giovani adulti un’esposizione al sole estivo (senza protezione solare) di circa il 25/30% della superficie corporea per 15 minuti almeno tre volte alla settimana equivale a una dose orale di 25 microngrammi (1000 UI) di vitamina D“. Quindi, le vacanze estive in mare più di 30 minuti al giorno sono di grandissima importanza per il mantenimento dei valori di vitamina D. “Uno studio, condotto dai ricercatori del Queen Elizabeth Hospital Foundation in Inghilterra – spiega l’endocrinologo – ha trovato un collegamento tra bassi livelli di mortalità per COVID-19 e buone riserve di vitamina D, quindi si può consigliare l’integrazione di vitamina D per proteggere dall’infezione da SARS-CoV-2“.
Diversi studi condotti a livello internazionale sul ruolo immunomodulatore della vitamina D, “suggeriscono che possa svolgere una funzione protettiva verso agenti infettivi, e ora uno studio condotto dall’Università di Padova mostra come la somministrazione di vitamina D in soggetti affetti da Covid-19 con comorbidità abbia potenziali effetti positivi sul decorso della malattia“.
La vitamina D “riduce il rischio di infezioni attraverso diversi meccanismi:
– l’induzione di catelicidina, proteina che frenano la replicazione virale;
– la riduzione della concentrazione di citochine pro-infiammatorie, che danneggiano il rivestimento dei polmoni predisponendo alle polmoniti;
– l’aumento della concentrazione di citochine antinfiammatorie.
Numerosi studi osservazionali e trial clinici, inoltre, indicano che la supplementazione di vitamina D riduce il rischio di influenza.
Queste le principali evidenze a supporto del ruolo della vitamina D nella prevenzione del Covid-19. Questo – conclude il dott. Tromba – ci deve fare riflettere e cercare di utilizzare l’esposizione al sole ove possibile e correggere con farmaci e integratori questa importante vitamina in caso di carenza“.

Vitamina D, a cosa serve

La vitamina D – spiega in un approfondimento l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro – non serve solo a fissare il calcio nelle ossa, una funzione che pure è fondamentale per prevenire il rachitismo nei bambini e l’osteoporosi negli anziani. Nella sua forma attivata, la vitamina agisce in realtà come un ormone che regola vari organi e sistemi e ha un’azione modulante nei confronti dell’infiammazione e del sistema immunitario. Una sua carenza è stata associata a diversi tipi di malattie, dal diabete all’infarto, dall‘Alzheimer all’asma o alla sclerosi multipla.

Come si forma la Vitamina D

Un terzo del fabbisogno giornaliero di vitamina D proviene dall’alimentazione. I cibi in cui se ne trova di più – oltre a quelli che ne sono arricchiti a livello industriale, come molti cereali per la prima colazione – sono i pesci grassi (come salmone, sgombro e aringa), il tuorlo d’uovo e il fegato.
Tutto il resto si forma nella pelle a partire da un grasso simile al colesterolo che viene trasformato per effetto dell’esposizione ai raggi UVB. Una volta prodotta nella cute o assorbita a livello intestinale, la vitamina D passa nel sangue. Qui una proteina specifica la trasporta fino al fegato e al rene, dove viene attivata.

Vitamina D, come funziona?

Per quanto se ne conoscano le proprietà antinfiammatorie e l’azione sul sistema immunitario, non è ancora ben chiaro come la vitamina D agisca a livello dei diversi sistemi.
Soprattutto, spiega l’AIRC, quello che ancora bisogna capire è se sia proprio la sostanza stessa a produrre direttamente tanti benefici o se, piuttosto, una sua alta concentrazione nel sangue sia soltanto un indicatore indiretto di abitudini più sane, come un’alimentazione più salutare, tempo trascorso all’aria aperta, maggiore attività fisica e minore indice di massa corporea (BMI).

Vitamina D, quanta ce ne vuole

Non esistono parametri assoluti: i livelli minimi di concentrazione di vitamina D nel sangue raccomandati dall’Institute of Medicine statunitense sono di 20 nanomoli/litro, ma la maggior parte degli esperti consiglia di non scendere sotto i 30 e altri suggeriscono che si possa già parlare di quantità insufficiente sotto i 50. In genere, per assicurarsi l’apporto necessario, è sufficiente trascorrere più tempo all’aria aperta.

Tra i neonati e gli anziani, però, che spesso escono poco di casa e si espongono meno dei giovani al sole, un deficit è abbastanza comune. Per questo nel primo anno di vita si somministrano gocce di vitamina D e molti medici ritengono opportuno prescrivere supplementi anche a tutti i loro pazienti oltre una certa età. Tuttavia è importante guardarsi dagli eccessi perché a dosi troppo elevate la vitamina D può essere tossica. Generalmente ciò avviene allorché i livelli circolanti superano i 100 ng/ml. Per evitare ciò, è consigliabile non superare un’assunzione giornaliera di 50 ?g/die.

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