Dante’s Peak: il film che si ispira alla furiosa esplosione del Monte Sant’Elena

Il film del 1997 Dante's Peak si ispira alla furiosa esplosione del Monte Sant'Elena. Ripercorriamo insieme le spaventose fasi che anticiparono e in cui si sviluppò quell'eruzione, utile a comprendere come prevedere analoghe catastrofi naturali
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Dante’s Peak- La furia della montagna è un film del 1997 diretto da Roger Donaldson ed interpretato da Pierce Brosnan e Linda Hamilton che si ispira all’eruzione del Monte Sant’Elena che avvenne nel maggio del 1980.

Quello che la pellicola suggerisce è che prevedere quell’eruzione era davvero possibile. Ma quali furono le avvisaglie dell’imminente catastrofe? Come avvenne l’esplosione del Monte Sant’Elena? E quali conseguenze non potevano prevedere gli scienziati?

La trama di Dante’s Peak

dante's peakHarry Dalton è un vulcanologo reduce da una tragica esplosione che 4 anni prima ha comportato la morte della sua fidanzata e collega.
Quando lo ritroviamo 4 anni dopo quell’evento, a seguito di una segnalazione di movimenti tellurici sospetti, registrati presso il Servizio Geologico degli Stati Uniti d’America per il quale Harry lavora, il vulcanologo viene inviato dal suo capo presso la cittadina di Dante’s Peak, collocata ai piedi di un imponente vulcano dormiente appartenente alla catena delle Cascate.

All’arrivo di Harry la cittadina è in pieno festeggiamento per essere stata nominata la seconda migliore cittadina degli States con il miglior tenore di vita.
Qui il vulcanologo si fa prontamente scortare nei pressi di un lago vulcanico per effettuare i controlli necessari a rilevare un eventuale pericolo. Le indagini portano lo scienziato a insospettirsi e nonostante venga tacciato di eccessivo allarmismo, annuncia che spedirà sul posto una squadra di vulcanologi con lo scopo di monitorare il vulcano.

Harry dapprima si reca in elicottero presso il cratere del vulcano allo scopo di monitorare le emissioni di gas anomali e in seguito con un robot che ha il compito di monitorare movimenti tellurici ed emissioni di zolfo; proprio durante questa missione una violenta scossa sismica sorprende Harry.
Il vulcanologo è oramai certo di una imminente eruzione vulcanica e cerca di convincere i colleghi a sostenerlo nel sollecitare le autorità locali a mettere la città in allerta, ma ogni suo tentativo risulta vano.

Harry ha stretto un rapporto con la sindaca della città Rachel e proprio con lei si reca presso l’acquedotto della città dove scoprono che dai pozzi proviene un forte odore di diossido di zolfo, Harry, memore del fatto che un evento simile era stato un segnale di un’eruzione vulcanica nelle Filippine, capisce che non è rimasto molto tempo a disposizione.

Finalmente anche il capo di Harry e la sindaca Rachel concordano con il vulcanologo sull’esigenza di evacuare la città, tuttavia, quello stesso pomeriggio quando i residenti di Dante’s Peak vengono invitati a partecipare a una riunione che ha il fine di pianificare l’evacuazione, tremende scosse sismiche annunciano l’eruzione che inizia immediatamente dopo, diffondendo il panico tra la popolazione.

La città viene pervasa dal caos generale e dagli abitanti che tentano di abbandonare la città. Harry e Rachel scoprono che i figli della donna sono andati a prendere la nonna che abita in una casa proprio ai piedi della montagna.
Giunti a destinazione, tentano di convincere l’anziana signora a seguirli ma vengono sorpresi da un fiume di lava che li costringe a una fuga mirabolante per evitare di restare intrappolati nell’abitazione che nel frattempo viene rapidamente avvolta dalle fiamme.

Harry, Rachel e i suoi familiari salgono su una barca ormeggiata sulle rive del lago controllato solo pochi giorni prima dal vulcanologo e mentre tentano di raggiungere la riva opposta per cercare la salvezza, scoprono che le acque sono state trasformate dalle attività vulcaniche e costituiscono ormai un acido fortemente corrosivo che mette presto fuori uso il motore della barca. Sarà l’anziana signora a immergersi nelle acque mortali e spingere l’imbarcazione fino al molo, sacrificando così la sua vita.

La Guardia Nazionale arriva il mattino dopo in una cittadina sepolta dalla cenere, la violenta eruzione ha nel frattempo anche sciolto gran parte del ghiacciaio presente sul vulcano e creato un imponente lahar che ha fatto infine tracimare anche la diga del luogo.

Raggiunta finalmente la città, Harry, Rachel e i ragazzi vengono sorpresi da una nube piroclastica che annuncia la fine dell’eruzione.
La nube distrugge completamente Dante’s Peak ma il gruppo riesce a salvarsi grazie a un localizzatore satellitare della NASA.

Eruzione monte sant’Elena

Quella narrata nel film Dante’s Peak è una storia liberamente ispirata all’eruzione del Monte Sant’Elena, nello stato di Washington, che avvenne il 18 maggio 1980 dopo 2 mesi di avvisaglie di vario genere e che si protrasse sino al 9 ottobre dello stesso anno, determinando la morte di oltre 70 persone e danni che si propagarono a oltre 500 chilometri di distanza.

Dopo un terremoto della magnitudine di 5.2 della scala Richter, lo stratovulcano esplose provocando una nube di cenere incandescente che si spostava alla spaventosa velocità di 100 chilometri orari distruggendo tutto quello che incontrava sul proprio cammino.
Una nube densa e nera si sollevò nella stratosfera con esplosioni e fulmini provocando un’oscurità diffusa nel raggio di 200 chilometri dal vulcano.

Per effetto dell’eruzione, inoltre il fianco nord della montagna si staccò franando a valle; il vulcano si abbassò di bel 350 metri e si trasformò da vulcano a cono in un vulcano con cratere a ferro di cavallo.
L’evento, poi, rimodellò drammaticamente tutta l’area circostante a sud ovest di Washington poiché l’eruzione annientò ogni forma di vita su un area che si estendeva a ventaglio per almeno 27 chilometri, i laghi e i corsi d’acqua vennero ostruiti e la polvere nera si depositò su intere regioni di almeno 3 stati confinanti.

Sebbene fino a quel momento per gli statunitensi le eruzioni vulcaniche rappresentassero solo uno degli spettacoli offerti da madre natura, in quella data avvenne una chiara dimostrazione dell’inarrestabile furia degli stratovulcani.

Esplosione Monte Sant’Elena: una tragedia annunciata

Il nome del Monte Sant’Elena traeva la sua origine da quello di un diplomatico inglese del XVIII secolo, ed è uno dei 15 vulcani appartenenti alla Catena delle Cascate, la serie montuosa che costituisce il segmento nordamericano della Cintura di fuoco del Pacifico e che domina il paesaggio dalla Columbia Britannica alla California settentrionale.
La vetta del Sant’Elena arrivava a sfiorare i 3000 metri e si presentava all’osservatore con una tale simmetria da farle meritare l’appellativo di Fujiyama d’America.

Sebbene il vulcano risultasse inattivo da oltre un secolo, nel 1978 due geologi avevano pronosticato che il risveglio del vulcano era vicino e che un’eruzione si sarebbe verificata in breve tempo assumendo le dimensioni di una catastrofe.
Tuttavia, risultava impossibile stabilire con precisione quando il fenomeno si sarebbe verificato e l’unica cosa da fare era quella di tenere sotto attenta osservazione le dinamiche della montagna.

Già il 20 marzo 1980 alcune scosse sismiche si erano fatte sentire sul versante nordoccidentale della vetta. Contrariamente a quanto accade per i terremoti classici, causati da rilascio improvviso di energia dalle rocce, le scosse armoniche sono associate ad attività vulcanica, poiché causate da movimenti di magma nel sottosuolo o dal rilascio di gas dal magma. Queste scosse potevano quindi essere indicative di una eruzione imminente.

Il 27 dello stesso mese, invece, dalle vedute aree gli esperti individuarono un neonato cratere nel ghiaccio largo circa 70 metri da cui si alzò una nuvola eruttiva che disperse ceneri e vapore fino a un’altezza di 2000 metri; dal ventre della montagna, poi, si udirono preoccupanti rumori sordi e si notarono fratture nel terreno. Infine, apparve un secondo cratere del diametro di 67 metri.

A quel punto squadre di scienziati e geologi, appartenenti in maggioranza all’Istituto geologico statunitense, si spostarono sul luogo per acquisire dati, campionare i gas in uscita dal vulcano, rilevando dati attraverso strumentazioni come sismografi, sensori termici, indicatori di inclinazione e altri che vennero posizionati nei punti maggiormente sensibili.

Il 3 aprile gli esperti notarono un cratere largo 450 metri e profondo 90 metri sul fianco settentrionale, delle fratture visibili nella neve ed una strana zona di terreno esposto, probabilmente prime avvisaglie del rigonfiamento (bulge).

Tra la folla di osservatori estranei al luogo come giornalisti e fotografi si accese un particolare interesse verso questa specie di protuberanza che si espandeva di oltre un metro e mezzo al giorno fino a quando giunse a sporgersi di un centinaio di metri sul pendio sottostante.
L’origine del bulge era un’intrusione magmatica nel vulcano (anche chiamata criptoduomo) avvenuta alla fine di marzo.

Fu allora che il Governatore dello stato di Washington individuò una zona rossa di circa 8 chilometri di raggio che divenne oggetto di evacuazione. La decisione risultò impopolare e scatenò proteste da parte dei residenti; a posteriori, tuttavia, l’unico difetto della zona rossa fu quello di non essere stata abbastanza ampia.

Alle 8 e 32 di domenica 18 maggio, il Monte Sant’Elena esplose e in quel frangente si verificarono quasi simultaneamente 4 fenomeni:

  • una scossa sismica che fece tremare la montagna;
  • la parete nord si staccò dalla montagna e precipitò nel lago Spirit e nel fiume Toutke causando una gigantesca frana che si muoveva alla spaventosa velocità di 400 chilometri orari e percorse una discesa di 14 chilometri trasportando 2.5 chilometri cubi di materiale, pari al volume di un milione di piscine olimpioniche;
  • la parte di versante distaccatasi era quella che manteneva il sistema magmatico sottostante pressurizzato; con la rimozione del criptoduomo, l’acqua bollente presente nel sistema si trasformò in vapore dando inizio ad esplosioni idrotermali laterali dalla frattura lasciata esposta dal bulge.
    I gas incandescenti vennero quindi liberati dal magma, la falda acquifera sotterranea divenne immediatamente vapore dando vita a una terrificante esplosione orizzontale che si propagò attraverso la parete nord che a quel punto risultava squarciata. L’esplosione devastò una superficie di oltre 500 chilometri quadrati e sradicò un quantitativo di alberi pari a 6 milioni;
  • la suddetta parete crollò aprendo un nuovo cratere sulla sommità ed innescando una seconda eruzione, questa volta verticale, che sputò in aria una colonna di fumo e ceneri. Questa fu probabilmente la causa della morte della maggior parte delle vittime che rimase appunto soffocata da ceneri che venivano sparate nell’apparato respiratorio con la stessa potenza di una cannonata.
    Il flusso piroclastico inoltre sciolse parte dei ghiacci dando origine a svariati lahars, fiumi di fango che si muovevano velocemente verso valle. Il più distruttivo di questi viaggiò fino ad 80 chilometri dal vulcano, distruggendo 27 ponti e quasi 200 abitazioni.
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