Giugno è il mese dedicato alla cura dell’infertilità, una patologia ufficialmente riconosciuta come tale anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e che in Italia riguarda circa il 15% delle coppie, colpendo sia donne che uomini.
Per quanto l’infertilità sia sempre esistita, l’approccio verso questa malattia è cambiato radicalmente negli ultimi anni. Da una parte grazie al forte avanzamento di una branca della medicina dedicata proprio alla Procreazione Medicalmente Assistita, sempre più all’avanguardia; dall’altra, a causa del fattore sociale, per cui l’aumento dell’età media in cui si cerca la prima gravidanza ha determinato una crescita delle difficoltà di concepimento.
Tuttavia, si fatica a percepire la difficoltà riproduttiva come malattia, in quanto si tratta di una condizione molto particolare che – almeno nella grande maggioranza dei casi – non riguarda il singolo individuo, ma una coppia, e la sintomatologia non è fisica, bensì rappresentata dall’assenza del bambino immaginato, da un lutto difficile da elaborare proprio per la mancanza di una perdita reale. L’incapacità di generare pone gli individui in una dimensione di incompiutezza che investe tutte le aree della vita affettiva, relazionale, familiare e lavorativa. È un “non evento” critico dell’evoluzione dell’identità maschile e femminile, con un impatto più marcato nella donna che è “normalmente” considerata creatrice di vita. L’esperienza dell’infertilità può dunque interferire in modo significativo con il benessere personale e la relazione di coppia.
“Purtroppo, ancora oggi circolano dei pregiudizi totalmente infondati sulla maternità,” ha dichiarato Daniela Galliano, medico chirurgo, specializzata in Ginecologia, Ostetricia e Medicina della Riproduzione, Responsabile del Centro PMA di IVI Roma. “Si tratta di idee profondamente misogine che hanno radici profonde nell’ignoranza. In passato, l’infertilità veniva vissuta come una “colpa” dal momento che il valore di una donna si misurava con la sua capacità di generare”. “Purtroppo – ha continuato la dott.ssa Galliano – per quanto si sia evoluta la società, la diagnosi di infertilità ha ancora un impatto emotivo molto forte sui pazienti. Generalmente, le donne tendono a soffrirne di più, anche se il problema è maschile; mentre gli uomini, quando l’infertilità dipende da loro, tendenzialmente fanno fatica ad accettare il problema perché lo vivono come una minaccia alla propria virilità. In particolare, alcune pazienti vivono l’infertilità come se fosse una loro mancanza, un difetto, o una carenza personale, fino ad arrivare a pensare al divorzio come soluzione”.
“Date queste premesse, noi di IVI abbiamo sempre dato grandissima importanza all’aspetto psicologico dell’infertilità. Per questo assicuriamo a tutti i pazienti il sostegno da parte di psicologi esperti nella coppia durante tutto il percorso di fecondazione assistita. Infatti, se è essenziale garantire il supporto psicologico all’inizio del percorso, è altrettanto importante portarlo avanti fino alla fine. Questo perché i trattamenti di PMA non sono privi di ostacoli e difficoltà che possono minare l’unità della coppia e creare delle crisi. Infine, non bisogna tralasciare che, secondo diversi studi, lo stress e lo stato emotivo possono influenzare l’esito del trattamento di fecondazione assistita, dunque è molto importante non solo da parte dello psicologo, ma anche da parte del medico che segue il trattamento, un approccio sempre empatico verso i pazienti che costituisce parte integrante di un percorso volto non soltanto all’erogazione di una cura, ma alla presa in cura della coppia infertile”.
“Possiamo dire che – ha concluso la dottoressa – nella medicina della riproduzione vengono a cadere quelle barriere che solitamente regolano il rapporto medico-paziente. La distanza emotiva lascia il posto alla vicinanza e rende ogni paziente unico, ogni storia speciale ed ogni bambino un dono dell’amore”.