Il 7 febbraio, una gigantesca massa di acqua e rocce ha attraversato una valle nello stato himalayano dell’Uttarakhand, in India, spazzando via due centrali idroelettriche e lasciandosi dietro almeno 200 morti e dispersi. Ciò che ha innescato l’inondazione mortale è rimasto un mistero per mesi, ma dopo aver raccolto dati e informazioni da immagini satellitari, registrazioni sismiche e testimonianze oculari, un team di oltre 50 scienziati ora afferma di aver risolto il caso.
Il drammatico evento sarebbe stato originato da un’enorme valanga di roccia e ghiaccio glaciale, precipitata per 1.800 metri lungo un ripido pendio del Ronti Peak, innescando una serie di eventi che ha portato al disastro (video in basso), come spiegano i ricercatori su Science.
Questa non era una frana normale, precisa Daniel Shugar, geomorfologo dell’Università di Calgary in Canada: “Questo era uno scenario multi-rischio in cui era molto più fluida e mobile di quanto ci si aspetterebbe da una frana. Era lo scenario peggiore tra roccia e ghiaccio e altezza della caduta“.
Inizialmente si sospettava che il colpevole fosse un noto fenomeno di alta montagna, un’alluvione innescata da un lago glaciale, in cui l’acqua arginata si riversa improvvisamente oltre i bordi e precipita sul fianco della montagna, ma quei pochi dati disponibili subito dopo indicavano invece una possibile frana, afferma Shugar.
Nei mesi successivi, Shugar e colleghi si sono avvalsi di numerose fonti di dati e simulazioni al computer per ricostruire cosa è accaduto quel giorno.
Ecco cosa mostrano i dati: a partire dalle 10:21 ora locale del 7 febbraio, circa 27 milioni di metri cubi di roccia e ghiaccio sono caduti dalla ripida parete nord del Ronti Peak, che si trova a 6.063 metri sul livello del mare. La frana, costituita per circa l’80% da roccia e per il 20% da ghiaccio, si è originata ad un’altezza di circa 5.500 metri ed è precipitata verso il basso per circa 1.800 metri, viaggiando a una velocità massima di 60 metri al secondo.
I modelli digitali di elevazione rivelano una cicatrice di roccia sul pendio che prima non c’era. Le immagini precedenti del sito suggeriscono che entro il 2018 si fosse aperta una frattura molto lunga e ampia nel ghiacciaio sovrastante.
Quando la frana si è poi inoltrata lungo la valle del torrente Ronti Gad, materiale umido è risalito lungo i fianchi della valle, depositando sedimenti e grossi massi sulle pareti della valle. Le immagini satellitari hanno anche catturato spesse coltri di polvere nell’aria, i primi indicatori di una frana.
Man mano che la frana proseguiva la sua discesa, il ghiaccio ha iniziato a sciogliersi a causa dell’attrito, contribuendo ad accelerarlo. A questo punto, la frana ha incontrato una curva nella valle, dove è rimasta bloccata gran parte del materiale solido, facendo diventare il flusso da denso e viscoso a fluido e veloce. Queste acque impetuose hanno viaggiato quindi verso le due centrali idroelettriche nel loro percorso a valle, provocando gravi danni e vittime.
Non è semplice a priori stabilire se o come le persone possono prepararsi a un simile disastro, ma il primo passo è una migliore comprensione delle possibili cause, spiega Shugar: “Dobbiamo fare un lavoro migliore nella valutazione dei pericoli e non esaminarli singolarmente“.
Difficile dire quale ruolo potrebbe aver giocato il cambiamento climatico: non ci sono stazioni meteorologiche vicino al sito del cedimento che potrebbero fornire misurazioni della temperatura o delle precipitazioni per valutare variazioni nella regione. Comunque, “possiamo dire che il cambiamento climatico sta aumentando la gravità e la frequenza dei disastri naturali“, assottigliando i ghiacciai e le loro fondamenta, prosegue Shugar. E’ anche chiaro che l’aumento dello sviluppo in montagna aumenta la probabilità di disastri, elemento che evidenzia l’urgenza di comprendere i possibili pericoli, osserva Shugar. “Se le montagne stesse stanno diventando più pericolose, e ci stiamo anche spingendo più in là in quelle montagne, questo diventa un mix pericoloso“.