La sconfitta del generale Custer a Little Bighorn avvenne il 25 giugno del 1876

Quella subita dal generale Custer il 25 giugno del 1876 a Little Bighorn è una delle sconfitte più celebri della storia, ma consegnò ai posteri le immortali figure degli indomiti capi nativi Toro Seduto e Cavallo Pazzo
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Quella subita il 25 giugno 1876 dal generale Custer è una delle più celebri sconfitte militari della storia. Fu a Little Bighorn che i nativi americani delle tribù Lakota e Cheyenne annientarono il comandante a capo del 7° regimento di cavalleria dell’esercito statunitense. Sebbene Custer sia passato alla storia come esempio di eroismo i poster sono stati molto meno clementi e hanno rintracciato nei suoi errori tattici e nella sua arroganza la causa della sconfitta.

Nonostante questa vittoria le guerre indiane terminarono solamente intorno al 1890 e segnarono la conquista delle nazioni indiane e la decimazione delle popolazioni di nativi sancendo uno degli episodi più tragici della storia americana.

La Guerra delle Black Hills

Quella che tutti conosciamo come la battaglia di Little Bighorn fu solo uno degli episodi bellici della Guerra delle Black Hills, le montagne sacre e terreno di caccia per i nativi Lakota (più conosciuti con il nome dispregiativo di origine francese Sioux).

La precedente guerra di Nuvola Rossa aveva portato a sancire un trattato tra i colonizzatori statunitensi e i nativi americani, definendo i confini della Grande Riserva Sioux e stabilendo che una vasta porzione di territorio non venisse reclamata né dal governo statunitense né inclusa nella riserva.
Si trattava dunque di una zona franca su cui i nativi come gli statunitensi potevano spostarsi, ad esempio per la caccia.

lakota

L’assenza di chiare definizioni su questa terra degenerò quando si scoprì che nelle Black Hills si trovava l’oro. Migliaia di cercatori d’oro entrarono non solo in questa terra di nessuno ma anche nella riserva, pur non avendone alcun diritto, e l’esercito degli Stati Uniti, dopo aver tentato di scacciarli senza riuscire nel proposito, decise di cambiare tattica.

Ai Lakota furono offerti 6 milioni di dollari per l’acquisto delle terre in questione ma la proposta andò incontro alla ferma determinazione delle tribù di nativi di non lasciare le proprie terre.
Non mancò molto e il governo decise di utilizzare la forza intimando agli indiani di lasciare le terre che non appartenevano esplicitamente alla riserva entro l’inizio di febbraio 1876.

Si avvicina la battaglia

L’ultimatum era chiaramente pretestuoso e oltre a questo era impraticabile anche solo per l’impossibilità di avvertire in tempo utile tutte le tribù sparse per il territorio dato il loro carattere nomadico.
In primavera, partirono 3 colonne dell’esercito dirette verso i territori delle Black Hills, inviati dal governo per dar guerra ai nativi e ottenere i territori su cui erano attivi i cercatori d’oro (si stima che fossero all’incirca 15.000 a quel punto).

Il governo centrale aveva però grandemente sottostimato il numero dei nativi, supponendo che fossero solamente quelli delle tribù di Cavallo Pazzo e di Toro Seduto che si rifiutavano di riconoscere l’esistenza stessa della riserva. Tuttavia, arrivata l’estate, sopraggiunsero anche i nomadi estivi, sicuri del loro diritto di cacciare nella zona e portando il numero degli indigeni a diverse migliaia piuttosto che le centinaia supposte.

Le nazioni indiane Lakota e Cheyenne diedero battaglia e inflissero alcune sconfitte ai responsabili delle due colonne statunitensi. A quel punto il comandante George Armstrong Custer, già reduce dalla Guerra di Secessione grazie alla quale era considerato un eroe per i successi sul campo, giunse sul territorio alla ricerca dell’accampamento in cui si radunavano i nativi.

Questo si trovava nei pressi della valle del fiume Little Bighorn e nel piano degli ufficiali c’era l’intenzione di aggirarlo e attaccarlo da ovest mentre un altro ufficiale, Gibbon, avrebbe tagliato la ritirata degli indiani con la sua fanteria.
La mancata valutazione delle considerevoli distanze da coprire per la manovra di aggiramento fu un primo errore, ma Custer ne commise un altro quando decise di far marciare a tappe forzate il suo 7° Cavalleria, portandolo sì a pochi chilometri dall’accampamento indiano, ma riducendolo allo stremo nel tentativo di abbreviare i tempi.

Le cattive condizioni meteo e la mancanza di luce non consentirono a Custer di avere un buon punto di osservazione sul campo nemico e sebbene non avesse idea delle dimensioni effettive dell’accampamento e del suo posizionamento decise di dividere il regimento in 4 colonne, pensando di bloccare la fuga degli indiani.
Inviò una colonna verso sud promettendo un appoggio sicuro, però non mantenne l’impegno sicuro di poter attaccare l’accampamento da una serie di alture nei pressi del fiume.

La battaglia di Little Bighorn

Già provati dai lunghi spostamenti i soldati si videro costretti ad affrontare anche percorsi tortuosi su terreni accidentati e una delle colonne ritardò l’arrivo sulla tabella di marcia prevista.
Intorno alle 15 fu avviata una prima carica mentre Custer con la sua colonna si spostava sul crinale per mettere in opera il suo piano.
I nativi erano sostanzialmente più di quanti ne fossero stati previsti e, preoccupato per il contrattacco, il comandante a capo della prima colonna ordinò ai suoi soldati di arrestare la carica e di creare una linea difensiva a piedi appellandosi alla tecnica strategica della schermaglia.

La tecnica prevedeva che i soldati smontassero da cavallo e iniziassero a sparare ai nemici, tuttavia, il problema non abbastanza evidenziato dai manuali bellici dell’epoca, era che in tal modo circa un quarto dei soldati sarebbe stato costretto a badare ai cavalli, sottraendo in tal modo forza militare alla battaglia.
Del vuoto strategico approfittarono abilmente i nativi che iniziarono ad attaccare i soldati statunitensi alle spalle. La confusione generata dalla ritirata di questi ultimi consentì un ulteriore attacco da parte degli indiani che bloccarono i pochi superstiti su in promontorio nelle vicinanze.

Custer aveva assistito alla disfatta della prima colonna ma aveva scelto di attaccare comunque l’accampamento da nord e solo a quel punto si rese conto delle imponenti dimensioni dello stesso. Il generale realizzò di aver bisogno di un maggiore quantitativo di uomini, ma quando mandò a chiamare una delle altre due colonne che ancora non avevano preso parte al combattimento l’ufficiale in comando che si trovava più vicino decise di contravvenire agli ordini diretti e andare in soccorso della prima colonna.

Da questo momento in poi aleggia un mistero non ancora del tutto chiarito sull’andamento della battaglia, poiché è stato possibile ricostruirla solo sulla base delle testimonianze a posteriori dei nativi e dalla posizione dei bossoli e dei corpi sul campo di battaglia.

La più attendibile tra le ricostruzioni ipotizza che Custer ordinò infine l’attacco dell’accampamento ma per arrivarvi dovette guadare un fiume presso cui alcuni nativi furono in grado di rallentare l’avanzata del nemico e far sopraggiungere i loro rinforzi.
Probabilmente Custer si trovava proprio qui, ma non è dato saperlo con certezza.
Certo è invece che la carica fu una totale disfatta e che il 7° Cavalleria fu costretto alla ritirata senza poter in alcun modo approntare una controffensiva.

Il mito narra che l’attacco finale dei nativi fu guidato da Cavallo Pazzo che si scagliò contro Custer e i suoi che pur tentando un’ultima vana difesa furono uccisi.
Nella battaglia di Little Bighorn perirono 268 militari statunitensi e un imprecisato numero di nativi americani, probabilmente nell’ordine delle centinaia anche sul loro fronte.

La reazione dopo la sconfitta di Little Bighorn

I militari furono sepolti nel punto in cui erano morti e ancora oggi migliaia di visitatori, appassionati di storia e discendenti di coloro che combatterono a Little Bighorn si recano in questo luogo.

La reazione del governo statunitense fu durissima: la riserva dei Lakota fu posta sotto legge marziale, fu pretesa la consegna delle armi e dei cavalli e venne vietata la caccia al di fuori della riserva. Alle tribù ribelli furono tagliati i viveri e pretestuosamente vennero accusati di aver sconfinato, infine, gli Stati Uniti si presero ciò che premeva loro, la sovranità sul territorio delle Black Hills.

Dopo Little Bighorn nacque il mito di un generale Custer come di un eroe esempio di sacrificio e dedizione al suo paese, e a quest’immagine contribuirono i libri pubblicati dalla moglie sulle gesta del marito.
Alcuni contemporanei e i posteri però contestarono le sue scelte strategiche (come quella di non essersi dotato delle pesanti ma efficaci mitragliatrici per rimanere veloce nell’inseguimento del nemico) e gli attribuirono la sconfitta anche per l’arroganza di aver rifiutato l’aiuto di ulteriori 4 compagnie, ritenendo Custer che il suo reggimento sarebbe stato sufficiente.

Sebbene numerosi guerrieri nativi sostennero di aver ucciso il generale, il suo scalpo non fu prelevato come accadde a molti altri soldati. Il suo corpo venne dapprima seppellito insieme a quello dei suoi uomini sul campo, ma in un secondo momento venne spostato al cimitero militare di West Point a New York dove si trova dal 1877.

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