Quello dell’American Diabetes Association è uno dei congressi più importanti dell’anno nel campo della diabetologia. Anche quest’anno si è tenuto in formato virtuale e dal 25 al 29 giugno sono andate in scena sullo schermo dei computer di una platea mondiale oltre 180 sessioni e 1.000 presentazioni. Gli esperti della Società Italiana della Diabetologia, convinti che l’aggiornamento continuo sia uno strumento prezioso per la professione medica come per quella giornalistica, hanno seguito i lavori del congresso per presentare quindi alla stampa italiana un distillato delle principali novità, tendenze e conferme emerse da questo importante appuntamento scientifico. Il corso di formazione giornalistica ‘Best of ADA’, organizzato in collaborazione con il Master ‘La scienza nella pratica giornalistica -SGP’ dell’Università La Sapienza di Roma, è stato realizzato grazie al contributo non condizionato di Lilly e Astra Zeneca.
Gli studi ‘late-breaking’ presentati al congresso dell’ADA: GRADE, SURPASS, SOLOIST, SCORED
Trattare il diabete di tipo 2 va ben al di là del semplice controllo della glicemia e deve essere mirato a migliorare la qualità della vita dei pazienti, ritardando o scongiurando le complicanze della malattia. “Ad oggi – ricorda il professor Agostino Consoli, presidente della Società Italiana di Diabetologia – numerose molecole sono disponibili per il trattamento di questa forma di diabete e sta diventando complesso decidere quale sia la strategia migliore da adottare”. Un tentativo in questa direzione è stato fatto dallo studio GRADE, finanziato dai National Institutes of Health (NIH) americani e avviato nel 2015. Lo studio è stato condotto su 5 mila pazienti con diabete di tipo 2 in trattamento con metformina, ai quali, in caso di mancato controllo glicemico, poteva essere aggiunto uno tra i seguenti quattro farmaci: glimepiride, sitagliptin, liraglutide, insulina glargine. A 5 anni di distanza non sono emerse differenze sostanziali sulla glicemia tra i pazienti trattati con questi 4 farmaci, anche se la perdita di peso era maggiore con liraglutide e sitagliptin e gli eventi cardiovascolari maggiormente ridotti con liraglutide. “Di certo – sottolinea il professor Consoli – l’approccio ‘sequenziale’ al trattamento del diabete (cioè l’aggiunta di un farmaco per volta) risulta inadeguato a limitare la progressione della malattia. Altri studi suggeriscono che iniziare subito il trattamento con l’associazione di due farmaci potrebbe essere utile a modificare la progressione della malattia stessa. Tuttavia lo studio GRADE ha confermato che il trattamento con farmaci innovativi come gli agonisti recettoriali del GLP-1 può avere un impatto sul rischio cardiovascolare delle persone con diabete. Inoltre liraglutide in questo studio ha dimostrato di indurre una diminuzione del peso corporeo, con un bassissimo rischio di ipoglicemia”.
Tra le new entry della terapia del diabete di tipo 2 presentate all’ADA, molto promettente è terzipatide, un doppio agonista GLP-1/GIP, con una formulazione a lunga emivita, che ne consente la somministrazione una volta alla settimana, vagliata nel programma di studi di fase 3 SURPASS. “Il 90% dei pazienti – ricorda Consoli – ha raggiunto un target di HbA1c ottimale (< 7%). La molecola ha indotto anche un importante calo ponderale, con una perdita di peso che sfiora i 10 Kg in 40 settimane. Questi dati faranno parte del dossier registrativo di terzipatide sottomesso a FDA ed EMA. Ci auguriamo dunque di avere presto un’altra potente arma per rendere più facile ed efficace il trattamento delle persone con diabete mellito di tipo 2”.
“Lo scompenso cardiaco – ricorda il professor Angelo Avogaro, presidente eletto della Società Italiana di Diabetologia – è una delle complicanze più frequenti nel paziente con diabete di tipo 2 e si associa spesso anche ad una riduzione della funzione renale, dal momento che i due organi si influenzano reciprocamente“. “Tra i farmaci disponibili per il trattamento del diabete – ricorda il professor Avogaro – le gliflozine, inibitori del riassorbimento renale del glucosio, non solo riducono la glicemia ma proteggono anche il paziente diabetico (e non) dal rischio di scompenso cardiaco”. Alcune gliflozine, come canagliflozin e sotagliflozin, agiscono sia sul riassorbimento renale di glucosio, che su quello intestinale (‘duplici inibitori del riassorbimento di glucosio’). All’ADA sono stati presentati i dati combinati dei due trial SOLOIST-WHF e SCORED. “Sotagliflozin – ricorda Avogaro – ha ridotto del 33% il rischio di un end-point combinato di morte cardiovascolare, ospedalizzazione per scompenso cardiaco e visita urgente per scompenso, nei pazienti con scompenso cardiaco recente e malattia renale cronica. Un dato ancor più eclatante è che tale riduzione non è stata osservata, come negli altri trial, solo nei pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta, ma anche in quelli con scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata. SCORED e SOLOST-WHF hanno dunque confermato il ruolo fondamentale delle glifozine nel proteggere sia la funzione cardiaca, indipendentemente dal tipo di scompenso, sia la funzione renale. Sotagliflozin in particolare, inibendo anche il riassorbimento intestinale di glucosio, sembra portare un particolare beneficio alle persone abitualmente poco rappresentate nei grandi trials: le donne e gli anziani”.
La dieta “ideale” nel diabete (per trattarlo e prevenirlo)
Le sessioni sugli aspetti dietetici per la terapia e la prevenzione del diabete sono state seguite e commentate dalla professoressa Olga Vaccaro, ordinario di Endocrinologia, Università Federico II, Napoli- UOC di Diabetologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II, Napoli. Le ultime tendenze in questo campo superano il concetto dei ‘nutrienti’, per far spazio a quello degli ‘alimenti’, o meglio dei ‘modelli alimentari’, perché diverse combinazioni di alimenti sortiscono effetti metabolici differenti, dei quali non si può non tener conto. Inoltre la risposta metabolica agli alimenti non è la stessa in tutte le persone in quanto è controllata da fattori genetici che coinvolgono una molteplicità di geni, ed è anche potentemente modulata dallo stile di vita e da altre esposizioni ambientali. Sebbene non sia ancora possibile proporre una dieta basata sulla profilazione del ‘metabotipo’ viene ribadita l’assoluta necessità della personalizzazione della dieta (che deve tener conto anche delle diverse culture e condizioni socio-economiche), accanto all’implementazione degli aspetti educazionali, anche con il supporto di tecnologie digitali. La Dieta Mediterranea si conferma il modello alimentare più salutare sia per il trattamento del diabete che per la prevenzione delle malattie cardiovascolari ed è vincente peraltro anche dal punto di vista della sostenibilità economica e ambientale. Dieta e modifiche dello stile di vita hanno dimostrato negli studi di intervento, di poter prevenire almeno la metà dei nuovi casi di diabete di tipo 2.
Diabete e Covid-19: una relazione pericolosa
L’argomento dell’anno, anche al congresso dell’ADA è stato il COVID-19, nei suoi rapporti con il diabete. Diversi studi hanno cercato di dare una riposta a domande che richiedono un’urgente risposta per attuare le strategie di prevenzione, cura e gestione più appropriate per il paziente con diabete a rischio di contrarre, o che abbia contratto, l’infezione da SARS CoV-2. La sintesi degli studi sull’argomento è stata illustrata dal professor Gianluca Perseghin, membro del Comitato Scientifico Fondazione Diabete Ricerca ONLUS della SID, professore ordinario di Endocrinologia Dipartimento di Medicina e Chirurgia Università degli Studi Milano Bicocca, direttore Dipartimento Medicina Interna e Riabilitazione e responsabile Unità Dipartimentale di Endocrinologia Policlinico di Monza, Milano. Il diabete probabilmente non espone ad un rischio aumentato di contrarre l’infezione da SARS CoV-2, ma di certo nella persona con diabete il COVID-19 rischia di assumere i tratti di un’infezione molto grave, tale da richiedere il ricovero in ospedale, un supporto ventilatorio intensivo e anche il ricovero in terapia intensiva. L’iperglicemia di per sé, indipendentemente dalla diagnosi di diabete, appare associata ad una prognosi peggiore. Altro fattore di rischio emergente per un esito infausto dell’infezione da SARS-CoV 2 è la variabilità della glicemia nel corso del ricovero. Anche nei soggetti con diabete di tipo 1, sebbene in media più giovani di quelli con diabete di tipo 2, il COVID-19 ha una prognosi peggiore; a maggior rischio quelli con lunga durata di malattia, con complicanze cardio-vascolari del diabete e con sovrappeso/obesità. La buona notizia è che uno stretto controllo della glicemia durante il ricovero si associa ad una prognosi migliore nei soggetti diabetici, sia di tipo 1 che di tipo 2, con COVID-19. Scagionati dalle accuse di favorire l’infezione da SARS CoV-2 i farmaci antipertensivi delle classi degli ACE-inibitori e dei sartani. Sul fronte della terapia anti-diabete, lo studio DARE-19 presentato all’ADA dimostra che la somministrazione di dapagliflozin in corso di COVID-19 è sicura e non andrebbe dunque interrotta nei pazienti già in trattamento al momento dell’infezione. Il SARS CoV-2 infine non sembra esporre a maggior rischio di sviluppare diabete.
Proteggere i reni delle persone con diabete: novità terapeutiche e nuove linee guida
L’argomento ‘diabete e reni’ è stato presentato dalla professoressa Anna Solini membro del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Diabetologia e coordinatore del Comitato Didattico; professore associato di Medicina Interna, Università di Pisa –UOC di Medicina Interna I, Universitaria Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana. Il diabete è, insieme all’ipertensione, la principale causa di insufficienza renale terminale che presenta gravi implicazioni prognostiche ed è gravata a sua volta da un altissimo rischio cardiovascolare e da un’alta prevalenza di scompenso cardiaco. In termini di nefro-protezione farmacologica, sono emerse importanti conferme a favore degli SGLT2 inibitori, non solo dallo studio SOLOIST, ma anche da un’analisi più dettagliata dell’EMPEROR-Reduced, uno studio condotto con empagliflozin, che aveva dimostrato una significativa riduzione del rischio di ospedalizzazione per scompenso cardiaco e di morte cardiovascolare in soggetti con e senza diabete portatori di scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta. Un’osservazione rilevante emersa da recenti sotto-analisi dello studio EMPEROR è la straordinaria rapidità (già dai primissimi giorni di trattamento) della protezione esercitata nei confronti dello scompenso cardiaco, molto frequente nei pazienti con malattia renale cronica. Anche nei soggetti fragili con scompenso cardiaco si conferma l’effetto nefro-protettivo, con rallentamento della perdita del filtrato glomerulare che si allinea alla perdita fisiologica attesa per età (circa 1 ml/min/anno). Lo studio FIDELIO, condotto in pazienti con diabete e malattia renale cronica trattati con finerenone (un antagonista non steroideo dei mineralcorticoidi) ha dimostrato, per la prima volta per un farmaco di questa classe, una riduzione significativa della progressione verso l’insufficienza renale terminale, o di una riduzione importante (superiore al 40%) del filtrato glomerulare, o di morte per cause renali. Un altro dato interessante evidenziato in questo gruppo di pazienti è una significativa riduzione di comparsa di fibrillazione atriale, importante disturbo del ritmo cardiaco, frequente nei soggetti diabetici anziani. All’ADA è stata infine presentata l’edizione aggiornata delle Linee Guida KDIGO (Kidney Disease Improving Global Outcomes). Tra le principali novità: la ‘riabilitazione’ della metformina e un ridimensionamento del ruolo delle diete ipoproteiche nelle persone con diabete e malattia renale cronica. I farmaci fortemente raccomandati per la terapia di questi soggetti sono ACE inibitori/sartani e SGLT2 inibitori.
Diabete di tipo 1: nuove linee guida di trattamento, teplizumab, soluzioni anti-ipoglicemia, terapia biologica del diabete
Le numerose sessioni dedicate al diabete di tipo 1 sono state seguite e commentate dal professor Lorenzo Piemonti, membro del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Diabetologia, professore associato di Endocrinologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e visiting professor presso la Vrije Universiteit di Bruxelles, direttore del Diabetes Research Institute e Responsabile del programma di trapianti di isole umane presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano. Presentato al congresso dell’ADA il nuovo Consensus Report congiunto ADA/EASD per il trattamento del diabete di tipo 1 che ha rivisto l’algoritmo per la diagnosi di diabete di tipo 1, ha introdotto nuovi target glicemici che tengono conto anche dei parametri legati al monitoraggio continuo della glicemia (CGM) e ribadito la necessità di personalizzare la terapia (anche con l’ausilio della tecnologia) e l’alimentazione. Grande importanza viene riservata agli aspetti educazionali e psicologici della malattia. Nel campo dell’ipoglicemia, che resta uno dei principali problemi della terapia del diabete (lo studio Sage ha dimostrato che fino a 2 pazienti su 3 presentano un episodio di ipoglicemia in tre mesi di osservazione), le proposte terapeutiche ancora in fase preliminare di valutazione riguardano le ‘smart insulin’, formulazioni ‘intelligenti’ in grado di rilasciare principio attivo in funzione della glicemia e il trattamento con formulazioni di glucagone stabili (ormone controregolatore dell’insulina) in associazione all’insulina nel ‘pancreas artificiale biormonale’ la cui approvazione da parte dell’FDA dovrebbe arrivare nel 2023.
In tema di terapia preventiva del diabete di tipo 1, il teplizumab (un anticorpo monoclonale umanizzato anti-CD3) utilizzato nei soggetti ad alto rischio di sviluppare diabete di tipo 1, ha dimostrato di riuscire a ritardare la comparsa dei sintomi di diabete di circa 2 anni. L’Advisory Committee dell’FDA ha già dato parere positivo per questa indicazione e a giorni è attesa l’approvazione definitiva da parte dell’FDA. Il teplizumab diventerebbe così il primo trattamento della storia per la prevenzione del diabete di tipo 1. Sul fronte della cosiddetta ‘terapia biologica’ del diabete di tipo 1, la terapia sostitutiva con trapianto di pancreas e di isole è ormai contemplata negli algoritmi terapeutici del diabete di tipo 1, per i soggetti con diabete instabile/problematico, laddove la terapia tradizionale fallisca. Nel frattempo le evidenze sulla possibilità di trattare i pazienti con terapie basate su cellule staminali si sta rafforzando ed è stata presentata la prova di principio di funzione in studi di fase 2.