“I due forti terremoti del 5 febbraio 1783 nella Piana di Gioia Tauro e del 28 dicembre 1908 nello Stretto di Messina rappresentano un’occasione unica per esplorare il rapporto che intercorre tra l’esistenza di una grande faglia sismogenetica e l’espressione superficiale della sua attività“, “entrambi i terremoti appaiono essere stati generati da grandi faglie estensionali cieche, ovvero non direttamente visibili in superficie, ma che controllano strettamente l’evoluzione della geologia e del paesaggio. Il confronto tra le caratteristiche della sorgente sismica e l’evoluzione dello Stretto suggerisce inoltre che quello del 1908 sia un “terremoto caratteristico”, ovvero un evento che si ripete simile a sé stesso, e che ricorre con cadenza almeno millenaria“: è il sismologo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia Gianluca Valensise a ricostruire la storia, le caratteristiche sismiche e geologiche di quanto avvenuto nello Stretto di Messina negli ultimi secoli e a tracciare i contorni di quanto potrebbe avvenire in futuro.
L’approfondimento dedicato ai terremoti tra Calabria e Sicilia è tratto da “NISIO S. (Eds) (2021) – Giornate di Geologia & Storia. Memorie Descrittive della Carta Geologica d’Italia, Dipartimento per il Servizio Geologico d’Italia, ISPRA, 108: pp. 498“.
Un paradigma da rovesciare
Il terremoto “tra il 5 febbraio e il 28 aprile 1783 devastò buona parte della Calabria centrale e meridionale, attraverso almeno cinque forti scosse geograficamente e sismologicamente del tutto indipendenti tra loro,” ricorda l’esperto INGV, e, in seguito, l’evento del 28 dicembre 1908, “con una scossa singola ma potentissima, portò lutto e distruzione in tutta l’area a cavallo dello Stretto di Messina“.
Le catastrofi del 1783 e 1908 “ci insegnano che, ripetendosi nel tempo, il terremoto si configura come una forza creatrice, prima ancora che solamente come una forza distruttrice: creatrice di forme del paesaggio, di condizioni climatiche e ambientali, di risorse, di opportunità per l’uomo“.
L’approfondimento dedicato da Valensise ai terremoti nello Stretto di Messina “rovescia il paradigma antropocentrico in virtù del quale i terremoti ci interessano solo per i danni che possono causare” e al suo posto adotta invece “la prospettiva del geologo attento a capire come quegli stessi terremoti, e in generale i fenomeni geologici, rappresentino per molti versi non solo il respiro della Terra, ma anche il motore di molti eventi che riguardano la nostra presenza sul pianeta attraverso le diverse epoche storiche“.
Il 1908: un terremoto cruciale per la geodinamica del Mediterraneo centrale
Il terremoto del 28 dicembre 1908 nello Stretto di Messina, prosegue l’esperto INGV “è un caso piuttosto unico nel panorama della sismologia mondiale dell’inizio del XX secolo. Non tanto e non solo per le sue dimensioni (Mw 7,1), che lo rendono comunque il più forte terremoto registrato strumentalmente in Italia, o per le oltre 80.000 vittime provocate nelle grandi e floride città di Messina e Reggio Calabria, che si affacciano sullo stretto che separa la Sicilia dall’Italia peninsulare; e neppure per l’interesse suscitato nella comunità sismologica globale, come testimonia il lavoro condotto dallo scienziato giapponese Fusakichi Omori. Il terremoto del 1908 è unico anche perché i dati scientifici-storici che ce lo hanno descritto da molteplici punti di osservazione ci hanno anche permesso di indagarne l’origine con un livello di dettaglio del tutto inusuale per un terremoto avvenuto agli albori dell’epoca strumentale. Il ruolo dei dati storici nelle indagini sul terremoto del 1908 è stato quantomeno duplice. I primi sismogrammi, scritti da semplici strumenti meccanici ai primordi della Sismologia, e le osservazioni delle variazioni di quota causate dall’evento, basate invece su una tecnica geodetica all’epoca già abbastanza consolidata, hanno permesso di ipotizzare con buona approssimazione la geometria della faglia che lo ha causato. Questi stessi dati hanno inoltre permesso a diversi gruppi di sismologi di indagare il suo meccanismo focale, la sua storia di rottura e persino la sua distribuzione dello slip cosismico, ovvero della dislocazione cha ha avuto luogo tra i due lati del piano di faglia durante l’evento (prima figura in alto). Ma va ricordato che i dati strumentali furono integrati da rilievi ad altissima risoluzione condotti nelle zone più colpite a cura di celebri studiosi quali Giuseppe Mercalli, il padre delle moderne scale di intensità, e Mario Baratta, l’autore de “I terremoti d’Italia”, il primo moderno catalogo dei terremoti italiani. Questi rilievi hanno restituito un quadro molto dettagliato sia degli effetti secondari del terremoto sull’ambiente, ben sintetizzati da Caciagli e da Comerci et alii, sia dei danni subìti nella vasta regione colpita dal terremoto del 1908. Questa dovizia di dati ha consentito già agli studiosi di inizio ’900 di filtrare le osservazioni di danneggiamento alla luce della vulnerabilità di edifici e infrastrutture danneggiati e delle
caratteristiche dei terreni di fondazione, e quindi di valutare l’effettivo scuotimento del terreno e la sua distribuzione areale di dettaglio. La combinazione delle numerose osservazioni storico-strumentali si è rivelata cruciale per valutare la distribuzione e le caratteristiche del moto del suolo causato dal terremoto del 1908“. Ma perché questa valutazione era così importante? Per Valensise “la maggior parte delle indagini del terremoto del 1908 sono state stimolate non solo dalla legittima curiosità per un evento cruciale nella geodinamica del Mediterraneo centrale, e probabilmente anche una pietra miliare nella sismologia globale del suo tempo, ma anche dalla prevista costruzione di un attraversamento permanente dello Stretto di Messina, da realizzare con un ponte sospeso a campata unica di 3.300 m di lunghezza (si veda FIAMMENGHI et alii, 2009, per una revisione approfondita dei diversi progetti valutati). Pertanto, a seguito dell’avvio del progetto a metà degli anni ‘70, molta attività di ricerca è stata motivata – e in molti casi direttamente finanziata – dalla necessità di valutare la pericolosità sismica dell’area e di caratterizzare lo scuotimento del terreno che i pilastri del ponte subirebbero in caso di un grande terremoto nella zona. Il terremoto del 1908 è stato inevitabilmente scelto come terremoto di progetto per qualunque delle proposte di attraversamento permanente avanzate dalla comunità ingegneristica: una vera sfida, considerando che il terremoto del 1908 è ritenuto da molti avere un intervallo medio di ricorrenza di almeno un millennio, tanto che ad oggi una sua ripetizione è altamente improbabile, e che il progettato ponte ricade interamente nel near field della faglia, ovvero ad una distanza che implica accelerazioni attese molto significative e quasi certamente superiori a 1.0 g, dove g è l’accelerazione di gravità“.
Quello del 1908, sottolinea Valensise, è stato il primo terremoto italiano – e uno dei primi al mondo – che “è stato possibile studiare combinando osservazioni dirette di terreno con osservazioni strumentali simili a quelle disponibili per i terremoti odierni.
L’intera comunità scientifica del tempo fu coinvolta nel dibattito sulle cause del terremoto e del conseguente maremoto, e soprattutto sulla grande severità dei suoi effetti“.
A destra una sintesi estrema dei movimenti verticali che dominano nello Stretto di Messina, e che ne giustificano l’evoluzione recente e l’aspetto attuale.
“Il sollevamento a scala regionale e lo sprofondamento in corrispondenza delle aree sovrastanti le due grandi faglie attive, tra le più grandi di cui si abbia conoscenza in Italia, si sommano algebricamente, luogo per luogo: ma quale dei due processi avrà la meglio?”
Uno sguardo al futuro dello Stretto di Messina
“Si dice spesso che il compito principale del geologo, e particolarmente di quello che opera nel campo dei rischi naturali, consiste nel “ribaltare sul futuro la storia passata”, per poter fare predizioni che siano solidamente ancorate a quello che ci insegnano i dati di terreno: tutto questo nel rispetto sia dei concetti fondamentali enunciati dai padri della Geologia, sia dei principi fisici che presiedono all’evoluzione dei processi geologici,” prosegue l’esperto INGV nella sua analisi. Lo Stretto di Messina “è certamente uno dei luoghi del pianeta in cui queste affermazioni assumono maggior concretezza e rilevanza socio-economica. Iniziamo quindi dalla questione lasciata in sospeso: tra i due processi in competizione – il sollevamento complessivo di tutta la regione e lo sprofondamento che si localizza nello Stretto e al di sotto della Piana di Gioia Tauro – quale è destinato a prevalere? Potremmo scoprirlo raccogliendo tutte le numerose stime disponibili per la velocità dei due processi e confrontandole, ma esiste un modo più semplice, immediato e strettamente geologico per ottenere comunque la risposta cercata“.
La figura in alto “mostra l’evoluzione delle linee di riva cartografate da generazioni di studiosi nello Stretto di Messina e nella Piana di Gioia Tauro. La ricostruzione e datazione del terrazzo tirreniano, quello risalente a circa 125.000 anni fa (pannello di destra), è abbastanza solida, mentre per i terrazzi più antichi la letteratura mostra una certa variabilità. Ma nonostante questo, l’evidenza dei fenomeni geologici in atto è molto chiara, ed è riconducibile ai già ricordati due processi: a) il costante sollevamento dell’Aspromonte, che si ritiene iniziato tra 700.000 e un milione di anni fa, e che ha progressivamente aumentato la superficie emersa e la quota dei rilievi; e b) l’attività delle due grandi faglie est-pendenti che esistono al di sotto della Piana di Gioia Tauro e dello Stretto di Messina, tragicamente testimoniata dai terremoti rispettivamente del 5 febbraio 1783 e del 28 dicembre 1908, che si manifesta come un processo che rallenta localmente questo sollevamento“. La figura “documenta con immediatezza gli effetti nel tempo di questo meccanismo complessivo: a) prima di tutto evidenziando una differenza di stile tra i due bacini, che evidentemente partivano da quote strutturali diverse, tali per cui mentre lo Stretto di Messina è ancora occupato dal mare, la Piana di Gioia Tauro è ormai del tutto emersa; e poi b) mostrando che la velocità del sollevamento regionale, che si stima possa arrivare a 2,0 mm/anno, prevale decisamente rispetto alla velocità dello sprofondamento causato dall’attività delle grandi faglie che si trovano al di sotto dei due bacini. Ne è testimonianza incontrovertibile il progressivo avanzamento delle linee di riva sui due lati dello Stretto“.
Da queste osservazioni, evidenzia Valensise, “discende una conclusione che sarebbe arduo contestare: nello Stretto di Messina, il cui punto più profondo si trova oggi a circa 120 m di profondità, entro i prossimi 150.000 si potrebbe creare un ponte continentale simile a quello che si ritiene esistesse intorno a 18.000 anni fa, nel picco della glaciazione Würmiana, quando il livello del mare era oltre 120 m più basso dell’attuale. Questa circostanza renderebbe possibile attraversare lo Stretto a piedi e senza realizzare alcuna opera ad hoc. Si noti che l’emersione dello Stretto avverrebbe non per avvicinamento delle due masse corrispondenti ai Peloritani e all’Aspromonte – che in realtà non hanno mai smesso di allontanarsi, almeno da quando esiste la Faglia dello Stretto – ma solo grazie al progressivo sollevamento del fondale: questo ovviamente resta vero a meno di una repentina riduzione di velocità del sollevamento, uno scenario peraltro molto improbabile dal punto di vista geodinamico. Semplici osservazioni geologiche, dunque, dimostrano che la velocità con cui la Faglia dello Stretto produce lo sprofondamento dell’asse dello Stretto, che a sua volta è proporzionale allo slip rate della stessa faglia, è largamente inferiore alla velocità con cui il sollevamento sta procedendo. Si tratta di un risultato di per sé già importante, ma ovviamente solo la conoscenza dello slip rate ci può dare indicazioni sulla frequenza con cui questa faglia può generare forti terremoti. Tuttavia, trattandosi di una faglia cieca, difficilmente questo parametro potrà essere valutato direttamente con i metodi della Paleosismologia“.
Per stimare lo slip rate della Faglia dello Stretto, seppure in modo indiretto, VALENSISE & PANTOSTI (1992) “hanno ricostruito in dettaglio la quota della linea di riva tirreniana tra Scilla e Lazzaro, ai due estremi dello Stretto (figura in alto). Secondo la loro analisi, questa linea di riva varia in quota tra 100 e 170 m circa, valori che corrispondono a tassi di sollevamento tra 0,9 e 1,4 mm/anno. Gli stessi autori hanno anche mostrato che la quota attuale di questo importante marker geologico si accorda con l’andamento della subsidenza indotta dal terremoto del 1908 lungo la sponda calabrese dello Stretto. Ne hanno concluso che le variazioni di quota della linea di riva di 125.000 anni fa sono il risultato del ripetersi di eventi di dislocazione, ovvero terremoti, lungo la Faglia dello Stretto: la linea di riva tirreniana è più bassa nei punti in cui si avvicina alla regione di massima subsidenza osservata nel 1908, e più alta nelle aree che ricadono al di fuori della zona interessata dalla faglia stessa, ovvero alle estremità dello Stretto e al di fuori di esso“. In altre parole, “la quota attuale della linea di riva sarebbe per cosi dire “modulata” dalla sua maggiore o minore vicinanza alla Faglia dello Stretto. Questa circostanza, unita all’assenza di repentine variazioni di quota nell’andamento di questa linea di riva, è anche un’importante indicazione del fatto che nessuna delle diverse faglie che intercettano la linea di riva tirreniana, come la faglia di Reggio Calabria descritta da TORTORICI et alii (1995), è stata attiva in modo significativo tra l’epoca di formazione della linea di riva stessa e l’attuale: diversamente, essa risulterebbe interrotta e dislocata in maniera brusca e chiaramente riconoscibile. Questa conclusione è avvalorata dall’assenza di scalini nell’andamento della subsidenza indotta dal terremoto all’attraversamento di queste faglie, dalle osservazioni di Loperfido (1909), e dall’assenza di evidenze di riattivazione a seguito del terremoto del 1908 (CACIAGLI, 2008; COMERCI et alii, 2015, 2020)“.
Le faglie di superficie dello Stretto hanno quindi “un ruolo marginale nella sua evoluzione strutturale recente; dunque non possono avere un ruolo di rilievo nella costruzione del paesaggio, e tantomeno nei processi sismogenetici. Questa elaborazione ha consentito a VALENSISE & PANTOSTI (1992) di stimare un intervallo di ricorrenza di circa 1.000 anni per eventi tipo 1908, seppure con una forchetta di incertezza che va da 500 a 1.330 anni. Un intervallo lungo, a fronte della apparentemente elevata sismicità della Calabria, e che allontana molto nel tempo il verificarsi di una nuova catastrofe come quella del 1908; ma congruente sia con la assenza di terremoti simili al 1908 nel record storico disponibile (GUIDOBONI et alii, 2008), sia con alcune evidenze archeo-sismologiche (GUIDOBONI et alii,, 2000), secondo le quali nella seconda metà del quarto secolo si sarebbe verificato un terremoto di dimensioni paragonabili a quelle del 1908. Considerato che il valore medio della dislocazione cosismica stimata per il terremoto del 1908 è pari a 1,4 m, questo intervallo di ricorrenza porta a stimare uno slip rate medio di 1,4 mm /a, corrispondente a una velocità di subsidenza massima di 0,7 mm/a per la geometria della faglia data“.
Se tutte queste stime sono corrette, prosegue l’esperto INGV, “e se la Faglia dello Stretto è attiva da meno di un milione di anni, come indirettamente confermato da MONACO et alii (1996), ci si aspetterebbe di vedere morfologie correlate all’attività della faglia con un rilievo topografico massimo di circa 700 m. Invece, sia il rilievo topografico osservato tra i due lati dello Stretto e la sua porzione offshore, sia il rilievo strutturale del basamento cristallino sono superiori a 2.500 m. Solo una piccola parte di questo rilievo può essere spiegata dal sollevamento dell’intera regione che, secondo BORDONI & VALENSISE (1998), ha una lunghezza d’onda dell’ordine di 100 km e presenta un culmine proprio allo Stretto di Messina. Se ne deduce che l’accordo tra la presenza di una grande faglia normale al di sotto dello Stretto di Messina e la sua configurazione a Graben è in parte fortuita. Dati di sismica a riflessione di buona qualità (CERNOBORI et alii, 1996) mostrano infatti che l’area dello Stretto coincide con una fossa tettonica tardo-miocenica orientata da N-S a NE-SW. Ne consegue che la depressione strutturale che separa la Sicilia dall’Italia continentale, e che ha come evidenza in superficie proprio le faglie minori dello Stretto, come la già ricordata Faglia di Reggio Calabria, esisteva ben prima della nascita della faglia del 1908: un fenomeno ricorrente in molte aree sismiche italiane, tanto da essere descritto come mimicking in VALENSISE & PANTOSTI (2001)“.
Quella ricostruita dall’esperto INGV Gianluca Valensise è una storia geologica affascinante e molto articolata, ed è anche un formidabile esempio di come l’evoluzione geologica sia strettamente legata all’evoluzione di un paesaggio straordinario come quello dello Stretto di Messina. “E’ anche una storia che sarebbe stato difficile narrare senza poter contare su tutto ciò che abbiamo appreso dal terremoto del 1908, e in particolare dalla ricca documentazione prodotta ed elaborata da un gruppo di pionieri delle Scienze della Terra; un patrimonio unico che la storia ci ha trasferito perché potessimo trarne vantaggio ai nostri giorni,” conclude il sismologo.
Per approfondire, di seguito i link ISPRA all’articolo originale e alla pubblicazione “Giornate di Geologia & Storia”:
- VALENSISE G. – Navigando tra Geologia, Storia, Sismologia e Archeologia: i terremoti del 1783 e 1908 come chiavi di lettura dell’evoluzione recente dello Stretto di Messina
- Giornate di Geologia & Storia. Memorie Descrittive della Carta Geologica d’Italia, Dipartimento per il Servizio Geologico d’Italia, ISPRA