I trattamenti oncologici hanno fatto passi da gigante nell’ultimo decennio, anche grazie all’introduzione dell’immunoterapia. Per alcuni tumori però, gli effetti delle terapie oncologiche non sono ancora del tutto soddisfacenti. Tra le forme più difficili da trattare ci sono i tumori più frequenti del pancreas (gli adenocarcinomi duttali). Ma la ricerca, anche in questo campo, è molto attiva e sta producendo risultati che potrebbero presto portare a strategie innovative di cura. Per il tumore del pancreas, in particolare, un ruolo fondamentale nel ridurre l’efficacia dei trattamenti è svolto dal cosiddetto microambiente tumorale che in qualche modo fa da barriera alle cellule tumorali vere e proprie, proteggendole dall’attacco delle terapie, compresa l’immunoterapia. Uno studio preclinico condotto dai ricercatori della Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS-Università Cattolica del Sacro Cuore, in collaborazione con le Università di Verona e di Torino, e con l’Institute for system analysis and computer science”Antonio Ruberti” (IASI)-CNR, suggerisce una nuova possibile strategia per vincere la resistenza del microambiente tumorale e far arrivare al bersaglio le terapie oncologiche. I risultati sono appena stati pubblicati sul Journal of Immunotherapy of Cancer, organo ufficiale dellaSociety for Immunotherapy of Cancer(SITC).
“Dopo aver categorizzato diversi sottotipi di tumore del pancreas, in base a specifiche caratteristiche immunologiche, genomiche e molecolari – affermano Carmine Carbone e Geny Piro, biologi della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e primi autori dell’articolo – abbiamo selezionato quelli potenzialmente più sensibili a un trattamento in grado di modulare il microambiente ostile”. A questo punto, gli autori hanno cercato di ‘preparare il terreno’ all’immunoterapia, andando ad iniettare direttamente nel tumore del pancreas, trapiantato nel topo, un immunomodulatore (un TLR9-agonista, definito dalla sigla IMO-2125) da solo o in associazione all’immunoterapia (un anti-PD1) somministrata per via sistemica.
Successivamente, il tessuto tumorale e l’immunità sistemica sono stati studiati mediante citofluorimetria, immunoistochimica e analisi trascrittomica.
I ricercatori hanno dimostrato che l’iniezione di IMO-2125 da solo scatena la risposta immunitaria contro cellule tumorali locali e a distanza in alcuni sottotipi tumorali (quelli già altamente immunogeni). Quando iniettato in associazione all’immunoterapia, già utilizzata in diversi tipi di tumori, la combinazione di farmaci produce un importante effetto anti-tumorale, sia nel sito di iniezione sia a distanza, anche in tumori meno immunogeni. Questo effetto è preceduto dalla trasformazione del microambiente tumorale che diventa ‘immuno-permissivo’, cioè caratterizzato dall’infiltrazione di cellule dendritiche e cellule T, i ‘soldati’ che verranno poi reclutati dall’immunoterapia per distruggere le cellule tumorali.
In conclusione, lo studio dimostra che l’associazione di IMO-2125 (iniettato direttamente nel tessuto tumorale) e dell’immunoterapia (anti-PD1) somministrata per via sistemica esercitano una potente attività anti-tumorale anche in animali di laboratorio con adenocarcinoma duttale pancreatico normalmente refrattari all’immunoterapia. Questo effetto di ‘ricondizionamento’ del tumore, tale da portarlo a rispondere all’immunoterapia, è reso possibile dalla modulazione immunologica del microambiente tumorale operata dall’iniezione dell’immunomodulatore. Secondo gli autori dell’articolo, questi risultati forniscono il razionale per l’applicazione clinica di questa strategia caratterizzata da un approccio terapeutico innovativo, che combina trattamenti locali e sistemici. I tempi sono cioè maturi per sperimentare questa strategia innovativa negli esseri umani.
“Si tratta della prima dimostrazione, per ora preclinica, della possibilità di ricondizionare il microambiente tumorale del pancreas attraverso un’iniezione locale di un immunomodulatore, del quale il mio gruppo aveva scoperto in passato alcuni meccanismi d’azione, e che è già oggetto di sperimentazioni cliniche in pazienti affetti da diversi tipi di tumori,” afferma il professor Giampaolo Tortora, Direttore del Comprehensive Cancer Center della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e professore Ordinario di Oncologia medica Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma, e coordinatore dello studio. “Questo immunomodulatore – prosegue il professor Tortora – rende alcuni sottogruppi di tumori del pancreas molto sensibili all’immunoterapia, sia localmente che a distanza (es. metastasi linfonodali), con farmaci inibitori dei checkpointche già usiamo in clinica. Questa doppia strategia terapeutica di iniezione intra-tumorale di un immunomediatore seguita da immunoterapia sistemica, potrebbe essere quindi valutata in clinica nei tumori del pancreas, purtroppo refrattari all’immunoterapia tradizionale. Infatti, alla luce dei risultati ottenuti con questo studio preclinico, abbiamo progettato uno studio clinico di fase I/II, che speriamo possa partire il prossimo anno“.
Lo studio è stato condotto da diversi gruppi di ricerca, nell’ambito di progetti tutti sostenuti dalla Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro.
L’adenocarcinoma duttale del pancreas rappresenta la quarta principale causa di morte per tumore nei Paesi industrializzati e si stima che entro il 2030 diventerà la seconda causa di morte tra tutti i tumori. Questo tumore è così aggressivo perché la maggior parte dei pazienti viene diagnosticata in fase metastatica e solo il 15-20% è candidabile da subito all’intervento chirurgico. Anche nei pazienti operati sono comuni le recidive di malattia (nell’80% dei casi entro 2 anni dall’intervento) e la risposta ai trattamenti sistemici (compresa l’immunoterapia) è al momento largamente insoddisfacente. Ogni anno si registrano in Italia oltre 13 mila nuovi casi di adenocarcinoma del pancreas.
La Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS è un centro di riferimento nazionale per il trattamento di questo tumore, grazie alla presenza di specialisti che lavorano in team multidisciplinari e di ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore che svolgono ricerca traslazionale su queste patologia.