24 ottobre 1929: il giovedì nero del crollo del ‘29

Le conseguenze della speculazione in borsa, dell'estensione indiscriminata del credito e della sovrapproduzione si abbatterono sull'economia mondiale il 24 ottobre 1929, il giovedì nero del crollo di Wall Street del '29
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Con i termini “crollo di Wall Street”, “crollo del ‘29” o “crisi del ‘29” ci si riferisce alla crisi economica che alla fine degli anni Venti del Novecento colpì dapprima l’economia statunitense e poi quella mondiale portando a una riduzione su scala globale della produzione, dei consumi, dell’occupazione, dei redditi, dei salari e dei risparmi.

Il momento in cui questo evento emerse fu il 24 ottobre 1929, il cosiddetto giovedì nero, quando 13 milioni di azioni furono vendute provocando un ribasso dell’indice superiore ai 50 punti percentuali. Ma le cause che portarono a questo evento sono da ricercarsi nella scellerata speculazione in borsa degli anni precedenti e nell’abuso dell’estensione del credito, nonché nella sovrapproduzione che si era accumulata nelle industrie di tutto il Paese.

Le cause del crollo della borsa

crisi del 29Il sistema economico mondiale era stato concepito sul modello americano che si basava fino al 1929 sul postulato dell’ottimismo. La produzione non era limitata da nessun freno politico e di conseguenza esisteva il rischio della sovrapproduzione. Per smaltire le scorte dei beni e continuare a produrre sempre di più, venne sviluppato, grazie alle banche che ne traevano profitti notevoli, il credito ai privati.

Con grandi campagne pubblicitarie proprio i privati venivano invitati a comperare subito anche a costo di gravare per lunghi periodi sui redditi futuri. Nel momento in cui, per qualunque ragione, il credito fosse stato ristretto bruscamente, era facile prevedere che si sarebbe andati incontro a una diminuzione degli acquisti, l’accumulo delle scorte e da lì il verificarsi del crollo dei prezzi.

Fu proprio questo il meccanismo che si mise in moto negli Stati Uniti che rivestivano un ruolo predominante nell’economia e che comportò il coinvolgimento di tutto il resto del mondo.

All’origine del processo fu la crisi di fiducia legata all’eccesso della speculazione in borsa, la crisi avrebbe dovuto cominciare anche prima nel ’27 quando gli investimenti smisero di aumentare e gli stipendi si stazionarono, alcune vendite come quelle delle automobili subirono una flessione e la speculazione in borsa diede l’illusione del perdurare del progresso.
Le banche agevolarono il credito ulteriormente ma le industrie non ne avevano bisogno perché avevano accumulato ampie riserve.
I crediti vennero quindi utilizzati per la speculazione edilizia e per quella in borsa.

Vennero costituite le investiment trusts, società puramente finanziare il cui scopo era quello di acquistare azioni e rivendere a un prezzo maggiorato.
Alle azioni che costituivano titoli di proprietà delle imprese che rappresentavano un capitale investito, se ne aggiunsero altre che rappresentavano un capitale esclusivamente azionario. In tal modo si crearono immense ricchezze senza che vi fosse una contropartita di lavoro e/o produzione, che svanirono con la stessa velocità con la quale si erano accumulate.

Dal gennaio ’25 a quello del ’29 il valore globale di quotazione in borsa dei titoli passò da 27 a 67 miliardi, il valore medio però aumentò solamente da 62 a 89 dollari, ma il volume dei titoli in movimento passò da 433 a 757 milioni.
Questa follia speculativa si esasperò sino all’ottobre del ’29 con l’emissione di circa 300 milioni di titoli nuovi.

Il giovedì nero

Il 24 ottobre 1929, a seguito di molte settimane di incertezza, la borsa di New York cadde nel panico quando 13 milioni di azioni furono vendute.
Le vendite continuarono fino a dicembre e la caduta media dei valori industriali raggiunse il 32%. Questo perché molti titoli quotati erano puramente speculativi senza che fossero economicamente giustificati.

Il giovedì nero non fu la causa della crisi ma il momento in cui la crisi prese avvio in modo visibile e che mise in luce quello che la speculazione aveva tenuto celato, ovvero la sovrapproduzione e l’eccesso di credito.

Pochi giorni dopo, martedì 29 ottobre, che viene ricordato come il martedì nero, l’America assistette inerme al crollo del New York Stock Exchange con più di 16 milioni di azioni che passarono di mano a prezzi in caduta verticale.

Le banche che possedevano nel loro portafoglio delle grosse quantità di azioni reagirono restringendo il credito al consumo, nonostante ciò, molte fallirono negli anni a seguire.

L’acquisto dei prodotti dell’industria e dell’agricoltura si ridusse e siccome la sovrapproduzione aveva fatto accumulare le scorte, i prezzi iniziarono a diminuire pericolosamente determinando la bancarotta di moltissime piccole imprese commerciali e industriali.

Le grandi imprese che avevano delle scorte cercarono di far fronte alle scadenze più urgenti riducendo la produzione, licenziando personale,, diminuendo gli orari di lavoro e i salari degli operai che tenevano ma anche limitando l’acquisto di materie prime.

La disoccupazione dilagò e provocò un circolo vizioso: l’aumento dei disoccupati portava alla diminuzione dei consumi, quindi a una minore richiesta di mercato e a nuove restrizioni nella produzione e aumento conseguente di nuovi disoccupati.

I disoccupati passarono da circa 2 milioni del 1929 a circa 14 milioni nel 1932, e tutto il sistema economico ne risultò duramente colpito, con il commercio estero che accusò le conseguenze con le importazioni che passarono dai 4.400 milioni di dollari del ’29 a solo 1.323 milioni nel ’33. Le esportazioni si ridussero invece di circa 4/5.
La diminuzione dei salari fu del 40%, che provocò un vertiginoso abbassamento dei livelli di vita.

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