La campagna di scavi che si è da poco conclusa a Mozia dall’Università Sapienza di Roma e dalla Soprintendenza dei beni culturali di Trapani ha portato in luce un importante reperto raffigurante la dea Astarte, Si tratta della Grande Madre fenicia e cananea, sposa di Adon, legata al cielo notturno, alla fertilità, alla fecondità ed alla guerra e connessa con l’Ištar babilonese. I maggiori centri di culto furono Sidone, Tiro e Biblo. Era venerata anche a Malta, a Tharros in Sardegna, ed Erice in Sicilia, dove venne identificata con Venere Ericina. Sempre in Sicilia, il nome Mistretta, un paese sui Nebrodi, deriva dal fenicio AM-ASHTART, ossia città di Astarte.
Quella rinvenuta in Sicilia è una figura in terracotta con il volto bianco lucente e i capelli rossi e ricci. Poco distante è stata trovata una rosetta a rilievo con tracce di doratura: si tratta di uno dei simboli più diffusi e popolari in Oriente e nel Mediterraneo, che ci conferma trattarsi con certezza della dea fenicia. La campagna di scavi è stata diretta da Lorenzo Nigro e da un team di ricerca di cui hanno fatto parte diversi giovani ricercatori e studenti. L’immagine è databile tra il 520 e il 480 a.C., ovvero almeno un secolo prima di quando, nell’imminenza dell’attacco di Dionigi di Siracusa che distrusse Mozia nel 397/6 a.C., fu ritualmente nascosta poco fuori del recinto sacro, in un punto facilmente individuabile e ben protetto.
La figura della dea è stata restaurata nei giorni scorsi da Salvatore Tricoli. “Quella che stiamo vivendo è una stagione veramente emozionante per la ricchezza dei ritrovamenti che accendono in tutta la Sicilia l’entusiasmo per la scoperta e riportano nella nostra terra università ed esperti da tutto il mondo – ha detto l’assessore regionale dei Beni culturali e dell’Identità siciliana, Alberto Samonà -. Abbiamo puntato sulla ripresa degli scavi archeologici in Sicilia in quella che ci piace definire come la ‘primavera dell’archeologia’ nell’Isola”.
La testa di Astarte è stata rinvenuta all’interno di una stipe, una fossa circolare di circa un metro di diametro, accanto ad altri due oggetti, sempre in terracotta: un disco con la rappresentazione di una rosetta a rilievo e uno stampo raffigurante un delfino dal grande occhio naïve, che hanno portato alla scoperta del volto di Astarte. L’effige si trovava al centro della stipe, deposta, rovesciata, sullo strato di ocra. Il volto, che è di grande bellezza e grazia, rappresenta una dea astrale (come indica la rosetta dorata) e marina (come indica il delfino dal grande occhio naïve), Signora della vita, della riproduzione, dell’amore, ma anche del mare e della navigazione, delle acque dolci e di quelle marine, quelle stesse acque che i Fenici attraversarono per unire le culture dei popoli del Mediterraneo.
“Il ritrovamento ci ha mozzato il fiato“, ha dichiarato il prof. Lorenzo Nigro, docente di Archeologia e Storia dell’arte del vicino Oriente antico all’Università “La Sapienza” di Roma, che dal 2002 coordina le campagne di scavi di una missione dell’Ateneo a Mothia. “Dopo tanti anni di scavo – spiega Nigro – la continuità della ricerca archeologica ha portato il suo frutto. La dea ci si è mostrata così, in tutto il suo splendore, dieci anni dopo che era stato scavato il suo tempio e che si era capito, prima dai ritrovamenti, poi da due iscrizioni, che era dedicato proprio ad Astarte/Afrodite“.
La scoperta è stata fatta nella parte meridionale dell’isola a pochi metri dal muro del Tèmenos, il recinto dell’area sacra del Kothon, nella zona alla cui base c’era un’àncora antichissima, riconosciuta da Sebastiano Tusa come di un tipo del II millennio a.C.. “Proprio da quest’insolito monumento – aggiunge Nigro – si è deciso di riprendere le indagini nella campagna del 2021. Esattamente davanti all’àncora, è stata scoperta una stipe, di circa 1 metro di diametro, delimitata da mattoni crudi rossi. Al centro della stipe era deposta, rovesciata sullo strato di ocra, una protome femminile in terracotta raffigurante il volto della dea Astarte/Afrodite: splendente, luminosa, come la definisce l’epiteto Aglaia ritrovato iscritto sul fondo di un vaso offerto nel tempio e come la ha mostrata ai nostri occhi pochi giorni or sono la mano esperta del maestro restauratore Salvatore Tricoli, con la decorazione dipinta bianca lucente nell’incarnato, rossa fiammante tra i riccioli dei capelli e dorata nell’ampio diadema divino“.
“La dea è fenicia – spiega il professor Nigro – lo rivela il disco con la rosetta, uno dei simboli più diffusi e popolari di Astarte, attestato in tutto il Vicino Oriente e nel Mediterraneo fino agli esemplari d’oro del Tesoro del Carambolo in Andalusia. Le indagini archeologiche condotte dalla Missione dell’Università di Roma ‘La Sapienza’ e dalla Soprintendenza regionale di Trapani nell’area più meridionale dell’isola di Mozia sin dal 2002 hanno completamente rivoluzionato le conoscenze sulla più antica città fenicia della Sicilia: la grande piscina rettangolare di 52,5 m di lunghezza non era un porto o un’installazione navale, bensì il centro di un’ampia area sacra, delimitata da un Tèmenos Circolare di 118 m di diametro, con tre templi maggiori disposti radialmente lungo il perimetro. L’area era dedicata al dio Baal, la principale divinità dei Fenici, signore delle acque marine e sotterranee, dio della tempesta e della fecondità e alla sua compagna, la dea Astarte, cui era dedicato un piccolo, ma antichissimo tempio, costruito nel settore più settentrionale del recinto sacro, in direzione di Erice, dove sorgeva il grande santuario della stessa dea Astarte/Afrodite/Venere. E’ da lì che è ricominciata la ricerca di Astarte di Mozia, la grande dea fenicia che, giunta in Sicilia con i Fenici, si era fusa con le dee dei popoli che già abitavano questa terra“.