Sono circa 50 grandi le città costiere nel mondo che dovranno mettere in campo “misure di adattamento senza precedenti” per evitare che l’aumento del livello del mare, causato dall’innalzamento delle temperature globali, inghiotta le loro aree popolate. E’ quanto emerso da un nuovo studio condotto da Climate central, un gruppo di ricerca americano. L’analisi, svolta in collaborazione con i ricercatori della Princeton University e del Potsdam Institute for Climate impact Research in Germania, ha mostrato come sarebbero queste città se il pianeta arrivasse a una temperatura media superiore di tre gradi celsius rispetto ai livelli pre-industriali. Una situazione che potrebbe verificarsi, secondo le previsioni più pessimistiche, già nel 2060 o nel 2070, se le emissioni di gas serra dovessero continuare a salire anche dopo il 2050.
Le infrastrutture costiere di protezione contro gli effetti del cambiamento climatico hanno però un costo non da poco. Grandi potenze come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna potrebbero ovviamente permettersele, ma i Paesi più poveri resterebbero indietro, anche in questo. E nemmeno le piccole nazioni insulari circondate da mangrovie e barriere coralline sarebbero al sicuro: il riscaldamento globale, causando l’acidificazione degli oceani, potrebbe minacciare queste difese naturali. Secondo il rapporto, le isole che dovrebbero far fronte a una “perdita quasi totale” di terreni e otto delle prime dieci aree esposte all’innalzamento del livello del mare si trovano in Asia. Qui circa 600 milioni di persone sarebbero a rischio inondazioni a lungo termine, 200 milioni delle quali solo in Cina, anche se il riscaldamento globale si manterrà sotto i tre gradi. Ed è proprio la Cina, dove 43 milioni di persone vivono in zone che potrebbero essere inghiottite entro il 2100 se venisse superato il limite dei tre gradi, ad essere tra i cinque Paesi più vulnerabili da questo punto di vista, insieme a India, Vietnam e Indonesia.
Con una temperatura media superiore di tre gradi rispetto ai livelli preindustriali l’alta marea potrebbe invadere in tutto il mondo aree popolate da oltre 800 milioni di persone. Nello scenario più ottimistico, ovvero se si riuscisse a limitare l’innalzamento a 1,5 gradi, le persone interessate sarebbero comunque circa 510 milioni.
Già oggi il mondo è più caldo di circa 1,2 gradi. Per avere una maggiore possibilità di limitare l’aumento sotto gli 1,5 gradi rispetto ai livelli pre-industriali, ovvero la soglia per evitare gli impatti più gravi della crisi climatica, quasi il 60 per cento del petrolio e del gas naturale rimanenti sulla Terra e il 90 per cento delle sue riserve di carbone dovrebbero rimanere nel suolo entro il 2050. Nel prossimo novembre, i leader mondiali si riuniranno a Glasgow, in Scozia, per la Cop 26, il summit sul clima delle Nazioni Unite. Si discuterà su un’ulteriore limitazione delle emissioni di gas a effetto serra, così come della quantità di finanziamenti con cui le nazioni sviluppate si impegneranno ad aiutare il Sud del mondo ad allontanarsi dai combustibili fossili e adattarsi alle sfide imposte dalla crisi climatica.