Sulla terza dose di vaccino si profilano sempre di più tempi e modalità. Chi ha ricevuto le prime due dosi con un vaccino ad adenovirus, come AstraZeneca o Johnson&Johnson, non potrà ripetere il vaccino già avuto, ma dovrà completare il ciclo con un vaccino a base di RNA messaggero (mRNA) come Pfizer o Moderna. E’ quanto dichiarato da Andrea Gori, docente di Malattie Infettive all’università di Milano, rispondendo questa sera alle domande dei giornalisti di UNAMSI (Unione Nazionale Medico Scientifica di Informazione).
“Questo perché – ha spiegato Gori – essendo stato veicolato il messaggio dall’ adenovettore, questo induce comunque una risposta anticorpale nei confronti dell’adenovettore stesso, per cui, quando vaccino con AstraZeneca non solo induco una risposta contro il coronavirus ma induco anche una risposta contro il vaccino stesso. E se faccio una terza dose di AstraZeneca il vaccino viene inattivato dagli anticorpi in maniera rapidissima. E non sarebbe assolutamente efficace“. Al contrario, in chi ha avuto Pfizer o Moderna questo non succede, perché non c’è da parte dell’organismo la produzione di anticorpi anti mRNA.
“Per cui – precisa il professore – noi possiamo ripeter quanto vogliamo un vaccino a mRNA. Ragione per la quale tutte le persone andranno incontro a una terza dose con Pfizer o Moderna“. E’ convinzione dell’infettivologo milanese che “tutti andremo a completare il ciclo vaccinale con la terza dose. Cominceremo con chi si è vaccinato per primo e con le persone a rischio, quindi gli ultra75enni. Che sono anche quelli che rispondono meno alla vaccinazione“. Ma anche per le persone fragili, a rischio “la terza dose deve essere fatta non prima dei sei mesi dalla seconda”.
“Vedremo se dopo la terza dose – aggiunge Gori – la vaccinazione possa essere in grado di mantenere l’immunità e per quanto tempo. La vera domanda è dobbiamo vaccinarci tutti gli anni come facciamo per l’influenza o no?” L’infettivologo ha spiegato che per l’influenza dobbiamo vaccinarci non tanto per la perdita dell’immunità quanto perché ogni anno il virus tende a mutare. “Però – precisa – muta molto più facilmente di un coronavirus, per cui sulla base di quello che circola nell’anno precedente si fanno le combinazioni per andare a coprire le diverse varianti”.
Ma “nessuno sa oggi al mondo se dovremo avere un comportamento simile. Questo dipenderà molto, a mio avviso – dice Gori – dall’emergenza di nuove varianti. Se il virus dovesse essere stabile così come è adesso, non avremmo bisogno di vaccinarci“. Per l’infettivologo milanese l’interrogativo ‘varianti’, oggi, assieme alla problematica dei no vax, “è il punto fondamentale“. Perché – spiega – che cosa stimola l’emergenza di nuove varianti? L’alta circolazione del virus. “Per cui più noi riusciamo ad abbattere la circolazione del virus nella popolazione in generale, e quindi nei non vaccinati, meno probabile sarà la comparsa di varianti“. Anche se “non dobbiamo dimenticare – conclude Gori – che il rischio della variante è un rischio planetario (oggi abbiamo la variante Delta indiana, prima avevamo l’Alfa inglese, prima ancora c’era il virus di Wuhan, ognuna 70 volte più contagiosa della precedente). E sappiamo che ci sono molte parti del mondo, prima di tutto l’Africa, in cui i vaccinati sono pochissimi“.