Tumori del sangue: la ricerca italiana guida la nuova era della cura

Studi condotti nel nostro Paese stanno modificando la storia di neoplasie finora prive di alternative
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La ricerca italiana apre nuove strade nella cura dei tumori del sangue. Oggi il 70% dei pazienti colpiti da patologie oncoematologiche è vivo a 10 anni dalla diagnosi o può essere considerato guarito. Negli ultimi 24 mesi, la storia di due neoplasie del sangue è cambiata radicalmente, proprio grazie a studi condotti nel nostro Paese che guidano il fronte più avanzato dell’immunoterapia con le CAR T e gli anticorpi bispecifici. Nei linfomi aggressivi, è vivo il 40% dei pazienti trattati con la terapia cellulare con CAR T. Prima dell’arrivo di questi trattamenti, solo il 5% sopravviveva a 6 mesi. E, nella leucemia linfoblastica acuta, gli anticorpi bispecifici permettono di costruire un “ponte” tra il tumore e le cellule di difesa del sistema immunitario, con risultati molto importanti: ottiene la remissione il 98% dei pazienti trattati con questo approccio innovativo, senza chemioterapia. Il fronte più avanzato della ricerca nelle malattie del sangue è presentato in conferenza stampa al 48° Congresso Nazionale della Società Italiana di Ematologia (SIE) in corso a Milano.

I tumori del sangue più frequenti sono i linfomi, le leucemie e il mieloma multiplo, che ogni anno in Italia fanno registrare circa 30mila nuovi casi, di cui oltre 13mila sono linfomi non Hodgkin – afferma Paolo Corradini, Presidente SIE –. Il ‘mondo’ dell’ematologia è cambiato profondamente nell’ultimo biennio, oggi entriamo nell’era post covid. E la ricerca del nostro Paese apre nuove strade. Uno studio tutto italiano su 190 pazienti con linfoma non Hodgkin aggressivo ha evidenziato che il 40% guarisce grazie alla terapia cellulare con CAR T. Un risultato ottenuto con una singola infusione, quindi senza necessità di terapia di mantenimento, in persone prive di ogni alternativa terapeutica. Le CAR T si basano sui linfociti del paziente modificati geneticamente. Il procedimento è complesso e comprende varie fasi: dalla raccolta dei linfociti T dal sangue, alla loro ingegnerizzazione ed espansione in laboratorio, fino alla reinfusione nel paziente”. “Grazie a questo approccio – continua il prof. Corradini -, si stanno evidenziando risultati significativi in persone che hanno esaurito ogni alternativa terapeutica anche nel mieloma multiplo. La malattia fa registrare 5.800 nuovi casi ogni anno in Italia. Nello studio KarMMa su 128 pazienti pesantemente pretrattati, il tasso di risposta globale ha raggiunto il 73%. La sopravvivenza globale mediana ha superato i due anni. Risultati molto importanti, se pensiamo che per questi pazienti con mieloma multiplo privi di alternative di cura, prima dell’arrivo delle CAR T, l’aspettativa mediana di vita era compresa fra 6 e 9 mesi”.

La nuova frontiera dell’immunoterapia è costituita anche dagli anticorpi bispecifici, che stanno rivoluzionando la cura della leucemia linfoblastica acuta, tumore raro dei linfociti, che causa ogni anno quasi 800 nuove diagnosi nel nostro Paese. “È però il più frequente in età pediatrica: rappresenta l’80% delle leucemie e circa il 25% di tutti i tumori negli under 14 – spiega Pier Luigi Zinzani, Presidente Commissione Attività Formative della SIE -. L’incidenza raggiunge il picco tra i 2 e i 5 anni e poi cala con l’aumentare dell’età. Due studi italiani possono cambiare la storia della malattia. Nel primo, su 149 pazienti, grazie alla combinazione della sequenza costituita dalla chemioterapia con un anticorpo bispecifico, è stata evidenziata una risposta completa del 90% e la remissione molecolare è passata dal 73% al 96% dopo l’aggiunta dell’anticorpo. Quest’ultimo parametro indica l’impossibilità di visualizzare una minima quantità di cellule malate con un test molecolare. Il secondo studio dimostra che è possibile trattare la malattia senza la chemioterapia, combinando una terapia mirata con l’anticorpo bispecifico. La remissione è stata ottenuta nel 98% dei casi. L’anticorpo bispecifico è alla base di un nuovo principio di cura, una forma innovativa di immunoterapia: crea un ‘ponte’ tra due proteine diverse, il recettore espresso sulla superficie delle cellule T e quello sulla superficie delle cellule B. In questo modo il sistema immunitario viene stimolato a riconoscere le cellule tumorali e a combatterle”.

La terapia genica apre nuovi fronti anche nella beta talassemia. “In Italia, uno dei Paesi al mondo più colpiti, vivono circa 7.000 pazienti con questa malattia genetica, ereditaria, causata da un difetto di produzione dell’emoglobina, la proteina responsabile del trasporto di ossigeno in tutto l’organismo – sottolinea Emanuele Angelucci, Vice Presidente SIE -. Sono costretti a sottoporsi a regolari trasfusioni di sangue ad intervalli di 2-3 settimane per tutta la vita. E assumono ogni giorno una terapia ferrochelante, per limitare l’accumulo di ferro in organi come cuore, fegato e pancreas. Uno studio internazionale, presentato al Congresso SIE dal prof. Franco Locatelli, Presidente del Consiglio Superiore di Sanità, ha evidenziato che la terapia genica è in grado di ottenere in questi pazienti la indipendenza dal fabbisogno trasfusionale. In questo studio l’indipendenza dalle trasfusioni è stata ottenuta in 35 su 44 pazienti sottoposti alla terapia genica. Prima che la terapia genica diventi realmente disponibile ci saranno da definire diversi aspetti, tra cui il problema della sostenibilità delle terapie innovative molto costose, delineando nuovi modelli per garantire l’accesso a tutti i pazienti”.

Uno studio promosso dalla SIE lo scorso anno ha evidenziato un tasso di mortalità pari al 37% nei pazienti ematologici contagiati dal Covid-19 nel periodo da febbraio a maggio 2020. Ciò rende indispensabile vaccinare tutti i pazienti ematologici. “Tuttavia sappiamo che la vaccinazione anti-SARS-CoV-2 potrebbe essere meno efficace nelle persone colpite da una patologia ematologica neoplastica e in trattamento attivo con chemioterapia – spiega Sergio Siragusa, Vice Presidente SIE -. Quasi tutte le terapie ematologiche, infatti, sono immunosoppressive e ciò potrebbe rendere meno efficace, ma non pericolosa, la vaccinazione. A tal proposito SIE ha prodotto linee guida sulla gestione della vaccinazione anti Covid nei pazienti affetti da malattie ematologiche neoplastiche e benigne. In entrambi i casi, infatti, il tipo e timing della vaccinazione devono tener conto della concomitante terapia e della gravità della patologia di base, fermo restando che nessuna patologia ematologica e la sua terapia costituiscono una controindicazione alla vaccinazione. Anzi, la vaccinazione non solo protegge i pazienti dai rischi di complicanze infettive ma anche da quelle trombotiche che colpiscono dal 4 al 20% dei pazienti con infezione attiva da Covid-19. I casi estremamente rari di trombosi atipiche registrati in donne di età inferiore a 50 anni e sottoposte a vaccino con vettore virale sono ancora oggetto di studio. La SIE ha prodotto un consenso di esperti circa la gestione dei pazienti che possono presentare segni o sintomi suggestivi di tali rarissime complicanze; ad oggi, non sono stati registrati nuovi casi in Italia. In generale, la SIE ha suggerito, per la maggior parte dei pazienti affetti da patologie ematologiche, l’uso di vaccino con nuovo meccanismo d’azione a mRNA”.

SIE è impegnata anche in un importante progetto di standardizzazione molecolare, che riguarda un gruppo di laboratori in 4 città (Firenze, Roma, Bologna, Palermo) che rispondono a precisi criteri di qualità. “Questa attività – conclude il prof. Corradini – va a beneficio dei pazienti su tutto il territorio, garantendo la stessa accuratezza negli esami, a prescindere dal centro in cui si curano. L’iniziativa è focalizzata sulle neoplasie mieloidi e sulla leucemia linfatica cronica, la forma di leucemia più diffusa. Il processo di standardizzazione molecolare riguarda la malattia minima residua, cioè la possibilità di valutarla con sistemi di sequenziamento genico di nuova generazione (NGS), che permettono di analizzare la profondità della risposta antitumorale. Possiamo capire quando il tumore riprende prima di diventare clinicamente evidente, intervenendo in una fase precoce”.

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