Anche le api si proteggono col distanziamento sociale

L'uso diffuso di questa strategia in natura suggerisce che i benefici siano superiori ai costi
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Nel regno animale il ricorso al distanziamento sociale per contrastare la diffusione di patogeni o parassiti è più diffuso di quanto non si pensi. Pur trattandosi di un comportamento che implica elevati costi sociali, come abbiamo avuto modo di sperimentare durante l’attuale pandemia di COVID-19, l’uso diffuso di questa strategia in natura suggerisce che i benefici siano superiori ai costi. Infatti, i casi documentati di questo comportamento riguardano animali molto diversi tra loro e separati da milioni di anni di evoluzione: dai babbuini meno propensi a ripulire il pelo di individui affetti da infezioni gastrointestinali, sino ad alcune specie di formiche che, se infettate da un fungo patogeno, si isolano ai margini del formicaio.

Recentemente, un team internazionale di ricercatori coordinato dalla Dott.ssa Michelina Pusceddu, dal Prof. Ignazio Floris e dal Prof. Alberto Satta del Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Sassari, in collaborazione con l’University College London (Inghilterra), l’Università di Torino e la Martin Luther University Halle-Wittenberg (Germania), ha svolto uno studio utilizzando un approccio spaziale e comportamentale, al fine di valutare se la presenza dell’acaro ectoparassita Varroa destructor in colonie di api da miele inducesse cambiamenti nell’organizzazione sociale tali da ridurre la diffusione dello stesso parassita all’interno dell’alveare. Tra i numerosi fattori di stress per l’ape da miele, la Varroa rappresenta uno dei principali nemici in quanto provoca effetti dannosi sulle api a livello individuale e di colonia, inclusa la trasmissione di virus.

Lo studio di Pusceddu e coautori, appena pubblicato su Science Advances, mostra che le colonie di api infestate reagiscono, modificando l’uso dello spazio e le interazioni tra compagne di nido al fine di aumentare il distanziamento sociale tra la coorte di api giovani (che hanno cura della regina e della covata) e quella delle bottinatrici più anziane. Le colonie di api mellifere, infatti, sono organizzate in due comparti principali: quello periferico occupato dalle bottinatrici (api anziane) e quello più interno composto da giovani api, dalla regina e dalla covata. Questa segregazione spaziale all’interno della colonia porta a una minore frequenza di interazioni tra i due compartimenti rispetto a quanto avviene all’interno di ogni compartimento e permette agli individui più importanti per la sopravvivenza della colonia – cioè regina, api giovani e covata – di essere protetti dall’ambiente esterno (al quale invece sono esposte le bottinatrici) e quindi dall’arrivo di malattie.

Secondo gli autori, “la scoperta che il distanziamento sociale tra le due coorti (quella più esposta e quella da proteggere) aumenti in colonie di api infestate da un parassita rappresenta un aspetto nuovo e, per certi versi, sorprendente delle abilità comportamentali evolute da questi insetti per contrastare patogeni e parassiti. La capacità di modulare la propria struttura sociale e la frequenza dei contatti tra i singoli individui in relazione al rischio di trasmissione di malattie consentono alle colonie di api di massimizzare i benefici delle interazioni sociali ove possibile e di minimizzare il rischio specifico di malattie infettive quando le circostanze lo richiedono. La complessa società delle colonie di api mellifere rappresenta un modello ideale per studiare comportamenti di questo tipo e per comprenderne appieno il valore e l’efficacia”.

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