A seguito della violenta eruzione del vulcano Hunga Tonga-Hunga Ha’apai del 15 gennaio scorso, si è verificato uno tsunami che ha coinvolto, oltre diverse isole dell’arcipelago tongano, tutte le coste del Pacifico, dal Giappone fino all’Alaska e al Sud America.
Questo tsunami è stato definito come un evento raro. “Non vedevamo uno tsunami vulcanico di questa portata da oltre 100 anni”, ha affermato Emily Lane, scienziata di idrodinamica della NIWA ed esperta di tsunami. “La genesi e la propagazione dello tsunami è speciale sotto molti aspetti”, afferma Ignacio Sepulveda, Professore della San Diego State University, che ha curato il video (in fondo all’articolo) sulla propagazione dello tsunami nel Pacifico. Dalle immagini, si può vedere molto chiaramente che l’energia diretta verso l’America centrale è stata molto più bassa di quella diretta verso Nord e Sud America.
“La lunghezza d’onda (cioè la lunghezza orizzontale) delle onde di tsunami è più piccola rispetto a quella degli tsunami generati da grandi terremoti di subduzione. Mi sembra che questo sia il motivo per cui abbiamo visto sorprendenti amplificazioni di ampiezza delle onde di tsunami in alcune baie e zone costiere. Ad esempio, abbiamo visto amplificazioni importanti a Los Angeles (Stati Uniti) e Coquimbo (Cile), mentre in altri luoghi come San Diego, lo tsunami è stato piccolo. Certamente, abbiamo molto da imparare su questo evento molto speciale”, ha spiegato Sepulveda.
Quanto all’origine dello tsunami, è ancora presto per affermare con certezza cosa l’abbia innescato. Jackie Caplan-Auerbach, sismologa e vulcanologa della Western Washington University di Bellingham, afferma che l’esplosione ha coinvolto una “sbalorditiva quantità di energia” ma al momento non ci sono dati sufficienti per accertare la causa precisa dello tsunami.
Questi eventi richiedono lo spostamento di molta acqua, che può avvenire attraverso esplosioni sottomarine, attraverso un collasso, ossia quando molta roccia cade improvvisamente dal vulcano in mare, o da una combinazione di questi e altri fattori. “Non è ancora deciso“, dice Caplan-Auerbach, ma il fatto che un’esplosione così intensa e un forte tsunami siano stati generati da questa singola isola vulcanica relativamente piccola “parla dell’incredibile potenza di questa eruzione”.
E sebbene non sia la causa dello tsunami principale, l’onda d’urto stessa ha innescato un’altra grande onda: l’aria in rapido movimento che ha colpito l’oceano è stata abbastanza potente da costringere l’acqua a spostarsi, un fenomeno chiamato meteotsunami.
Shane Cronin, vulcanologo presso l’Università di Auckland in Nuova Zelanda, aggiunge che gli indizi sul perché questo evento è stato così intenso possono essere trovati nella chimica del vulcano. Questo vulcano, come molti altri, deve riempire il suo serbatoio di magma dopo una grande eruzione. L’ultima nell’area risale all’anno 1100; da allora, la roccia fusa si è accumulata in profondità. Quando il serbatoio si riempie, piccole quantità di magma fuoriescono dal vulcano, che è probabilmente ciò che è alla base delle eruzioni registrate dal 2009.
Tuttavia, dice Cronin, “una volta ricaricata, la grande quantità di magma che si cristallizza inizia a far aumentare la pressione del gas, troppo rapidamente perché possa essere rilasciata da piccole eruzioni“. Qualcosa deve cedere, e quando quella vasta riserva di magma trova un’apertura, si depressurizza violentemente e gran parte del deposito fuso viene eruttato in una grande esplosione.
Per quanto riguarda la formazione dell’onda di tsunami, poiché avvenuta in concomitanza dell’eruzione, l’ipotesi iniziale è che sia stata generata dall’eruzione in sé e dunque dall’esplosione. Tuttavia, l’ipotesi più accreditata sembrerebbe essere quella di un collasso di porzioni emerse e sommerse della struttura vulcanica.