di Alessandro Martelli* – Avendo lavorato per 38 anni, in Italia ed all’estero (Germania, USA e Francia), sulla sicurezza degli impianti nucleari ed essendo pensionato dal 2012 (quindi, almeno da allora, non accusabile di essere al soldo di nessuno), ritengo di essere titolato a fare alcune osservazioni in merito alla recente decisione della Commissione Europea di includere l’energia nucleare fra quelle sostenibili (o “verdi”), cioè atte a ridurre l’impatto ambientale in termini di inquinamento ed a favorire il risparmio energetico, decisione che a tanti, in Italia, non è risultata gradita.
Anzitutto noto che la sicurezza delle centrali nucleari, qualora correttamente realizzate e gestite (come usualmente avviene), è molto maggiore di quella di tante altre strutture importanti (inclusa la sicurezza sismica di molte scuole e molti ospedali, tanto per fare un esempio). Infatti:
- le cause principali dell’incidente del reattore ad acqua pressurizzata (PWR) di Three Mile Island (USA) nel 1979 (che, a parte i gravissimi danni alla centrale, comportò solo il rilascio di piccole quantità di gas e iodio radioattivi, nell’ambiente) furono la strumentazione carente nella sala controllo e l’addestramento inadeguato del personale;
- i reattori “ad Alta Potenza a Canali” (RBMK) di Chernobyl (già URSS), dei quali il N. 4 subì il noto gravissimo incidente nel 1986, erano di origine militare, con caratteristiche del tutto diverse da quelle degli impianti presenti negli altri Paesi (da alcuni anni sono stati abbandonati anche nell’ex-URSS), ed all’origine dell’incidente risultano esservi stati marchiani errori di procedura nel corso di un test di sicurezza;
- la causa principale dell’incidente al reattore ad acqua bollente (BWR) di Fukushima Daiichi (Giappone) del 2011 non fu il pur violentissimo terremoto di Tohoku (di magnitudo 9,0), bensì l’enorme maremoto da esso innescato, che, con onde i 10 m di altezza, ad una velocità di 750 km/h, si abbatterono sui motori diesel-elettrici ausiliari, che avrebbero dovuto alimentare le pompe di raffreddamento ad acqua dei reattori della centrale (l’altezza delle barriere anti-tsunami, realizzate in prossimità della centrale per proteggere la costa, era stata ampiamente sottostimata).
Ritengo che i tre suddetti incidenti abbiano insegnato molto ai progettisti ed ai gestori degli impianti nucleari.
A parte la corretta progettazione di tali impianti, molti, comunque, restano preoccupati per il problema delle scorie nucleari: al di là del fatto che quelle ad alta attività ed a lunga vita radioattiva sono in quantità assai limitate (si noti che analoghe sono le scorie radioattive derivanti dagli ospedali!), la loro gestibilità in sicurezza è senza dubbio assai più agevole rispetto a quella dei materiali radioattivi presenti all’interno del reattore. Ci si preoccupa, soprattutto, della lunga vita radioattiva di parte delle scorie (un regalo ai posteri, si dice): a questo proposito, però, è da ricordare che dovrebbero essere a breve disponibili reattori di IV generazione in grado di ridurre drasticamente tale durata.
Ricordo che l’Italia, patria di Enrico Fermi (uno dei padri dell’energia nucleare), fu uno dei primi Paesi a costruire impianti nucleari. Nel 1966 l’Italia era il terzo Paese al mondo per produzione di energia elettrica tramite fissione nucleare: infatti, nel 1963 era stata ultimata la costruzione della centrale a gas grafite (GCR- Magnox) di Latina, con una potenza elettrica di 210 MWe, al tempo il più potente impianto nucleare esistente in Europa, e nel 1964 erano entrati in funzione sia l’impianto ad Acqua Pressurizzata (PWR) di Trino Vercellese (in provincia di Vercelli), di potenza netta pari a 260 MW (al tempo il più potente al mondo), che il BWR di Garigliano (in provincia di Caserta), di 160 MW di potenza elettrica. Per la realizzazione del quarto reattore italiano, quello di Caorso (BWR4, di seconda generazione), in provincia di Piacenza, la più grande centrale nucleare italiana (840 MW), invece, si dovette attendere fino al 1981.
Dopo l’incidente di Chernobyl, nonostante quanto ho sopra sottolineato, molti paesi, Italia inclusa, hanno iniziato ad abbandonare il nucleare. Come è noto, in Italia, ciò è avvenuto per decisioni della nostra classe politica prese a seguito di due referendum, il primo nel 1987, dopo l’incidente di Chernobyl (che non aveva per oggetto l’abbandono del nucleare, ma tendeva a sfavorirne l’utilizzazione, ed il secondo nel 2011 (a seguito dell’incidente di Fukushima Daiiki), nei quali l’opinione pubblica, impaurita dai due incidenti succitati e (a mio parere) non correttamente informata, aveva manifestato la sua contrarietà rispetto all’utilizzazione della fonte nucleare.
Però, molti Paesi hanno reagito diversamente, in modo (a mio avviso) più razionale: in tutto il mondo sono attualmente in funzione circa 440 centrali nucleari, in 32 Paesi. Il loro numero è attualmente stagnante, ma la potenza installata cresce (alla fine del 2019 ammontava a 390 GW). L’energia nucleare rappresenta il 10% di tutta l’energia prodotta a livello mondiale. Attualmente sono la Francia, la Slovacchia ed il Belgio a puntare maggiormente sull’energia nucleare: il 70% dell’energia elettrica prodotta in Francia è di origine nucleare ed in Slovacchia ed in Belgio la percentuale di energia prodotta dagli impianti nucleari supera, anche se di poco, la metà della produzione nazionale di energia. Poi, sono stati costruiti, in diversi Paesi, 53 nuovi reattori nucleari e 118 sono in fase di progettazione (la maggior parte di essi si trova in Cina, in India ed in Russia).
E noi che cosa faremo? Importiamo tanta energia elettrica dall’estero, molta della quale è di origine nucleare, prodotta anche in reattori non troppo lontani dalle nostre frontiere. Vi pare logico non produrla noi?Anche se, personalmente, ritengo la decisione della Commissione Europea del tutto corretta, dubito fortemente che la nostra classe politica l’accetterà: ritengo che sia troppo pavida anche soltanto per tentare di convincere l’opinione pubblica italiana che, in passato, sui rischi dell’energia nucleare, si è fatta tanta disinformazione!
*Esperto di sistemi antisismici, già direttore del Centro Ricerche ENEA di Bologna