Fu all’alba del 5 marzo 1947 che avvenne l’ultima esecuzione capitale in Italia. Ad essere fucilati furono: Aurelio Gallo, Emilio Battistini e Achille Morelli, condannati per collaborazionismo, sevizie e deportazione nei campi di sterminio di migliaia di persone.
Il giorno precedente era stata eseguita la pena di morte di Giovanni Puleo, Francesco La Barbera e Giovanni D’ignoti, autori della strage di Villarbasse. Il loro fu considerato un delitto così efferato da non meritare neppure la grazia da parte del Presidente De Nicola.
L’ultima esecuzione d’Italia
Il processo si celebrò il 6 maggio 1946. La tensione era altissima. Ci furono oltre 120 testimonianze terrificanti. Migliaia di persone vigilavano, in prima fila le donne di Migliarina, madri, spose, sorelle dei caduti. Il 14 maggio Gallo e gli altri membri della banda Gallo, Emilio Battisti, Achille Morelli, Matteo Guerra, Aldo Capitani, furono condannati alla pena di morte. L’esecuzione fu sofferta, perché il plotone dovette far fuoco una seconda volta in quanto la prima scarica uccise solo il maresciallo Morelli, mentre l’ex questore restò ferito a terra e Gallo illeso.
Il giorno precedente, il 4 marzo presso il poligono di tiro delle Basse di Stura, nei pressi di Torino; il plotone d’esecuzione era composto da 36 agenti della questura che fucilarono i tre condannati: Giovanni Puleo, Francesco La Barbera e Giovanni D’ignoti. I tre siciliani erano stati condannati a morte in quanto riconosciuti colpevoli di una strage avvenuta due anni prima in una cascina del torinese, in quella che fu chiamata la strage di Villarbasse.
Secondo la ricostruzione dei fatti, durante una rapina in una cascina di Villarbasse, alle porte di Torino, i 4 rei uccisero massacrando a colpi di bastone 10 persone e poi le gettarono, alcune ancora vive, in una cisterna. I tre citati vennero giustiziati, mentre il quarto non arrivò alla cattura perché venne ucciso in Sicilia in un regolamento di conti tra malavitosi.
Nonostante il Paese fosse in un momento di grandi cambiamenti l’efferatezza del crimine commesso dai tre non ammise sconti di pena e la Cassazione confermò la condanna; infine, anche il Presidente della Repubblica Enrico De Nicola negò la grazia ai tre condannati.
La condanna di morte in epoca repubblicana in Italia
La pena capitale era già stata bandita in Italia nel 1889 con la legge Zanardelli e ripristinata nel 1926. Durante il ventennio fascista fu reintrodotta dapprima per coloro che attentavano alla famiglia reali, al capo del governo o si macchiava di altri reati contro lo Stato, poi venne estesa ad altri reati.
In seguito alla caduta del fascismo venne abolita tranne che per i reati fascisti e collaborazionisti. Nel 1945 venne ammessa temporaneamente ed eccezionale, per reati gravi come rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o estorsione, costituzione o organizzazione di banda armata. Fino al marzo del 1947 furono giustiziate 88 persone accusate per lo più di aver collaborato con i nazisti.
Con la Costituzione la pena capitale fu bandita sia per i reati comuni sia per i reati militari commessi in tempo di pace, ma solo dal 1994 lo Stato italiano non prevede la pena di morte in nessun caso, mentre prima di questa data era prevista per il codice penale militare di guerra.