Di Alessandro Martelli (esperto di sistemi antisismici, già direttore ENEA) – Ancor più che per le costruzioni civili (edifici, ponti e viadotti) un’adeguata protezione dai terremoti è indispensabile per gli Impianti a Rischio Rilevante (RIR). Tali sono non solo quelli nucleari, ma anche molti impianti chimici e petrolchimici, che, se danneggiati fortemente, possono rilasciare anch’essi grandi quantità di sostanze velenose e/o tossiche nell’ambiente circostante. Così come accade per le costruzioni civili, per assicurare agli impianti RIR un’elevata sicurezza sismica, sono ormai disponibili e, in alcuni Paesi, applicate moderne tecnologie, in particolare quelle di isolamento sismico alla base. Inoltre, sono stati sviluppati efficaci giunti (come i cosiddetti “gimballed joints”) atti a garantire l’integrità dei cosiddetti “elementi di interfaccia” (tubazioni, ecc.), cioè degli elementi che connettono, alle strutture esterne a base fissa, l’impianto isolato sismicamente: grazie a tali giunti le grandi deformazioni laterali dell’impianto causate dagli isolatori non causano danni ai suddetti elementi.
Alcuni importanti impianti chimici e petrolchimici realizzati in modo convenzionale hanno già subíto danni, pure gravi, in diversi Paesi, durante violenti terremoti. Alcuni esempi di tali danni sono stati quelli che hanno riguardato:
- un grande serbatoio presente nell’area di San Francisco (California, USA) durante il terremoto di Loma Prieta del 17 ottobre 1989 (magnitudo M = 6,9), che causò un’instabilità “a piede d’elefante” alla base di tale serbatoio (Figura 1);
- una raffineria di Recope (Costa Rica) durante il terremoto di Limon (o Bocas del Toro) del 22 aprile 1991 (magnitudo momento MW = 7,7), con rotture della copertura di serbatoi (Figura 2), loro ribaltamenti (Figura 3) e rotture di tubazioni con perdita di liquidi (Figura 4);
- le tubazioni (Figure 5 e 6), “sovravincolate”, e la copertura (Figura 7) di serbatoi durante il terremoto di Landers (Contea di San Bernardino, California, USA) del 28 giugno 1992 (MW = 7,3);
- serbatoi di stoccaggio di una raffineria a Yarimca (Turchia), con la loro rottura, durante il terremoto di Izmit del 17 agosto 1999 (MW = 7,4), che causò 17.000 vittime (Figura 8);
- serbatoi di un impianto petrolchimico a Tomakomai City (Giappone), con vasti incendi (Figura 9) dovuti a “sloshing” (moto “ondoso” del pelo libero dei liquidi contenuti nei serbatoi stessi, indotto dalle vibrazioni sismiche), durante i due terremoti di Off Tokachi del 26 e del 28 settembre 2003 (M = 8,0 e, rispettivamente, M = 7,1), nonostante la grande distanza dall’epicentro (220 km).
Solo i danneggiamenti suddetti hanno convinto qualche avveduto progettista e qualche avveduto proprietario ad applicare l’isolamento sismico alla base per proteggere al meglio alcuni impianti chimici e petrolchimici. Ciò avvenne con grave ritardo, nonostante la suddetta tecnologia fosse già applicata da diversi anni ai reattori nucleari.
La prima applicazione dell’isolamento sismico alla base in campo nucleare risale, infatti, al 1985: riguardò, in Francia i 4 reattori ad acqua pressurizzata (Pressurized Water Reactor o PWR) della centrale di Cruas (Figura 10). Tali reattori furono isolati con 3.600 isolatori in neoprene (Neoprene Bearing o NB). L’isolamento sismico fu utilizzato per non dover effettuare una progettazione ad hoc dei suddetti PWR, dato che l’accelerazione di progetto relativa al sito di Cruas era maggiore di quella che caratterizzava il progetto standardizzato degli impianti nucleari francesi.
Grazie ai francesi, all’applicazione dell’isolamento sismico alla base di Cruas seguì, nuovamente nel 1985, anche quella ai 2 PWR della centrale di Koeberg (Sud Africa), che furono protetti da 1.800 NB con sovrapposti isolatori a scorrimento a superficie piana (Sliding Device o SD) in ottone (Figura 11): è da notare, però, che l’utilizzazione di SD sovrapposti ad isolatori in gomma non è consigliabile, perché non permette il ricentraggio della struttura isolata dopo il terremoto (fortunatamente, qualche anno dopo la costruzione, si verificò che il coefficiente d’attrito della superficie in ottone era talmente aumentato da impedire lo scorrimento dei dispositivi SD …).
Quanto agli impianti chimici e petrolchimici, due fra le prime applicazioni dell’isolamento sismico alla base hanno riguardato:
- 2 serbatoi di gas naturale liquefatto (Liquefied Natural Gas o LNG) della Egegaz ad Aliaga (Turchia), isolato sismicamente con 112 isolatori elastomerici con nucleo interno in piombo (Lead Rubber Bearing o LRB) e 241 isolatori elastomerici a basso smorzamento (Low Damping Rubber Bearing o LDRB) nel 2005 (Figure 12÷14);
- 2 serbatoi LNG nella Provincia di Guangdong (Cina Meridionale), ciascuno isolato sismicamente mediante 360 isolatori elastomerici ad alto smorzamento (High Damping Rubber Bearing o HDRB) nel 2006 (Figure 15÷17).
È da notare che la protezione sismica dei serbatoi LNG merita particolare attenzione, a causa della notevole pericolosità di tali serbatoi nel caso di loro rotture.
Per quanto attiene all’Italia, come ho già più volte scritto, gli impianti chimici e petrolchimici RIR meriterebbero un’applicazione dell’isolamento sismico ben più vasta di quella sino ad ora effettuata. Infatti, alcuni nostri centri chimici sorgono in aree fortemente sismiche. Mi riferisco, in particolare, al centro petrolchimico di Priolo-Gargallo, in Sicilia (Figura 18): esso sorge nell’area che fu devastata dal terremoto (oltre che dal successivo maremoto) della Val di Noto del 9÷11 gennaio 1693 (Mstimata = 7,4, 60.000 vittime) e, precedentemente, dal terremoto del 4 febbraio 1169 (MWstimata = 7,5, 15.000÷20.000 vittime nella sola Catania). Però, non è dimenticare neppure il centro di Milazzo (Figura 19), sebbene il pericolo maggiore per quest’ultimo sia un maremoto innescato da un possibile crollo sottomarino del vulcano sottomarino Marsili: infatti, tale centro dista soltanto circa 28 km da Messina, che fu devastata dal terremoto (oltre che dal successivo maremoto) del 28 dicembre 1908 (MW ≈ 7,0) e, precedentemente, da quello del 5 febbraio 1783 (MW = 7,1).
Nonostante quanto sopra ricordato, mi risultano ancora assai pochi i componenti di impianti chimici e petrolchimici italiani che sono stati protetti da sistemi di isolamento sismico: almeno fino a qualche anno fa l’unica applicazione riguardava 3 serbatoi della Società Polimeri Europa (Gruppo ENI) situati a Priolo-Gargallo, che furono adeguati sismicamente mediante isolatori statunitensi a pendolo scorrevole (del tipo Friction Pendulum o FPS) negli anni 2005÷2008 (Figure 20÷23).
Le 4 figure succitate mostrano, in particolare, che l’adeguamento sismico con l’isolamento di componenti come i serbatoi di Priolo- Gargallo succitati non presenta grandi difficoltà (si tagliano i pilastri che sorreggono il serbatoio e si inseriscono gli isolatori fra i due monconi di tali pilastri). Più in generale, come pure ho ormai scritto più volte, dato che le tecnologie più efficaci per rendere sicure tutte le nostre strutture, inclusi gli impianti chimici e petrolchimici (come le tecnologie di isolamento sismico), le possediamo e le utilizziamo da tanti anni (almeno nelle strutture civili), non ci sono più scuse per non applicarle ben più estesamente di quanto, sino ad ora, in Italia abbiamo fatto: ciò è indispensabile per attivare corrette politiche di prevenzione sismica (https://www.change.org/p/presidenza-del-consiglio-dei-ministri-governo-italiano-che-si-inizino-finalmente-ad-attuare-serie-politiche-di-prevenzione-dai-rischi-naturali?fbclid=IwAR0m30rMPGxfvFofIPZRyxzmxuhvXex_wpfce7xKTNyq-o6cCzHguK3q1sE).