Ritrovato il più antico ecosistema terrestre in nuclei rocciosi sudafricani

Per la geobiologa Tanja Bosak, "è davvero una fortuna che esistano posti così antichi"
MeteoWeb

Un’equipe di ricercatori ha portare a termine un’incredibile scoperta scientifica: è stato ritrovato il più antico ecosistema terrestre della Terra, intrappolato in una formazione rocciosa di 3,2 miliardi di anni chiamata Moodies Group, sotto le montagne Barberton Makhonjwa, sede dell’originaria corsa all’oro del Sud Africa. Nei tagli stradali e nei pozzi minerari, gli scienziati avevano già individuato resti fossili delle viscide stuoie microbiche che si pensava avessero ricoperto gli antichi fiumi, spiagge ed estuari. Gli studiosi sono passati ora alla perforazione del terreno per la prima volta, recuperando campioni freschi di quelli che potrebbero essere stati i primi produttori microbici di ossigeno della Terra.

E’ davvero una fortuna che esistano posti così antichi“, ha affermato Tanja Bosak, geobiologa del Massachusetts Institute of Technology che non è affiliata al progetto. Sebbene segni di vita più antichi siano stati trovati in Sud Africa e Australia, e potenzialmente in Groenlandia, in quelli che un tempo erano depositi oceanici, nessun altro luogo registra la vita primordiale sulla terraferma in modo così convincente. “Questo copre un periodo non ben compreso nella storia della Terra“. All’epoca la Terra sarebbe stata decisamente diversa da ora, quasi da sembrare un altro pianeta. La sua atmosfera, ricca di metano e anidride carbonica, ma quasi priva di ossigeno, manteneva il pianeta caldo mentre il Sole era giovane e debole. C’era pochissima terra ferma, dato che la tettonica a zolle, ovvero il processo che assembla i continenti, stava appena iniziando.

Vi erano però degli arcipelaghi vulcanici come il Gruppo Moodies che sbucavano dall’acqua. Le spiagge che circondano i vulcani sarebbero state gli spazi ideali per l’evoluzione e la diffusione della vita, come ha spiegato Christoph Heubeck, geologo sedimentario dell’Università Friedrich Schiller di Jena che dirige il progetto Barberton Archaean Surface Environments (BASE) da 2 milioni di dollari. I nuclei dovrebbero anche contenere una registrazione dei fulmini, che creano forti campi magnetici che possono essere impressi sulle rocce. I fulmini potrebbero aver fornito un nutriente chiave all’antico ecosistema separando i duri legami molecolari dell’azoto atmosferico, consentendo agli atomi di formare i composti da cui dipende la vita.

Condividi