“I modelli di circolazione globale (GCM) dei CMIP6 (Coupling Model Intercomparison Projects) di ultima generazione sono utilizzati da scienziati e responsabili politici per interpretare i cambiamenti climatici passati e futuri e per determinare politiche appropriate (adattamento o mitigazione) per affrontare in modo ottimale i rischi dei cambiamenti climatici legati allo scenario. Tuttavia, questi modelli sono affetti da grandi incertezze. Ad esempio, la loro sensibilità climatica all’equilibrio (ECS) varia da 1,83°C a 5,67°C, il che rende molto incerti i livelli di riscaldamento previsti per il XXI secolo. Prevedono che la temperatura superficiale globale potrebbe riscaldarsi tra 1,0°C e 3,3°C al di sopra del periodo preindustriale (1850-1900) anche se le emissioni antropocentriche si interrompessero oggi”, scrive il climatologo Nicola Scafetta, Professore all’Università Federico II di Napoli, in uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Geophysical Research Letters.
Nello studio, Scafetta affronta questo problema testando le prestazioni medie globali e locali di 38 GCM nel prevedere i tassi di riscaldamento del 1980-2021 rispetto ai dati di temperatura ERA5-T2m osservati e raggruppandoli in tre classi di sensibilità climatica all’equilibrio (ECS bassa, 1,80–3,00° C; ECS media, 3,01–4,50°C; ECS alta, 4,51–6,00°C). Lo studio ha svelato che: tutti i modelli con ECS > 3,0°C in media sovrastimano il riscaldamento globale della superficie osservato; (b) i test t di Student mostrano il fallimento dei modelli dal 60% (ECS bassa) all’81% (ECS alta) della superficie terrestre. “Pertanto, i GCM con sensibilità climatica all’equilibrio alta e media non sembrano essere coerenti con le osservazioni e non dovrebbero essere utilizzati per l’attuazione di politiche basate sulle loro previsioni di scenario. I GCM con bassa ECS funzionano meglio, anche se non in modo ottimale; tuttavia, sono anche poco allarmanti perché per i prossimi decenni prevedono un riscaldamento moderato, ossia inferiore ai 2°C rispetto al livello preindustriale entro il 2050”, scrive Scafetta.
“Questa analisi si concentra sul periodo 1980-2021 a livello di superficie e mostra che, sebbene nessun gruppo di modelli riesca a riprodurre i pattern di riscaldamento superficiale osservati, i modelli ad alta ECS fanno sistematicamente peggio. La riproduzione accurata delle differenze di temperatura regionali negli ultimi 40 anni va oltre la capacità delle simulazioni dei modelli climatici e fallisce persino per i principali bacini oceanici e continenti. Le evidenze qui presentate indicano che i modelli di circolazione globale dei CMIP6 non riproducono bene né le risposte globali né quelle regionali all’aumento dei gas serra negli ultimi 40 anni, il che mette in discussione l’attribuzione basata sui modelli delle risposte climatiche al forcing antropogenico”, spiega Scafetta nel suo studio.
“I modelli di circolazione globale con alta e media sensibilità climatica all’equilibrio sovrastimano il riscaldamento osservato. I GCM con bassa ECS sembrano concordare meglio in media con le osservazioni, ma continuano offrire prestazioni scarse quando vengono analizzati i modelli di temperatura sinottici. In generale, le statistiche t spaziali hanno dimostrato che su oltre il 60% della superficie globale, le previsioni dei GCM dei CMIP6 sono incompatibili con i dati di temperatura osservati. Si osservano varie asimmetrie emisferiche nord-sud e terra-oceano e importanti pattern dinamici, come quelli relativi alle principali correnti oceaniche del Pacifico, dell’Atlantico e intorno alla regione circumpolare antartica. I risultati suggeriscono una scarsa modellizzazione del trasferimento di calore, della circolazione oceanica e atmosferica e dei processi del ghiaccio marino artico e antartico. Inoltre, sulla terraferma, ERA5-T2m è probabilmente influenzata da numerosi bias non climatici che potrebbero aver accentuato le tendenze del riscaldamento locale”, spiega il Prof. Scafetta.
“La prospettiva di sperimentare un elevato livello di riscaldamento associato ai modelli ad alta ECS ha portato a costosi sforzi internazionali per ridurre a zero le emissioni nette di gas serra in tempi rapidi. Tuttavia, i GCM a ECS bassa prevedono un riscaldamento medio entro il 2040-2060 vicino o inferiore a 2°C. Il fatto che i GCM ad ECS alta e media non appaiano coerenti con le osservazioni degli ultimi 40 anni implica che le loro proiezioni non dovrebbero essere utilizzate come base per le politiche. I GCM a bassa ECS sono i più vicini ai dati ma non sono allarmanti perché prevedono un riscaldamento moderato, di meno di 2°C circa entro il 2050 rispetto al livello preindustriale. Pertanto, dovrebbero essere preferite politiche di adattamento poco costose perché dovrebbero essere sufficienti per affrontare la maggior parte dei rischi legati ai futuri cambiamenti climatici”, scrive il Prof. Scafetta.
“I modelli di circolazione globale con alta e media sensibilità climatica all’equilibrio sovrastimano il riscaldamento osservato. I GCM con bassa ECS sembrano concordare meglio in media con le osservazioni, ma continuano offrire prestazioni scarse quando vengono analizzati i modelli di temperatura sinottici. In generale, le statistiche t spaziali hanno dimostrato che su oltre il 60% della superficie globale, le previsioni dei GCM dei CMIP6 sono incompatibili con i dati di temperatura osservati. Si osservano varie asimmetrie emisferiche nord-sud e terra-oceano e importanti pattern dinamici, come quelli relativi alle principali correnti oceaniche del Pacifico, dell’Atlantico e intorno alla regione circumpolare antartica. I risultati suggeriscono una scarsa modellizzazione del trasferimento di calore, della circolazione oceanica e atmosferica e dei processi del ghiaccio marino artico e antartico. Inoltre, sulla terraferma, ERA5-T2m è probabilmente influenzata da numerosi bias non climatici che potrebbero aver accentuato le tendenze del riscaldamento locale”, conclude il Prof. Scafetta.
I risultati dello studio hanno quindi “importanti implicazioni anche per le politiche, perché i GCM con ECS media e alta non sono sufficientemente affidabili su scala più ampia (media globale) e tutti i GCM non riescono a fornire previsioni affidabili delle risposte regionali all’aumento dei gas serra; in questo modo, anche gli impatti delle opzioni politiche sul clima regionale sono molto incerte. I modelli che meglio corrispondono alle osservazioni successive al 1980 implicano che entro il 2050 il riscaldamento globale della superficie dovrebbe rimanere moderato (meno di 2°C) rispetto alle temperature preindustriali anche in uno scenario di crescita delle emissioni estremamente elevata senza alcuno sforzo di mitigazione”, conclude Scafetta nel suo studio.
In sintesi, lo studio del Prof. Scafetta mette in evidenza come non esista nessun vero allarmismo climatico perché essenzialmente i modelli che lo giustificherebbero mostrano un riscaldamento eccessivo che non è osservato. Di conseguenza, le varie politiche di mitigazione con obiettivo zero emissioni entro il 2050 non sono giustificate.